Editoriale tratto da In Giardino n.51 di Aprile-Maggio 2015
Autore: Nicla de Carolis
Non possiamo nascondere che ci avevano incuriosito le facciate verdi di Patrick Blanc, il botanico francese, considerato l’inventore dei giardini verticali, installati sulle facciate dei palazzi con lo scopo di coibentare termicamente e acusticmente l’edifico, migliorandone l’estetica e migliorando anche la qualità dell’aria. Ma poi, vista dal vivo, una parete verde (povere piantine senza terra, alimentate a flebo) nulla ha a che fare con la bellezza e la perfezione della natura. Dopo tutti gli scempi che sono stati fatti, dopo il fallimento della difesa delle foreste e la presa di coscienza che questa corsa a uno sviluppo infinito ha portato a gravi conseguenze ambientali, sembra che un vento di ecocompatibilità, inteso purtroppo solo come moda e non come vero impegno, sia diventato una garanzia di attualità e correttezza in tutti i settori e anche in architettura. “Si arriva al paradosso d’insulse facciate vegetali che coprono un’architettura banale, priva di interesse. Da circa 20 anni si parla di serre verticali o altro ciarpame falsamente ecologico”. Così scrive, in maniera coraggiosamente controcorrente, l’archistar Massimiliano Fuksas. Grande perplessità suscita anche l’ultimo progetto architettonico con finalità ecologiche, il “Bosco Verticale” di Stefano Boeri, una costruzione, nel quartiere Porta Nuova di Milano, premiata nel 2014 come grattacielo più bello del mondo. Formata da due torri residenziali di 80 e 112 metri di altezza (19 e 27 piani, 113 residenze totali), è in grado di ospitare 800 alberi fra i tre e i nove metri di altezza, 11mila fra perenni e tappezzanti, 5000 arbusti, per un totale di oltre 100 specie diverse. è un’opera costata molto in termini sia di denaro sia di progettazione; basti pensare agli alberi ad alto fusto coltivati in vivaio, trasportati via strada, imbragati, sollevati con le gru e piazzati in speciali vasche sui balconi. Poi c’è tutto il discorso di irrigazione, potatura, revisioni periodiche che sono curati dalla gestione del condominio, chissà a che prezzo… Senza contare i guasti degli impianti domotici e la sostituzione degli alberi che, costretti innaturalmente in queste vasche, non possono godere a lungo di buona salute. Sicuramente l’opera di Boeri, apprezzabile per la sua originalità e riuscita commercialmente (pur in tempo di crisi pare che molti appartamenti siano stati venduti a prezzi piuttosto alti), fa porre almeno due domande: quanto l’opera ha reso Milano più verde all’insegna della biodiversità (questo il suo obiettivo) e, soprattutto, il gioco vale la candela? Ad oggi, vedendo dal vivo i due edifici, inseriti nell’anonimo e incomprensibile contesto di altri grattacieli ed edifici residenziali in buona parte deserti, quello che dovrebbe essere il bosco si percepisce appena e sembra che molte delle piante siano morte o sofferenti. Forse per riqualificare e avere un bosco nell’area di Porta Nuova sarebbe bastato non costruire, portare terra buona e piantare alberi.