Tratto da “Far da sé n.473 – Giugno 2017″
Autore: Nicla de Carolis
Il legno, il materiale più amato da chi fa da sé perché facile da lavorare, bello, piacevole al tatto, ispiratore delle realizzazioni più utili e originali, ha anche, contrariamente a ciò che vogliono spesso i luoghi comuni, una resistenza e una vita inimmaginabili. Quello che per primo ci lascia stupefatti è il legno Kauri, una conifera della Nuova Zelanda, l’albero più grande al mondo per cubatura del tronco, supera i settanta metri di altezza e un diametro che può raggiunge i nove metri.
Circa 50.000 anni fa, una serie di cataclismi ha abbattuto intere foreste di Kauri sommergendole di acqua e di fango; le particolari caratteristiche di questo fango e la mancanza assoluta di ossigeno hanno permesso ai tronchi, rimasti intrappolati nelle paludi per 30/40/50 mila anni, di sfidare i processi chimici di decomposizione e di pietrificazione per arrivare intatti fino ai nostri giorni. Nel sottosuolo ci sono delle vere e proprie miniere di legno, tronchi enormi che presentano le stesse caratteristiche di un legno appena tagliato.
Fa venire i brividi toccare un tavolo in Kauri di 50.000 anni! Sempre parlando di longevità di questo materiale dalle insospettabili caratteristiche, possiamo ancora citare le navi del lago di Nemi, vicino a Roma, scafi dell’epoca dell’imperatore Caligola (37-41 d.C.), recuperate negli anni Trenta e andate distrutte poco tempo dopo, durante la seconda guerra mondiale, non senza aver svelato prima i segreti costruttivi, grazie all’ottima conservazione del legno rimasto in acqua per quasi duemila anni. L’opera viva delle navi (la parte immersa) ha rivelato una perfetta tecnica navale, dalla scelta delle leghe metalliche a quella del legno e del suo trattamento, all’ ingegnosità dei giunti, degli incastri, della calafatura e dell’impermeabilizzazione.
E che dire dell’importanza del legno nell’edificazione di Venezia, la città lagunare sorta su un’immensa “foresta di alberi rovesciati”? L’area destinata alle fondazioni veniva delimitata con due serie di palificazioni parallele tra loro distanti circa 80 cm, lo spazio tra le palificate veniva riempito con fango su cui, una volta asciutto, venivano piantati tronchi, uno vicino all’altro, tanto in profondità da raggiungere il terreno solido. Sulle teste parificate si applicava un tavolato di larice o di olmo, i pali conficcati nel fango si pietrificavano diventando così resistenti e cementati tra di loro da formare perfette fondamenta.
Dopo il fango e l’acqua anche il fuoco, tre elementi che nell’immaginario non vanno d’accordo con il legno: eppure, da pagina 34 parliamo di carbonizzazione, una finitura del legno secondo un’antica tecnica giapponese, lo Shou Sugi Ban, che conferisce al materiale colori scuri cangianti, esteticamente molto gradevoli e originali. In più, il legno, trattato sapientemente con le fiamme, diventa molto resistente e si conserva in esterno fino a 100 anni senza alcuna manutenzione.