Tratto da “Far da sé n.483 – Maggio 2018″
Autore: Nicla de Carolis
Ho sempre considerato gli Italiani un popolo dall’intelligenza vivace, in grado di tirarsi fuori dagli impicci in situazioni difficili o nuove, al di là del grado di cultura raggiunto. Eppure, secondo l’indagine OCSE-PIAAC (un programma ideato dall’OCSE, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, che mira ad avere informazioni sulle competenze fondamentali degli adulti) siamo il Paese europeo, dopo la Turchia, ad avere il maggior numero di analfabeti funzionali, ovvero cittadini che non sono in grado di capire il libretto di istruzioni di un cellulare o di altro apparecchio digitale che comanda la domotica di cui il nostro quotidiano inizia a essere pieno; non sanno risalire a un numero di telefono contenuto in una pagina web se esso si trova in corrispondenza del link “Contattaci”; non capiscono un articolo di giornale, un contratto… Non si parla di persone incapaci di leggere o fare di conto, piuttosto di persone prive delle competenze richieste in varie situazioni della vita di oggi, sia essa lavorativa, relativa al tempo libero o legata ai linguaggi delle nuove tecnologie, insomma soggetti con una padronanza della lettura e della scrittura in misura insufficiente rispetto alla società contemporanea. è così che i “low skilled” (poco qualificati), coloro che non sono capaci di decifrare il mondo senza una semplificazione o un’intermediazione, sarebbero nel nostro Paese uno su tre.
Eppure il web da un lato apre a tutti una conoscenza infinita ma in realtà molti di noi non riescono a cercare e a comprendere questi innumerevoli stimoli e, come rilevava l’esimio linguista Tullio De Mauro, oggi siamo in presenza di “un processo di atrofizzazione del sapere costante e lievitante”; sembra che per questa abbondanza di conoscenza i nostri cervelli, invece di rifiorire, si rattrappiscano. La causa dell’analfabetismo funzionale sarebbe quindi l’assenza di allenamento mentale, il vivere in maniera sempre più passiva, utilizzando oggetti dalla tecnologia molto complessa di cui non si sa nulla, senza curiosità, con una chiusura a ciò che è nuovo e non si conosce, con l’incapacità di elaborare notizie e dati in maniera critica traendone conclusioni.
Uno stile di vita con relative conseguenze verificabili nella realtà quotidiana che però non sono assolutamente proprie del far da sé, così profondamente radicato, per mentalità, a capire il perché e il per come di tutto, in grado di affrontare testi articolati che forniscono istruzioni per costruire un determinato oggetto e di mettere in pratica con l’abilità manuale nozioni difficili e trucchi frutto dell’esperienza. Quello del far da sé è un metodo che inevitabilmente viene applicato non solo in laboratorio, ma nella vita di tutti i giorni e la curiosità, la voglia di sapere esattamente come stanno le cose, mantiene la sua mente in un piacevole costante allenamento, ben lontano dall’analfabetismo funzionale.