Tratto da “In Giardino n.68 – Marzo-Aprile 2020″
Autore: Nicla de Carolis
Mai come in questi anni i buoni propositi messi sulla carta da chi ci governa, dall’Unione Europea, dall’Organizzazione delle Nazioni Unite, sono stati così numerosi e vòlti a invertire tutte le rotte fin qui seguite.
A cominciare dal passaggio dall’economia lineare, quella sprecona e consumistica “prendi, produci, smaltisci e inquini”, a quella circolare a ciclo chiuso che, come avveniva prima dell’industrializzazione, riciclava e rigenerava tutto. Per poi parlare di altre buone pratiche che spaziano dall’ecologia all’eliminazione della fame, delle malattie, delle disuguaglianze, dall’utilizzo responsabile delle risorse idriche, ai sistemi di energia alternativa, all’istruzione per tutti, al rendere le città inclusive, le società pacifiche etc. Questi i principali tra i “17 goal”, ovvero gli obiettivi stabiliti dall’agenda 2030 (anno entro il quale ci si prefigge di averli raggiunti) di un programma sottoscritto nel 2015 dai Paesi membri dell’ONU, che ci renderanno un mondo quasi perfetto… sic; pur essendo ottimista, per motivi oggettivi, faccio un po’ fatica a credere che tutto ciò si verificherà.
Comunque la notizia assai curiosa, che rientra nei concetti della premessa, ci viene dagli Stati Uniti dove sono stati presentati al meeting dell’American Association for the Advancement of Science i risultati dell’esperimento condotto da Recompose, “una società di pubblica utilità, che privilegia le persone e l’ambiente rispetto al profitto”: i defunti trasformati in terriccio, una soluzione che non inquina e rispetta gli standard di sicurezza, già legalizzata a Washington. Il sistema sperimentato da Recompose è semplice e avviene tutto all’interno di una “capsula”, prima vengono tolti protesi e pacemaker, poi i corpi vengono adagiati in una cassa larga 1,2 metri, lunga poco più di 2, riempita con erba medica, trucioli di legno e paglia, poi l’ambiente viene riscaldato a 65,5 °C. Così faciltata, la decomposizione avviene in 30 giorni. Alla fine si ottiene circa un metro cubo di terreno per ogni defunto, che familiari e amici possono portare a casa in parte o interamente. Il servizio costerà 5.500 dollari e secondo i piani sarà attivo da dicembre 2020.
Le tecniche di sepoltura tradizionali incidono in modi diversi sull’ecosistema, oltre a richiedere grandi quantità di spazi.
La tumulazione in terra comporta spesso l’inquinamento dei terreni con materiali non degradabili; con la cremazione si bruciano combustibili fossili emettendo tonnellate di anidride carbonica nell’atmosfera, negli Stati Uniti l’equivalente di oltre 70.000 auto che circolano per un anno. In poche parole l’ultima cosa che la maggior parte di noi farà su questo pianeta è avvelenarlo; con il sistema Recompose il ciclo si chiude, in tutti i sensi… in maniera molto gentile, romantica ed ecologica, restituendo alla terra almeno una piccolissima parte di ciò che ci ha dato durante la vita.
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