Distopia e far da sé

Tratto da “Far da sé n.499 – Ottobre 2019″

Autore: Nicla de Carolis

Camminando sulla spiaggia, ben disposti perché il mare e la sabbia ti fanno tornare nel grembo materno, non si può fare a meno di notare che le persone grasse siano più numerose di quelle in forma, ma non parlo solo dei diversamente giovani, ovvero dei vecchi, anche molti giovani, ahimè, hanno chili di troppo. Inoltre tutti, ma proprio tutti, pur essendo in costume, hanno in mano il loro smartphone.

Questa immagine mi riporta al bellissimo film di animazione, uscito nelle sale nel 2008, in cui la terra viene abbandonata dagli uomini a causa dell’eccessivo inquinamento e del continuo accumulo di rifiuti; gli uomini partono su una flotta di navi spaziali per una crociera di cinque anni con lo scopo di mettersi in salvo e sulla terra rimangono solo dei robot chiamati Wall-E (Waste Allocation Load Lifter Earth-Class), incaricati di fare pulizia per renderla nuovamente vivibile. Passano centinaia di anni ma la terra rimane inabitabile e gli uomini non riescono più a camminare, si spostano sulle corsie delle navi con carrelli velocissimi, comunicano con video/smartphone collocati all’altezza degli occhi e sono comandati da una voce che viene dall’alto e impone di uniformarsi alla moda e ai consumi del giorno.

La realtà di oggi non è ancora la distopia rappresentata nel film, l’utopia negativa che prefigura un’ipotetica società futura nella quale alcune tendenze sociali, politiche e tecnologiche sono portate al loro limite estremo, eppure i presupposti perché ciò si verifichi ci sono tutti: i rifiuti che ci assediano, il problema della vita sedentaria con conseguente aumento di peso, l’utilizzo permanente di uno smartphone, diventato ormai una protesi del nostro corpo, il condizionamento dei media, dalle reti sociali a ogni forma di comunicazione in mano ai poteri economici, che detta i comportamenti e i gusti di tutti noi.

Ma la cosa che più mi colpisce è che questi umani hanno gambe cortissime e sopratutto mani e dita piccolissime, in grado solo di digitare su una tastiera, è ovvio, la loro inattività ha determinato questa evoluzione/involuzione. Le mani di una persona, si sa, comunicano tante cose, cominciando dalla stretta di mano: c’è quella molle, terribile, la stritolatrice, quella a sandwich, con entrambe le mani e via dicendo.
Questo contatto “a pelle” ci dice molto della persona che incontriamo per la prima volta e ci fa subito capire se abbiamo voglia di entrare in relazione con lei.

Parlando poi di mani “involute”, come quelle degli umani del film di cui sopra, il pensiero va subito al confronto con le belle mani del far da sé, anche se magari esteticamente possono non essere perfette: mani con pelle ispessita, con unghie non curate o con­­ la macchia nera per un ematoma da martellata, mani comunque eleganti perché sanno muoversi con padronanza costruendo, smontando, riparando etc, guidate dalla voglia di riuscire. Mani e corpi che, grazie alla passione per il FARE, non potranno diventare quelli rappresentati nei racconti di un futuro distopico.

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