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Finitura a cera e finitura a olio

La finitura a cera e la finitura a olio sono i metodi di finitura basilari che occorre conoscere per effettuare un restauro di qualità

finitura mobiliQuando si parla di finitura a cera occorre specificare che esistono in commercio numerosissimi tipi di cere ma, se ne abbiamo la possibilità, procuriamoci della cera vergine d’api da un apicoltore: è tutta un’altra cosa. La cera vergine (o cera d’api per legno) deve essere opportunamente preparata per poter ottenere la miscela (detta anche “encaustico”) da applicare sui mobili. Si prepara sciogliendo a bagnomaria 1 hg di cera.

La finitura a cera si effettua sul legno pulito (mordenzato o no) stendendo dapprima due mani con un pennello, distanziate un’ora una dall’altra, poi, con una spazzola a setole molto morbide, si tira la seconda mano di cera per mobili fin quando la superficie è lucida. Quindi si rifinisce lucidando a lungo il mobile con un panno e con movimenti ampi e regolari della mano.

È consigliabile lavorare al caldo. La cera consente di ottenere una ricca e protettiva patina sulle superfici dei mobili di vario antiquariato. La cera non viene assorbita dalla superficie e non nutre quindi il legno, ma assicura una certa protezione alla superficie, un aspetto gradevole e una finitura lucente, più facile da spolverare di quella opaca.

Finitura a olio

Per quanto riguarda la finitura ad olio gli oli da usare nel restauro sono essenzialmente due:

  • olio di lino cotto 
  • olio paglierino

Il primo è utile per formare una mano di fondo perché dona una tonalità calda al legno e quando è asciutto vi si può applicare una finitura a cera o gommalacca. Il secondo può essere efficacemente usato per ravvivare e “nutrire” il legno. Per una finitura d’effetto esistono infine le vernici trasparenti: i restauratori non le vedono di buon occhio, ma per riparazioni su mobili non troppo impegnativi sono l’ideale.

Sul mercato ve ne sono di tipi diversissimi (al poliuretano, all’acqua, trasparenti, mordenzate, satinate, lucide, ecc) e si stendono facilmente col pennello in più mani praticando tra una passata e l’altra una leggera smerigliatura con paglietta di ferro.

Cosa serve per effettuare la finitura a cera e la finitura a olio:

  • C’era d’api per legno (vergine) o pronta
  • Olio di lino cotto
  • Olio paglierino
  • Tampone, pennelli
  • Spazzole
  • Panni morbidi
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Come effettuare la finitura a cera

finitura a cera

  1. Come usare la cera d’api per legno? La cera per mobili antichi, incolore o mordenzata,  può essere stesa a pennello o con una spazzola a setole morbide. Bisogna poi “tirarla” a lungo fin quando appare ben lucida e non risulta più appiccicosa.
  2. La cera d’api per mobili si lucida con uno straccio pulito e morbido. Un mobile rifinito a cera rimane più delicato di uno lucidato a gommalacca e va periodicamente trattato con altra cera incolore per non scurirlo.
  3. La cera vergine preparata a bagnomaria si presenta piuttosto liquida e va stesa, ancora tiepida, con un pennello. Passiamo poi la spazzola e il panno come indicato per la cera pronta.

Come effettuare la finitura a olio

finitura ad olio

Finitura a olio con olio paglierino: lo usiamo dopo la sverniciatura per ravvivare e “nutrire” il legno perché spesso  il legno si mostra sfibrato. Ne versiamo un poco sulla superficie e lo stendiamo col tampone.

stendere mordente legno

Finitura con Olio di lino cotto: una mano di questo olio dona una tonalità calda al legno e, quando è asciutto, vi si può applicare gommalacca o cera. Lo stendiamo a pennello. Può essere colorato con le terre e gli ossidi.

tamponare legno

Con il tampone: un tampone realizzato con un panno senza peli, riempito di lana o cotone, serve per asportare accuratamente l’olio che non viene assorbito per non lasciare aloni più scuri.

La sandracca

sandracca
La sandracca è una resina vegetale disponibile in pezzetti solidi color ambra e solubili in alcool. La si usa soprattutto sciolta insieme alla gommalacca in modo da ottenere una copertura maggiormente brillante e dura.

La Colofonia

spazzolatura legno
La colofonia, detta anche “pece greca” è un derivato della distillazione dell’essenza di trementina. Solida, si scioglie in alcool o nella trementina. Serve per preparare vernici di bassa qualità che si lucidano anche a spazzola.
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Tavolo estraibile a scomparsa per la cucina

Un piccolo tavolo estraibile a scomparsa adatto ad uno spazio limitato che si estrae dal suo alloggiamento solo quando è necessario: è alloggiato in un mobile unico che corre lungo le pareti.

Questo tavolo estraibile a scomparsa si estrae e si ripone con facilità grazie alle due ruotine fisse di cui è dotato il paio di gambe rivolte verso l’interno; le altre due gambe, prive di ruote, vengono sollevate da terra durante la manovra: in questo modo, usando due sole ruote, evitiamo di dovere frenare il tavolo durante il suo utilizzo.
Le ruotine sono praticamente incassate nella sezione delle gambe e le due coppie di gambe hanno lunghezze lievemente diverse, per mantenere il piano orizzontale.
Una volta estratto dal suo alloggiamento, per il suo stile il tavolino a scomparsa si presta a vivere di vita propria in qualunque ambiente.

tavolo estraibile a scomparsa
Quando non è utilizzato il tavolo estraibile a scomprsa si sistema tra due elementi della cucina, in un vano aperto anteriormente; è utile poi collegare i due top preesistenti con un piano di lavoro aggiuntivo, sotto cui si ricava un vano ripostiglio.

Si amplia a ribalta

Per compensare la scarsità di superficie disponibile è indispensabile corredare il tavolo estraibile a scomparsa di due prolunghe a ribalta, incernierate su due lati opposti e sorrette, quando aperte, da due coppie di reggi prolunghe che si articolano sulle traverse frontale e posteriore.
Prese le debite misure dello spazio a disposizione, il tavolino si assembla giuntando ciascuna testa delle gambe con due più due spine ai relativi fianchi o traverse e con altre due spine al piano.
Se il tavolino viene sistemato tra due elementi componibilli separati, per creare un collegamento ottenendo un ulteriore scomparto basta costruire una sorta di cassetto aperto anteriormente da fissare ai fianchi adiacenti.
Il piano di lavoro aggiuntivo, che unisce i due elementi componibili, si trova al medesimo livello dei due piani adiacenti e lascia sotto di sé un cassetto a giorno utilizzabile.

Cosa occorre per costruire il tavolo a ribalta

Occorrono alcuni utensili:

  • sega circolare;
  • trapano;
  • guida per spinare;
  • levigatrice.

I materiali necessari per uno spazio di 600×600 mm:

  • lamellare da 28 mm (1 piano 500×580 mm; 2 prolunghe 300×580 mm; 1 piano fisso 600×600 mm; 1 piano di lavoro 600×600 mm);
  • lamellare da 18 mm (4 reggiprolunghe 100×200 mm; 2 fianchi tavolo 100×310 mm; 2 traverse frontale e posteriore 100×420 mm);
  • 4 gambe tornite alte 642 mm;
  • 24 spine 8×35 mm;
  • cerniere a libro (4 da30x25 mm e 4 da 40×50 mm);
  • 2 ruote fisse;
  • viti, colla vinilica e materiale di finitura.

Cerniere a libro per il ribaltabile

Le cerniere che articolano le prolunghe vengono avvitate da sotto in modo da restare nascoste alla vista anche quando le due ribaltine sono in verticale. Per ridurne al minimo lo spessore di ingombro è meglio incassarle.
I reggiprolunghe necessitano anch’esse di due cerniere ciascuno, in modo da reggere il peso di una persona che si appoggia sulla prolunga senza subire sollecitazioni errate. Le teste delle viti devono essere a filo con l’ala delle cerniere: per questo posizioniamo la fresatura dei fori delle cerniere nel senso corretto.
L’ala delle cerniere si avvita alla traversa dopo che è stata correttamente fissata al reggiprolunga; questo deve essere in grado di ruotare senza strisciare contro il bordo del tavolo: per questo, mentre avvitiamo l’ala della cerniera, conviene aggiungere uno spessore da 2 mm (un cartoncino) tra il reggiprolunga e la faccia inferiore del piano del tavolo.

Il bello dello “storico” e l’utile del “moderno”

Tratto da “Rifare Casa n.61 – Gennaio/Febbraio 2019″

Autore: Nicla de Carolis

Com’è noto l’Italia ha un patrimonio storico unico al mondo per numero di civiltà sviluppatesi nel tempo con importanti differenze a livello religioso, politico e culturale, di cui fa parte una gran quantità di edifici storici dove la ricerca dell’estetica si è espressa ai massimi livelli. Citiamo la recente definizione di LEED GBC Historic Building Italia (un ente no profit per la diffusione di una cultura dell’edilizia sostenibile) che per edificio storico intende “un manufatto edilizio che costituisce testimonianza materiale avente fonte di civiltà”, ovvero una soluzione riconducibile a una fase storica precedente che, per convenzione, viene considerata antecedente al 1945. Circa il 30 % degli edifici italiani è costituito da edifici storici e basta girare con un po’ di rilassatezza, grazie ai tempi dilatati dei recenti giorni di festa, per apprezzare il centro di una delle nostre meravigliose città e gli incredibili dettagli costruttivi dei tanti palazzi d’epoca che vi si trovano; lo stupore non finisce mai pensando al buongusto di chi ha progettato e all’abilità manuale di chi ha realizzato tanta bellezza. Nulla è lasciato al caso: i marcapiani, queste incorniciature definite da una serie di modanature sporgenti che riprendono le forme dell’architettura dell’edificio; i meravigliosi balconi che poggiano su mensole decorate con pietra, con cariatidi, con fini stucchi; le balaustre con colonnine eleganti; i rivestimenti in marmo e i bugnati che accentuano i chiaroscuri; i fregi sugli architravi delle aperture; i portali ad arco; gli zoccoli dei basamenti in pietra finemente modanati. Questa cura nei dettagli e nella capacità artigianale si ritrova anche nell’architettura più asciutta dello stile razionalista del periodo fascista: un esempio tra tanti è il Palazzo della Civiltà Italiana, detto anche Colosseo quadrato, che domina il quartiere Eur di Roma (nato in previsione dell’Expo di Roma del 1942 che non si svolse a causa della guerra), un edificio a pianta quadrata, realizzato in cemento armato e interamente “avvolto” di travertino che, con i suoi 54 archi per facciata, lascia a bocca aperta anche i più indifferenti. Dal secondo dopoguerra ai giorni nostri la ricerca estetica ha lasciato spazio ad altre urgenze, non sempre condivisibili, l’utile e il bello sembrano a volte categorie inconciliabili e la nostra società non esprime esigenze di bellezza, soprattutto parlando di edilizia. Però, se da un lato ci piace e ci commuove la ricerca e la realizzazione di estetica pura che ci ha lasciato chi è venuto prima di noi, dall’altro, oggi, apprezziamo le moderne produzioni nel campo dei materiali da costruzione, frutto di studi per migliorare la vivibilità degli edifici. Parliamo di isolamento termico e acustico, di qualità dell’aria, di protezione dall’umidità, di impermeabilizzazione, di riqualificazione antisismica. Sicuramente tutti i prodotti presentati nel dossier di questo numero sui “sistemi di costruzione a secco” rientrano tra le innovazioni di maggior interesse anche per chi voglia riqualificare edifici storici; dietro quel che comunemente viene indicato come “cartongesso” scoprirete un sistema con una gamma di referenze studiate per ristrutturazioni poco invasive e davvero a regola d’arte.

Come pulire l’ottone e lucidarlo a specchio | Guida dettagliata passo-passo

Impariamo come pulire l’ottone nel dettaglio per lucidare a specchio i nostri complementi d’arredo realizzati con questa lega

Sapere esattamente come pulire l’ottone è importante perché questa lega nel tempo tende ad imbrunire e risulta meno bella esteticamente rispetto a quando era bella lucida.

Cosa è l’ottone?

Prima di imparare come pulire l’ottone è bene capire di che materiale si tratta: l’ottone è una lega di zinco, rame e a volte di altri metalli; viene usato fin dagli albori della civiltà e, al giorno d’oggi, ha un campo di applicazioni vastissimo:

  • elettricità (apparecchiature elettriche, interruttori, contatti, portalampada),
  • autotrasporti (radiatori, impianti elettrici),
  • settore marino (accessori, complementi tecnici e d’arredo, scambiatori, piastre),
  • munizioni (bossoli),
  • idrosanitaria (rubinetti, valvole, radiatori, tubazioni),
  • industria meccanica (bulloni, viti, ingranaggi, minuterie metalliche, cerniere, serramenti, elementi di mobili, maniglie),
  • monetazione e simili (monete, targhe, medaglie, decorazioni),
  • strumenti musicali (gli ottoni).

Il motivo di tanto apprezzamento dell’ottone sta nelle sue qualità di robustezza, bellezza, malleabilità, resistenza alla corrosione e alle temperature estreme. Tuttavia, anche questa lega con il passare del tempo e con l’esposizione alle intemperie, va incontro a ossidazione. In effetti, con l’aggiunta di altri metalli si modificano le caratteristiche della lega rendendola ora più robusta di quanto non sia già, ora meno soggetta all’ossidazione, ora più facilmente lavorabile ecc.

La fusione, oltre a essere necessaria per la realizzazione della lega, è anche il metodo più utilizzato per la realizzazione di oggetti e complementi in ottone. La lega fonde a 930 °C circa che è un valore elevato, ma meno di altri metalli di uso comune.

Consigliamo, inoltre, la lettura della guida su come pulire l’acciaio inox

Pulire ottone e lucidarlo a fondo: tutti i passaggi

pulire ottone

1 – La prima lavorazione necessaria per pulire ottone e leghe simili è eseguita a mano, un pezzo per volta. Con carta vetrata finissima puliamo i pezzi più sporchi, che magari presentano delle asperità. Al termine della levigatura la superficie del pezzo si presenta liscia, ma ancora opaca; il colore, in compenso, nonostante la mancata lucentezza, si mostrerà già in linea con quello definitivo.

come pulire l'ottone

2 – Per rimuovere le piccole righe e portare a specchio le superfici, non c’è nulla di meglio della mola da banco con montato il feltro; quest’ultimo agisce in abbinamento alla pietra pomice che viene spalmata sul rullo in rotazione.

come lucidare l'ottone

3 –  Il lavoro grosso di lucidatura si fa con la prima passata che richiede più tempo per ottenere un manufatto dalla superficie uniforme.

In Italia ci sono ancora tante officine artigiane come la F.O.A.N., che perpetua le antiche tradizioni di Sori (GE) della produzione di oggetti in ottone con fusione a terra. Principalmente sono complementi in stile marinaro, ma la ditta esegue anche fusioni personalizzate su disegno del committente, nonché restauri e lucidatura di oggetti, purché in ottone.

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  • ✔ Adatto per la maggior parte dei metalli: l'accessorio per lucidare è ideale per lucidare la maggior parte dei metalli (ad esempio: acciaio, alluminio, lega di zinco, ottone, rame) e superfici in plastica, pulire la polvere e mantenere la pulizia, lascia una finitura lucida sui metalli.
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Come pulire i vetri | Consigli per il miglior risultato

In casa c’è molto più vetro di quanto appaia. Dalle finestre al portello del forno, dalla fotocopiatrice al box doccia. I tipi di sporco e i depositi sono diversi per cui è necessario agire in modo differenziato a seconda delle esigenze e sapere esattamente come pulire i vetri

Per capire esattamente come pulire i vetri occorre innanzitutto aver ben chiaro che in una normale abitazione troviamo vetri in diverse collocazioni e con varie funzioni. Tra i più normali e diffusi vi sono:

    • vetri delle finestre, porte e porte-finestre
    • vetri di box doccia
    • vetri di ripiani, tavoli
  • vetri di oggetti e apparecchi vari come occhiali, fotocopiatrici/scanner, obiettivi di macchine fotografiche, quadri, forni, piani cottura a induzione, ripiani del frigo, bottiglie, contenitori ecc

Ognuno di questi impieghi del vetro comporta tipi di sporco più o meno vario per cui è necessario diversificare anche il nostro intervento di pulizia.

Come pulire i Vetri di porte, finestre e porte finestre

Rappresentano l’estensione maggiore delle superfici in vetro presenti nell’abitazione. Le lastre di finestre e porte sono a contatto con l’esterno e l’interno.

Dall’esterno vengono sporcate dalle sostanze presenti nell’aria, dalla pioggia e dallo smog, mentre dall’interno vengono a contatto con aria umida, grassi, fumo ecc.Data la loro estensione conviene attrezzarci con semplici strumenti che si trovano anche in kit: tergivetro in spugna o fodera in microfibra, racla tergivetro di gomma con impugnatura e asta telescopica. Allo scopo servono anche stracci in microfibra e carta da giornale (o da cucina).

Importante per imparare bene come pulire i vetri è sapere che la pulizia del vetro si effettua in un giorno, o in un orario, tali che i vetri non siano colpiti direttamente dal sole. Questo perché il riscaldamento causato dai raggi solari farebbe asciugare troppo rapidamente il detergente riducendo la sua azione pulente e causando la formazione di aloni.

Prima di agire sul vetro conviene effettuare una preventiva spolveratura e pulizia del telaio che si può realizzare con uno dei tanti prodotti di pulizia a spruzzo e panno in microfibra.

Come pulire superfici esterne del vetro

Per la parte esterna del vetro si possono utilizzare i normali prodotti che si trovano in commercio che contengono un mix di sostanze (generalmente non molto inquinanti) che sciolgono vari tipi di sporco depositati dallo smog.

Si spruzza il composto e con un panno in microfibra leggermente inumidito e si effettuano passate dall’alto verso il basso. Si rifinisce asciugando con carta da giornale o carta da cucina. Se, però, il vetro fosse molto sporco conviene eseguire un prelavaggio a base di acqua, detergente per piatti e un poco di ammoniaca. Il tutto si spugna sul vetro, prima del passaggio di uno straccio in microfibra che va lavato più volte. Poi si effettua il normale lavaggio come indicato al punto precedente.

In ambiente marino c’è il problema della salsedine che si deposita un po’ su tutto ciò che è all’esterno, comprese le superfici di vetro. Per un buon risultato conviene preparare una miscela con acqua, un poco di detersivo per stoviglie e abbondante succo di limone. Eventualmente si ripassa con un prodotto detergente per vetri. L’azione di pulizia è come quella indicata sopra.

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Come pulire grandi vetrate e vetri in posti difficili

Se l’estensione del vetro è abbastanza rilevante conviene dotarsi di una racla con pattino in gomma e uno in spugna, come quella che usano i lavavetro nei distributori.

Il lavoro risulta più rapido e, con le prolunghe per l’impugnatura, si possono raggiungere zone che altrimenti comporterebbero un certo rischio, lavorando all’esterno. Il detergente si applica col pattino di spugna (o di microfibra) e la pulizia si effettua passando il pattino in gomma. Quando si è imparata la semplice manualità dell’operazione il lavoro risulta perfetto.

L’attrezzo si può utilizzare anche all’interno ma il suo utilizzo comporta un certo gocciolamento che, all’interno dell’abitazione, può causare dei problemi.

Superfici rivolte all’interno

La superfici del vetro rivolte verso l’interno possono presentare un sottilissimo velo di grasso. La pulizia con i normali detergenti va comunque bene, ma spesso accade che durante l’asciugatura con la carta si formino degli aloni. Ciò significa che non tutto il grasso è stato asportato.

In tal senso consigliamo anche la lettura della nostra guida per capire come pulire il forno

In questo caso conviene lavare il vetro con un detergente-sgrassante per piatti miscelato ad acqua e un poco di aceto bianco.

L’azione di pulizia deve essere abbastanza lenta in modo che il grasso si sciolga totalmente. Poi si passa all’asciugatura con carta. Per una finitura migliore si può utilizzare un detergente specifico per vetro.

Come pulire vetri Vetri di box doccia

Questi vetri si ricoprono di fittissime macchioline chiare costituite dal calcare rilasciato dall’acqua che colpisce i vetri durante la doccia. Questo fenomeno è particolarmente significativo nelle zone in cui l’acqua potabile è particolarmente “dura”, cioè ricca di calcare.

L’intervento classico è quello di utilizzare sostanze in grado di sciogliere il calcare. Sono disponibili numerosi prodotti che hanno questa proprietà (più inquinanti dei normali detergenti) ma si possono anche preparare in casa, mescolando acqua tiepida con aceto e impastando la miscela con bicarbonato.

Il preparato, un poco pastoso, va spalmato con una spugna sui vetri e lasciato agire per qualche minuto. Poi si lava tutto con un normale detergente. L’aceto scioglie il calcare e la presenza del bicarbonato ne facilita l’eliminazione.

Attenzione: praticamente nessun preparato commerciale o fatto in proprio è in grado di eliminare completamente tutto il calcare depositato su un vetro della doccia che venga pulito raramente.

L’intervento più adeguato è la prevenzione dei depositi, spruzzando un anticalcare sul vetro (o acqua e aceto) almeno due volte la settimana, oppure tutte le volte che ci si fa una doccia, per prevenire lo stratificarsi del deposito.

La sostanza più efficace contro i depositi di calcare è l’acido muriatico (acido cloridrico diluito in acqua), che aggredisce il calcare in modo molto potente.

Però si tratta di un prodotto che può essere parecchio pericoloso se non viene utilizzato con tutte le precauzioni necessarie (areazione del locale, mascherina, guanti, occhiali, uso controllato in piccole quantità) ed è anche potenzialmente dannoso per la rubinetteria, tubazioni di scarico, guarnizioni.

L’acido muriatico i non deve essere miscelato con altre sostanze chimiche. Ad esempio miscelandolo con la candeggina si libera cloro puro che è molto pericoloso. I vetri, dopo essere stati lavati e asciugati possono essere ulteriormente trattati con alcool per migliorare la trasparenza.

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Vetri di fotocopiatrici/scanner, obiettivi

Si può agire con alcool e panni molto morbidi che non si sfilaccino o con soluzioni apposite per queste apparecchiature. Questi vetri devono essere preventivamente liberati dalla polvere in quanto lo strofinamento con microfibra o le apposite pezzuole potrebbe procurare microrigature della superficie.

Vetri di piani di frigorifero, tavoli, forni, piani cottura a induzione, bottiglie, contenitori. Si puliscono come indicato per i vetri interni con particolare impiego di detergenti sgrassanti.

Resina epossidica Softglass per decorazioni

Con le resine Softglass colorate

La creatività, si sa, non ha confini e non c’è niente di più bello che dare spazio alla fantasia fai da te per imprimere originalità a comuni oggetti di vetro, metallo, plexiglas e ceramica utilizzando materiali innovativi, come la resina epossidica bicomponente Softglass.
Con questo materiale possiamo realizzare applicazioni colorate e traslucide, anche di alto spessore, che induriscono all’aria senza necessità di passaggio in forno.
La resina, essendo bicomponente, dev’essere miscelata con il suo catalizzatore (induritore) rispettando le giuste proporzioni: due parti di base e una di catalizzatore.

A TUTTO COLORE….

  1. Puliamo il vaso con alcool, evitando di toccare la superficie del vetro con le mani per non lasciare tracce di unto.
  2. Stendiamo in verticale, a distanza regolare, le strisce di nastro adesivo di carta tutto intorno alla superficie esterna del vaso, facendole aderire perfettamente al vetro.
  3. Preleviamo una piccola quantità di colore (miscelato con il catalizzatore nel rapporto di 2:1). Con la punta della spatola lo stendiamo sul vetro delicatamente. Il colore può tranquillamente debordare sopra la protezione di nastro adesivo.

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Taglia polistirolo fai da te | Autocostruzione illustrata in dettaglio

Una macchina taglia polistirolo fai da te realizzata con materiale di recupero: un tubo piegato a formare l’archetto tende il filo di tungsteno, mentre il trasformatore fornisce l’energia per renderlo incandescente

Il taglio del polistirolo per fare oggetti e decorazioni per le feste è una pratica che può anche essere semplice, ma bisogna usare gli strumenti giusti. Fra quelli migliori, a livello casalingo, è l’archetto con filo incandescente, meglio se sistemato in modo da lavorare perpendicolarmente a un piano d’appoggio.

Tenendo ben presente questa linea guida, il nostro lettore Leonardo Telesca ha deciso di realizzare un taglia polistirolo fai da te per assecondare una richiesta della consorte, desiderosa di preparare un po’ di decori per le feste che si stanno avvicinando. Notoriamente il nostro “costruttore seriale di macchine” non ricorre spesso all’acquisto di parti per i suoi lavori e anche in questo caso la regola è stata quella, anzi, in questo caso tutti i materiali sono provenienti da recuperi.

In effetti la tagliapolistirolo è macchina molto semplice, sia sotto il profilo della costruzione meccanica, sia sotto quello della parte elettrica. Sembra un traforo elettrico. La parte strutturale è composta principalmente da un tubo piegato in modo da formare l’archetto, più due segmenti dello stesso, saldati trasversalmente per fare da sostegno e tenere l’archetto in posizione verticale.

In appoggio sulla parte inferiore dell’archetto si sistema il piano di taglio, snodato in modo che sia inclinabile, mentre in testa è situata la scatola contenente la parte elettrica. La scatola racchiude pochi elementi: un trasformatore e i collegamenti elettrici con l’interruttore d’accensione e la spia di acceso/spento.

Guarda il video della macchina tagliapolistirolo autocostruita

Cosa serve per costruire una taglia polistirolo fai da te

  • trasformatore 230 V AC – 15 V DC 500 mA,
  • spia 230 V,
  • interruttore con manopola,
  • cavo elettrico sezione 1 mm,
  • spina elettrica con cavo,
  • scatola di metallo,
  • tavoletta di multistrato,
  • due cerniere a libro,
  • molla 6×30 mm,
  • viti e dadi vari,
  • 4 ventose,
  • un pezzo di lamiera,
  • tubo Ø 22 mm da curvare per fare l’archetto
  • uno spezzone di filo di tungsteno recuperato da un vecchio phon

Piegato il tubo dell’archetto, si saldano i due segmenti che lo tengono in piedi e una piastrina in posizione strategica su cui si fissano le due cerniere per il ribaltamento del piano di taglio.

Il piano inclinabile deve avere un’asola piuttosto lunga per non andare a interferire con il filo nelle varie posizioni che può assumere.

Alle estremità dell’archetto, si saldano due grosse rondelle orizzontali dove si inserisce un pezzo di teflon con funzione di isolante: il filo, tenuto da un bullone con dado e rondella, non deve toccare il metallo dell’archetto, pena la dispersione del calore. Le ventose si mettono sotto i tubi d’appoggio in modo che la taglia polistirolo non scivoli sul tavolino.

Sopra c’è un analogo sistema arricchito dalla presenza della molla che tiene il filo teso.

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  • Altri dati tecnici: 230 V, 50/60 Hz; trasformatore secondario max. 10V, 1A; la temperatura del filo da taglio con un diametro di 0,2 mm è variabile tra circa 100 e 200 °C; peso circa 3 kg; isolato secondo i requisiti di classe 2
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  • 3 punte intercambiabili: punta per incisione, tagliapolistirolo a bastone e tagliapolistirolo a filo caldo • Alimentazione: adattatore di rete a 230 V, lunghezza del cavo: 60 cm • Tagliapolistirolo incluso 3 punte intercambiabili, 2 fili di taglio, supporto di appoggio, adattatore di rete e istruzioni in tedesco/francese/spagnolo/italiano
  • Nota: Il filo ha circa 60 Ohm/Metro e 0,12 mm di diametro. Non deve essere utilizzato un filo di ricambio con meno di 50 Ohm/Metro.. Taglierina di calore - Anche rilevante o adatto per: Filo da taglio, Filo caldo, Schiuma, Modellino ferroviario, Modellazione, saldatore, taglierina, Attrezzo, Fatto a mano, sega, Più caldo, schiuma, saldatura, 60 ohm / m

La parte elettrica

La fase della 220 V va all’interruttore, poi a un polo d’ingresso dell’alimentatore (morsetto rosso). Il neutro 220 V va all’altro polo (morsetto verde). Dai due poli partono una fase e un neutro verso la spia. Le uscite a 15 V DC del trasformatore vanno ai due capi del filamento di tungsteno.

Mobile acquario fai da te con ante | Guida alla costruzione passo-passo

Un mobile acquario deve sopportare circa un quintale di peso, perciò occorre realizzare un telaio in ferro scatolato da rivestire con pannelli di legno di buon spessore

La costruzione di un mobile acquario fai da te deve prevedere un corretto dimensionamento della struttura per sopperire al peso gravoso che deve sostenere. Per piccolo che sia, infatti, un acquario ha un peso che non va sottovalutato: i modello più diffusi sono costituiti da una vasca da 800x300x300 mm per la quale servono vetri da 5-6 mm di spessore, poi ci sono i gusci e le apparecchiature supplementari, ma è l’acqua in esso contenuta che fa lievitare il peso.

Anche se nel complesso un acquario dona un senso di leggerezza, non può essere collocato su un mobiletto commerciale concepito semplicemente per fungere da contenitore, serve un mobile acquario robusto quanto a fattura e materiale, inevitabilmente più costoso rispetto ad altri.

Spesso però disposizione degli arredi non permette di eccedere granché rispetto alle dimensioni dell’acquario, perciò l’unica soluzione plausibile è quella di costruire un mobile acquario fai da te.

Se invece vuoi realizzare un intero acquario, leggi la nostra guida su come costruire un acquario fai da te

Cosa serve per costruire un mobile acquario fai da te

Per nascondere completamente la struttura in tubolare il mobile acquario fai da te è rifinito con una zoccolatura.

  • Pannelli in MDF da 19 mm: 1 pianale superiore 350×850 mm; 2 pannelli laterali 340×600 mm; 2 sportelli 310×600 mm; 2 pezzi 80×600 mm per sponde e supporti cerniere
  • Pannelli di MDF da 10 mm: 1 battiscopa frontale 100×800 mm; 2 battiscopa laterali 100×330 mm
  • Pannello di multistrato da 6 mm: 1 copertina posteriore 600×780 mm
  • Scatolato ferro 25x25x1,5 mm: 4 montanti da 710 mm; 4 traverse da 730 mm; 4 traverse da 250 mm
  • Altro materiale: Antiruggine; smalto nero per struttura in ferro; cementite; colore nero acrilico; flatting all’acqua; 4 cerniere dorate; viti per legno Ø 5×35 mm; viti per legno Ø 5×25 mm; 2 pomelli neri a pallina; 2 coppie di calamite; 4 piedini neri per scatolato da 25 mm; viti Ø 3×20 mm per ferro; tampone in gomma per riproduzione venature del legno.

Saldature fondamentali

Se si è abbastanza bravi nella saldatura, ricorrendo a un telaio di ferro tubolare si può ottenere una struttura robusta con elementi di spessore ridotto rispetto a un telaio in legno che abbia pari caratteristiche.

Così facendo, inoltre, all’interno del mobile acquario rimane più spazio per conservare tutto l’occorrente per la gestione dell’acquario, per l’alimentazione dei pesci e per altre necessità.

Rivestimento

Per il rivestimento sono stati scelti pannelli di MDF di buon spessore; le ante sono due semplici pannelli più sottili articolati da due coppie di cerniere, apribili tramite due pomoli e mantenuti chiusi con due calamite.

Per non far appoggiare la struttura in ferro direttamente a terra si ricorre a piedini costituiti da semplici tappi di chiusura inseriti a pressione nel tubolare.

La struttura in 12 pezzi saldati

Dalle barre di scatolato si tagliano i pezzi a misura secondo il progetto, quindi si eliminano le sbavature interne ed esterne con un disco montato sulla smerigliatrice angolare.

Tracciata la mezzeria sulle facce di ciascun pezzo, si marcano con il bulino i punti esatti in cui vanno eseguite le forature passanti per il fissaggio dei pannelli con cui rivestire la struttura. Ogni pezzo va contrassegnato per non commettere errori in fase di assemblaggio.

Ogni foro va poi svasato, sia per per eliminare la bava di taglio sia per consentire di incassare la testa delle viti sotto filo piano.

Utilizzando opportuni riscontri e morsetti per bloccare i pezzi in squadra si procede unendo i montanti, a coppie, con le traverse lunghe.

Sempre con molta attenzione alla squadratura e all’allineamento a filo superiore, si collegano i due moduli precedenti con le traverse corte. La struttura completa va poi appoggiata su una superficie piana per verificare che sia stabile e che non sia traballante.

Dopo la sgrassatura del metallo con un solvente si stende su tutta la struttura una mano di antiruggine.

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Rivestimento avvitato dall’interno

I pannelli di rivestimento vanno tagliati a misura: alcuni, come il top e i fianchi, con le dovute maggiorazioni per rimanere sporgenti.

I bordi frontali del top e dei fianchi vengono stondati con la fresatrice.

Si inizia il rivestimento in bianco, con il legno ancora grezzo, bloccando i pezzi alla struttura per verificare le corrispondenze e determinare le misure definitive di alcuni pezzi. Nel montaggio definitivo, dopo aver applicato la finitura, le viti vengono inserite dall’interno e penetrano nel legno per due terzi dello spessore, restando invisibili da fuori.

Finitura a tre strati dei pannelli

La struttura in ferro viene rifinita con uno smalto nero; sui pannelli in legno si stendono due mani di cementite perché l’MDF assorbe molto, si carteggia leggermente e si applica una prima mano di smalto acrilico a pennello.

Sullo smalto ancora fresco si preme un tampone convesso che riporta il disegno a rilievo di nodi e venature del legno, badando di non smuoverlo lateralmente per non produrre sbavature. Si lascia asciugare e si rifiniscono le superfici con un flatting all’acqua applicato a spruzzo; quando anche questo è asciutto, si procede al rivestimento della struttura e si completa con pomoli, calamite e piedini.

Cabina verniciatura fai da te | Guida illustrata alla costruzione

Una cabina per verniciatura in plexiglas e alluminio, con aperture protette per poter inserire le mani, permette di verniciare a spruzzo senza disperdere nell’ambiente la vernice nebulizzata

L’idea di costruire una cabina verniciatura fai da te  può essere interessante per molti lettori che ricorrono con frequenza alla verniciatura a spruzzo su oggetti di forma contenuta:  bisognerebbe farlo in un locale aerato o all’aperto, ma le correnti d’aria interferiscono con il lavoro, la vernice si disperde e si deposita dove non dovrebbe, le polveri non sono proprio salutari e bisogna usare le mascherine…

La cabina verniciatura fai da te presentata in questo articolo è a misura di un banchetto, molto semplice da realizzare, ma sufficiente a creare uno spazio protetto per fare un lavoro pulito e senza mascherine.

Progettare cabine di verniciatura

In tutto servono 5 fogli di plexiglas (si scrive con una sola S non con due!!): 2 da 645×600 mm, 2 da 855×600 mm e uno da 645×855 mm, più angolari di alluminio 10×10 e 20×20 mm, viti e rivetti.

Come si costruire una cabina per verniciatura

Nei pannelli anteriore e posteriore gli angolari formano una cornice: un’ala è fissata con rivetti dall’esterno, l’altra è rivolta all’interno. Nelle ali interne dei lati verticali vanno aperti 3+3 fori

Nel pannello frontale si ritagliano due oblò con diametro 160 mm, in asse orizzontalmente, ma leggermente spostati verso l’alto.

Da un altro pezzo di plexiglas si ritagliano due anelli aventi diametro interno 160 mm e diametro esterno 205 mm nei quali, sulla linea mediana, vanno praticati 4 fori equidistanti.

Nei pannelli laterali (qui il bocchettone di aspirazione), solo sui bordi inferiore e superiore vengono fissati gli angolari con rivetti: nei lati verticali si copiano i fori per le viti utilizzando come maschera i rispettivi angolari verticali dei pannelli frontale e posteriore. In questo modo il box si monta e si smonta rapidamente: il pannello di copertura è soltanto appoggiato sulle ali degli angolari superiori.

Due maniche tagliate da un vecchio k-way si bloccano al frontale tramite gli anelli, dopo aver copiato e aperto i fori per le viti anche sul pannello. Quattro spezzoni di angolare che sporgono in basso permettono di incastrare con precisione il box sul banchetto.

In uno dei pannelli laterali, nell’angolo in prossimità del fondo, è stato inserito un bocchettone che permette di collegare l’aspiratore ed evitare, almeno in parte, che l’eccesso di vernice nebulizzata si depositi sulle pareti del box.

Trattandosi di un accessorio che si utilizza di rado e solo per brevi periodi, è fondamentale che sia facilmente smontabile e riponibile in poco spazio.

Cabina di verniciatura portatile con aspirazione Sparmax® SB-88
  • Dimensioni 52.3 X 40.3 X 31.6 cm
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Il taglio del plexiglas

Manualmente o a macchina, per tagliare il plexiglas è necessario utilizzare lame a denti fini: nei tagli sagomati si può utilizzare il seghetto alternativo, ma bisogna fare molta attenzione ai movimenti oscillatori della lama che potrebbero facilmente causare spaccature o scheggiature del materiale.

È perciò necessario bloccare bene il pezzo, per esempio tra due tavolette il più vicino possibile alla linea di taglio, in modo che non subisca flessioni e mantenere una velocità ridotta, altrimenti il materiale si surriscalda e fonde.

Per approfondire leggi la nostra guida su come tagliare il plexiglas

Trapano Einhell TE-ID 500 E | Recensione completa

La perfetta combinazione di dimensioni contenute e potenza adeguata ne fanno una macchina utile e versatile

Ottimo questo trapano elettrico con percussione che non promette capacità di foratura da campionato del mondo o dimensioni da culturista ma, grazie al perfetto bilanciamento fra prestazioni e proporzioni della macchina, garantisce manovrabilità, controllabilità e versatilità.

Se per le misure e le proporzioni il merito va al designer, per tutto il resto bisogna dire grazie al progettista che ha saputo concentrare in questo Einhell TE-ID 500 E le più avanzate tecnologie per il contenimento delle dimensioni generali e del motore, senza tralasciare prestazioni e affidabilità (gli ingranaggi sono di metallo).

Il controllo è garantito dalle impugnature ergonomiche, ma anche dall’elettronica e da un pulsante di accensione molto graduale nell’intervento, con cui è possibile gestire facilmente il numero dei giri; inoltre è presente una rotella per impostare a priori il regime massimo di rotazione.

Con 550 W di assorbimento massimo, il trapano fora sino a 25 mm di diametro nel legno, 10 mm nel cemento, 8 mm nell’acciaio; grazie al collo di serraggio da 43 mm di diametro si possono montare i comuni supporti aggiuntivi, che ne estendono le possibilità. Einhell

Einhell TE-ID 500 E: compatto, ma dalle ottime prestazioni

Il mandrino è autoserrante, non servono, quindi, attrezzi per fissare l’utensile, bloccato semplicemente contrastando le due ghiere zigrinate. Il mandrino accetta punte con codolo sino a 13 mm di diametro.
Il trapano è dotato di inversione di marcia, funzione utile per usare lo strumento come avvitatore/svitatore di viti grosse (anche se manca la regolazione della coppia, si riesce a gestire molto bene la potenza).
La percussione (0-48000 colpi) si inserisce con l’interruttore sul dorso.