Recuperare la manualità, intervista a Oliviero Toscani

Intervista a Oliviero Toscani

“Solo chi usa le mani, solo chi lavora, ha mani belle”

Oliviero Toscani, il celebre fotografo, non vive sugli allori. Anche se le sue opere sono esposte nei più grandi musei del mondo, rimane fedele allo spirito artigianale che lo anima. Vive in Toscana dove produce vino, olio d´oliva e alleva cavalli. La sua attenzione ai temi del lavoro manuale è nota. Nonostante i mille impegni ha ritagliato uno spazio anche per noi, che lo sentiamo vicino negli intenti e nella moderna visione del mondo del lavoro.

Perché un grande fotografo si interessa al problema della manualità perduta?
Ho fatto il fotografo, come mio padre e, come lui, ho cominciato a lavorare a dieci-dodici anni. Allora il lavoro dell’artigiano rappresentava il massimo della libertà. Oggi è cambiato tutto, la manualità sta andando perduta, tutti vogliono lavorare in cravatta davanti a un computer e l’artigianato, vanto e spina dorsale dell’Italia, sta scomparendo.

Ci sono soluzioni?
Dobbiamo ricominciare a usare le mani, solamente così la creatività potrà esprimersi al suo meglio. Dobbiamo insegnare ai nostri figli la manualità. E’ il migliore investimento che possiamo fare e il miglior antidoto contro l’omologazione del computer, quella che sviluppa il polpastrello dell’indice e lascia spesso inerte, insieme con le mani, anche il cervello.

Ma il suo lavoro è più di natura artistica
Non c’è differenza tra l’artista e l’artigiano. Ambedue trattano la materia e la trasformano. L’artista è un’estensione dell’artigiano perché la base del lavoro manuale è indispensabile per tutti gli artisti, è la sorgente della creazione delle forme e dei colori.

Perché è tanto affascinato dal lavoro manuale?
Ho un rispetto infinito per chi sa costruire con le mani. Mi piacciono le mani capaci di chi è abituato a toccare le cose, le unghie sporche di terra del contadino, le mani callose del muratore, le dita abili della sarta, quelle odorose di tempera e di acquaragia del pittore e dell’imbianchino, le mani muscolose dello scultore, quelle del fornaio, quelle del cuoco, quelle del violinista. Chiunque ha consuetudine con le cose materiali ha mani espressive, di una bellezza che non ha niente a che vedere con le cure dell’estetista. Le mani che, al contrario, denunciano volutamente il loro non uso, mi allontanano: le mani delle donne che si fanno crescere le unghie per far capire che non lavano i piatti, le mani degli impiegati che esibiscono l’unghia del mignolo lunghissima e appuntita, quelle ricoperte da troppi anelli. Le mani parlano della volgarità delle persone in modo inequivocabile. Solo chi usa le mani, solo chi lavora, ha mani belle. Il lavoro manuale dà anche una gioia sensuale che è difficile ritrovare nelle tecniche attuali e le mani raccontano la soddisfazione di chi sa creare usandole.

Perché il lavoro manuale è stato così dimenticato?
Sembra incredibile che il lavoro manuale sia stato così screditato negli anni recenti. E’ un altro sintomo del degrado di una società che si affida alla multimedialità e virtualità come fossero i marchi riconoscibili della modernità. Il degrado ha spostato l’attenzione dall’aspetto educativo dell’imparare a usare le mani allo sfruttamento e, lentamente ma inesorabilmente, si è proceduto a minare l’immagine del lavoro manuale, a screditarlo, perfino di fronte al più insulso e degradante lavoro d’ufficio.

Il  progetto “Manualità un gioco da ragazzi” si occupa di riportare nelle scuole il lavoro manuale, cosa ne pensa?
Ne penso bene. La modernità e il progresso oggi si misurano in tv, dove si canta e si balla, non certo in un campo o nella bottega di un artigiano. Ci vorrebbe addirittura un’università del lavoro manuale che gli ridia quella dignità che, non si sa come, sembra aver perduto. Ci vorrebbero operai, falegnami e meccanici, fornai e barbieri che insegnassero l’abilità manuale in corsi appositi, ci vorrebbero maestri che insegnino a usare le mani ai bambini dell’asilo.

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