Un semplice scaffale da appendere alla parete si trasforma in un pensile che permette anche a chi vive in città di avere un piccolo orto sul balcone
Chi dispone solo di un balcone come unico spazio esterno fruibile non può permettersi di ingombrarlo con vasi a terra, ma può ugualmente coltivare una selezione di piante aromatiche in un pensile. Quello che proponiamo ha una profondità complessiva inferiore a 200 mm ed è largo poco meno di mezzo metro, ma sui quattro ripiani può trovare posto una ricca varietà di erbe aromatiche da utilizzare in cucina.
Le piante aromatiche possono essere lasciate nei vasetti di plastica con cui vengono commercializzate, così da contenere il peso complessivo; i parapetti inplexiglas, trasparente o colorato, che completano i ripiani le proteggono da cadute accidentali e aggiungono una nota di design allo scaffale.
Tutti i pezzi necessari a comporre il pensile sono uniti per avvitatura, mentre le lastre di plexiglas sono semplicemente incastrate in fresature realizzate vicino al bordo esterno dei ripiani; rosmarino, basilico, santoreggia e altre erbe ci delizieranno anche con i loro profumi mentre ci concediamo una pausa sul nostro balcone.
Cosa occorre
MDF da 19 mm: pannello posteriore da 1330×452 mm; 2 fianchi da 1330 x182 mm; 4 ripiani da 452×160 mm.
4 lastre di plexiglas 451x127x5 mm; 24 viti da legno Ø 4×45 mm; 2 tasselli a espansione Ø 8 mm con gancio a L (scelti in base al supporto).
Montaggio del pensile
Nella parte superiore del pannello di fondo, con una punta Forstner da 30 mm montata sul trapano si aprono due fori ciechi a 200 mm dal bordo superiore e a 40 mm dai bordi verticali. Serviranno per agganciare lo scaffale ai tasselli fissati a parete.
Si appoggia il pannello posteriore sul banco e si blocca a esso uno dei fianchi; in appoggio a questo, con l’aiuto di una squadra, si collocano i ripiani a 90° e si marca la posizione di ciascuno sul pannello, agli interassi prestabiliti, facendo scorrere la punta della matita prima da un lato e poi dall’altro di ogni ripiano.
I ripiani vanno bloccati con morsetti al banco di lavoro per realizzare le scanalature in cui inserire le lastre di plexiglas, a 10 mm dal bordo frontale; si utilizza una fresa larga 5 mm e si imposta la profondità di fresatura a 7 mm. Per poter utilizzare la guida parallela occorre appoggiare due ripiani uno sopra l’altro.
Al centro delle linee tracciate sul pannello posteriore si praticano i fori passanti per il fissaggio dei ripiani, utilizzando una punta Ø 4 mm. Per ogni ripiano si praticano due fori a 50 mm dai bordi del pannello.
Sulla faccia posteriore del pannello i fori vanno svasati per poter incassare le viti sotto filo piano.
Si appoggiano i fianchi ai ripiani appena montati; sulla faccia interna si traccia a matita la posizione dei ripiani e si eseguono i fori passanti, svasati sul lato esterno, per avvitare i fianchi ai bordi dei ripiani.
Le viti nascoste e la finitura a spruzzo
Terminato il montaggio, per rendere invisibili le viti messe sotto filo piano si deposita un po’ di stucco negli avvallamenti e, con una passata di spatola, lo si preme e si rimuove l’eccesso.
Quando lo stucco è completamente essiccato, si leviga con carta vetrata a grana 120.
Per preparare la superficie e limitare l’assorbimento della finitura servono due mani di cementite; anche in questo caso la prima viene assorbita in pochi minuti, poi si stende una seconda passata e, quando è asciutta, si levigano le superfici con carta vetrata a grana 180.
Il pensile montato e suddiviso in scomparti presenta molti angoli: l’unico modo per garantirsi un buon risultato estetico è l’applicazione della vernice a spruzzo, che permette di raggiungere anche gli spazi più interni e di ottenere una copertura uniforme.
Come lavorare il plexiglas
Il taglio si può effettuare con il seghetto alternativo, con la sega circolare o con utensili manuali, purché equipaggiati con lama a dentatura fine. L’avanzamento non deve essere veloce per evitare crepe e la lastra, specialmente se è sottile, va bloccata tra tavolette o a supporti adeguati per evitare che fletta o subisca vibrazioni.
Se i bordi presentano irregolarità rilevanti è possibile eliminarle con la levigatrice; occorre poi rifinire con carta finissima a umido per ripristinare al meglio la trasparenza.
Per la foratura esistono punte specifiche, con un angolo di spoglia ridotto, ma si possono utilizzare le comuni punte da ferro. L’unico accorgimento, contrariamente a ciò che verrebbe spontaneo pensare, è che la punta non sia affilatissima: meglio che sia usata, seppur con i taglienti regolari e non rovinati, perché se ben affilata potrebbe tendere a sollevare il pezzo o causare rotture nel tentativo di vincere la resistenza del materiale. Su lastre spesse occorre mantenere lubrificata la punta.
Con la carta abrasiva a umido di grana superiore a 600 si rende perfettamente liscia la superficie, lavorando finché non sono sparite le righe lasciate dagli utensili da taglio.
Il plexiglas si incolla con adesivi acrilici che evaporano a contatto con l’aria e vengono assorbiti dal materiale. Si distribuisce l’adesivo tra le due superfici perfettamente levigate poste a contatto con un dosatore munito di un ago.
Imprimere una curvatura al plexiglas è possibile utilizzando il getto di una pistola ad aria calda che ammorbidisca il materiale; se si tratta di una lastra, occorre utilizzare una sagoma di riscontro e passare il getto continuamente avanti/indietro per evitare di bruciare il materiale, lasciando che si incurvi spontaneamente.
La pellicola protettiva presente su entrambe le facce va tolta solo al termine delle lavorazioni, per preservare le superfici da graffi e abrasioni.
Questo pressacapsule permette di separare i fondi del caffè dalle capsule per usare i primi come composto biologico e gettare le seconde nella differenziata
L’utilizzo di macchine per il caffè in capsule a uso domestico è una tendenza fortemente in crescita; anche se di dimensioni ridottissime (poiché il contenuto di caffè tostato e macinato è di soli 7 grammi), le capsule usate vengono smaltite nell’indifferenziata perché normalmente son si può separare il contenuto dall’involucro. Noi, sensibili all’ecosostenibilità, abbiamo inventato e costruito uno speciale pressacapsulemanuale in grado di separare il caffè contenuto nelle capsule usate mediante la pressatura delle stesse, così da usare i fondi come terriccio di coltivazione e avere alluminio pulito da smaltire.
La pressa è realizzata con finiture somiglianti a una macchina del caffè ed è composta da un corpo centrale scatolato che monta al suo interno un pistone mosso da una leva manuale; quando questa viene azionata, il pistone esercita una rilevante pressione di schiacciamento sulla capsula di scarto che, trattenuta da uno speciale diaframma dotato di foro di scarico, viene letteralmente rovesciata su sé stessa, liberandone il contenuto nel cassettino di raccolta sottostante.
Vediamo ora alcuni dettagli del pressacapsule fai da te.
Pezzi metallici di precisione
La fessura sul punzone per inserire la leva, in mancanza di una fresatrice si esegue con un trucco al tornio montando l’utensile sul mandrino e il pezzo sulla torretta portautensile, realizzando la lavorazione con lo spostamento della torretta portautensile contro la fresa.
Un altro trucco è l’utilizzo di un mandrino a morsetti indipendenti per eseguire il foro e la tornitura in posizione eccentrica per la sede di alloggiamento della capsula e il foro di fissaggio sul corpo macchina.
Dopo la lavorazione al tornio si tracciano le linee di taglio sulla piastra portacapsule. Queste delimitano la battuta verso il corpo macchina del pressacapsule, in posizione chiusa e la levetta di manovra sui cui angoli interni si praticano due piccoli fori che agevolano il taglio e la finitura del pezzo.
Il diaframma finito mostra la sede di alloggiamento per la flangia della capsula e della testa della vite di fissaggio snodato.
Sulla faccia frontale da 60 mm del corpo macchina in tubolare 60x80x3 mm si apre una finestra per metà lunghezza e una scanalatura al centro della parte restante; in questa scorre la leva di manovra. Si aprono anche sui lati aperti della finestra i due incassi che bloccano il diaframma quando è chiuso.
Il corpo centrale del pressacapsule completo di carter, base d’appoggio, punzone leve, meccanismi e cassetto pronti per una prova in bianco e per essere verniciati.
La tracciatura è la fase preliminare di ogni lavoro di costruzione, in legno, metallo e altri materiali
La tracciatura, oltre a definire linee di taglio e sagomature, ci permette di individuare i punti critici della costruzione e ci costringe a pianificare il lavoro in modo da non incontrare problemi durante l’esecuzione.
I mezzi da utilizzare sono pochi e semplici, ma devono essere sempre di buona qualità perché un errore in questa fase si propaga e si amplifica in quelle successive.
Le tracciature possono essere materialmente eseguite con matita con mina tenera o con punte di acciaio che scalfiscono il materiale. In ogni caso la traccia deve sempre risultare facilmente asportabile durante il lavoro di finitura.
Attrezzi tracciatura
Truschino, compasso
Squadra, falsa squadra
Curvilinee, metro, goniometro
Cercacentro, matita con mina tenera
Truschino
Il truschino costituito da un’asta, munita di punta o portamina, scorrevole in un blocchetto. Muovendolo lungo il bordo si lascia una traccia parallela, alla distanza prestabilita.
Squadra da falegname
Questo strumento di tracciatura permette di eseguire tracce perpendicolari a un bordo e tracciare figure geometriche con angoli retti. Le squadre sono disponibili anche con angolazione regolabile a goniometro.
Compasso da falegname
In varie misure, il compasso è fornito di fermo d’apertura e portamatita o punte da traccia. Rileva distanze e serve per tracciare figure geometriche regolari.
Tracciatura con curvilinee
Questi strumenti sono essenziali per la creazione di profili complessi su carta, da riportare sul materiale da lavorare per ricalco o per incollaggio del foglio. Esistono con diverse sagome.
Cercacentro
Permette di individuare il centro di un corpo circolare. Poggiati i riscontri sul bordo curvo, si traccia un raggio, poi, spostandolo, se ne traccia un altro: l’incrocio delle tracce è il centro.
La sesta ad aghi
Per la rilevazione e la tracciatura di profili complessi (elementi torniti, sagome di mobili, forme di battiscopa ecc.) e riportarli fedelmente su carta o direttamente sul materiale da lavorare, si utilizza la sesta ad aghi.
Chiamata anche “seguisagoma”, è costituita da due guance fra le quali scorrono, leggermente forzate, barrette più o meno sottili che si spostano poggiandole su un pezzo sagomato riproducendone i contorni, sia in positivo, sia in negativo.
Complice l’obiettivo di adottare pratiche che rendano i nostri consumi più sostenibili, negli Stati Uniti cresce la richiesta del bidet, il sanitario, indispensabile per noi nati in Italia e guardato con diffidenza dalla maggioranza degli altri Paesi al mondo perché, in passato, usato nei bordelli. La sostenibilità in questo caso è chiamata in causa perché un americano consuma mediamente almeno 57 strappi al giorno, 40 rotoli di carta igienica all’anno, numero che, con l’uso del bidet, verrebbe drasticamente ridotto, almeno del 75%. Eppure per la maggior parte degli americani questo sanitario è un oggetto sconosciuto tanto che Shannon Lerda, insieme ad altri, ha fondato il sito TheBidetExperts.com ricordando ancora che al suo primo viaggio in Italia, non sapendo cosa fosse, lo utilizzò per fare il bucato ma, quando ne provò il giusto utilizzo, fu vero amore.
Questa la sintesi della comunicazione molto pragmatica, tipicamente americana, con cui esordisce il sito enunciando vantaggi e svantaggi del nobile sanitario: “migliore igiene, terapeutico per le emorroidi e altre condizioni, più facile da usare per le persone disabili; in un primo tempo il suo uso può mettere a disagio, non c’è spazio in bagno, costa installarlo”. E poi continua con un passo passo dove spiega che ci si può sedere “come se fossi su un water” oppure “come se fossi a cavallo” in maniera più comoda per regolare il flusso e la temperatura dell’acqua e altri dettagli, suggerendo, per ulteriori spiegazioni, di andare al sito www.bidet.org/pages/how-to-use-a-bidet corredato di disegni e didascalie esaurienti. Sono riportate le testimonianze di alcuni che lo hanno provato per la prima volta “… è una cosa geniale, perché non è dappertutto?…” Per noi il concetto è ben radicato e la domanda è la stessa ogni volta che andiamo fuori dall’Italia.
I Paesi nel mondo dove è diffuso il bidet oltre all’italia sono Portogallo, Spagna, Grecia e America latina; in Giappone si usa il washlet, che unisce le funzioni del water e del bidet ed è presente nel 60% delle abitazioni; questo sanitario più tecnologico, che in alcuni casi, opportunamente collegato anche alla rete elettrica e al WIFI, fa cose sorprendenti, inizia a diffondersi anche da noi.
Tornando al bidet come noi lo intendiamo, negli Stati Uniti è ancora poco diffuso ma il dato è che dal 2010 in poi le vendite sono aumentate almeno del 10% ogni anno e nel 2016 se ne sono venduti il 30% più dell’anno precedente; anche gli americani, in particolare i Millennials, per i quali averlo è diventato trendy, ne cominciano a comprendere l’utilità sia da un punto di vista igienico che ambientale.
Troviamo il primo vero e proprio bidet nel 1700 in Francia nell’abitazione di madame De Prie, moglie del Primo Ministro francese, descritta dalle cronache di allora“a cavalcioni di uno strano sgabello a forma di violino”; ma dalla Francia il bidet fu spazzato via dalla rivoluzione come uno dei tanti simboli che ricordavano gli intollerabili lussi dell’aristocrazia, per rimanere, da allora, ancora oggi assai poco diffuso. Il primo bidet della storia d’Italia fu quello inserito nel bagno della Reggia di Caserta dalla Regina di Napoli, Maria Carolina d’Asburgo-Lorena, la prima ad andare serenamente oltre a tutti i pregiudizi sulla questione.
Oggi il bidet, la cui presenza nei bagni è obbligatoria per legge, come vedrete nel dossier da pagina 20, è per noi un sanitario irrinunciabile tanto che Checco Zalone, attore dall’umorismo irresistibile, per descrivere il suo stato d’animo a Parigi, a causa della sua assenza, ha addirittura scritto la canzone “La nostalgie du bidet”.
La modanatura del legno è un’operazione di sottrazione di materiale che modifica un oggetto sagomandolo in modo più o meno complesso e lineare
È principalmente per l’aspetto “finito” che la modanatura si distingue dalle operazioni di sega e pialla che si limitano a modificare la sezione del materiale, per portarlo alla misura voluta. Lo scopo è di ottenere una finitura, spesso con connotazione ornamentale.
La modanatura, tuttavia, ha anche funzioni pratiche: per esempio, l’arrotondamento di uno spigolo non solo lo rende più gradevole al tatto e alla vista, ma anche più difficile da scheggiare; la lavorazione a fodrina di un pannello permette di inserirlo più facilmente nella sua cornice; la “battentatura”, cioè la creazione delle battute sul filo dei serramenti, ne migliora la tenuta.
Alcune modanature in legno vengono usate da tanto tempo che sono diventate classiche, come il toro (un semicilindro sporgente), il guscio (scanalatura concava a quarto di cerchio), l’ovolo (rilievo convesso a quarto di cerchio), la fascia (una lista a spigoli vivi rilevata sulla base) e un’altra dozzina di tipi, più o meno comuni, cui corrisponde il normale assortimento delle frese in commercio.
Profili combinati
Quasi tutte le modanature legno complesse sono combinazioni dei tipi fondamentali e si ottengono sovrapponendo frese diverse sull’albero della toupie o con passate successive della fresatrice attrezzata di volta in volta con la fresa opportuna. La modanatura in legno richiede procedimenti diversi in relazione allo spessore del materiale da lavorare, alla distanza dal bordo del pezzo e, naturalmente, al tipo di macchina che si usa.
Una bella modanatura dev’essere perfettamente uniforme per tutta la sua lunghezza e ciò si ottiene solo se la fresa, durante l’intero suo tragitto, ha lavorato con uguale profondità, a distanza costante e con angolazione (di solito a 90°) sempre esatta rispetto alla superficie e ai bordi del pezzo lavorato.
Un corretto uso delle guide e delle regolazioni della macchina è essenziale per ottenere un risultato perfetto: il labbro della guida parallela e il riscontro del copiatore per esterni devono scorrere su un bordo perfettamente levigato e di spessore sufficiente a garantire un sicuro appoggio: la superficie su cui scivola la suola non deve presentare irregolarità e l’intero percorso della macchina dev’essere libero da ostacoli per la suola e per le barrette che reggono le guide.
Lungo un bordo
Nella modanatura di un bordo si possono presentare due casi: o l’asportazione del materiale interessa solo una parte dello spessore (per esempio arrotondare lo spigolo di un corrimano), o è l’intero spessore del pezzo a dover essere lavorato (creare un ovolo o un toro sul bordo di un tavolo); nel primo caso è possibile lavorare con l’aiuto delle guide, sia quelle della macchina sia quelle delle frese, a perno o a rullino, con una sola passata; nel secondo caso ciò non è possibile perché le guide non troverebbero appoggio.
È evidente infatti che solo materiale abbastanza spesso da consentire un sicuro appoggio delle guide può essere lavorato con questi accessori.
Materiale più sottile, o da fresare per l’intero spessore, può essere lavorato in diversi modi: fissandolo provvisoriamente, ma saldamente, su un pezzo di scarto che ne aumenti lo spessore; con le frese guidate; con la macchina in postazione fissa quando la modanatura interessa l’intero spessore. In alcuni casi si può fresare prima una parte dello spessore e poi, capovolto il pezzo, l’altra parte, lavorando quindi per intero la sua sezione.
Rettificare il bordo
Una modanatura di questo tipo è la rettifica del bordo di un pezzo, irregolare perché il precedente taglio non è stato rettilineo o perché non è perfettamente a squadra con la superficie, come capita col seghetto alternativo o con le seghe a nastro di tipo leggero.
La rettifica si esegue in due fasi: prima si fissa sul pezzo un righello (o una sagoma di forma opportuna se il bordo non è rettilineo) e, facendovi scorrere contro la suola della macchina, si fresa metà dello spessore del pezzo con una fresa cilindrica; poi si capovolge il pezzo, si monta una fresa per rifilare, con cuscinetto in testa, e si passa l’altra metà dello spessore che risulta perfettamente pareggiato a quello fresato precedentemente.
Lavorazioni all’interno del pezzo, oltre la portata delle guide della macchina, possono farsi solo con l’aiuto di righelli o sagome di riscontro.
Modanatura a fodrina
La modanatura a fodrina consiste nel lavorare i bordi di un pannello in modo da creare una superficie inclinata, riducendone lo spessore sul perimetro: questa lavorazione, usata per le antine dei mobili, si esegue sulla toupie con frese a piattabanda, ma esistono anche frese a codolo per la fresatrice portatile.
Il loro unico limite è dato dal diametro della testa tagliente, che permette di lavorare su una fascia di circa 20 mm al massimo. Volendo fare di più si può, per esempio, costruire una guida ad angolo più lunga del pezzo da fresare e, una volta fissato il pannello al banco di lavoro, appoggiare la guida su 2 cunei (uno per parte) che riproducano l’inclinazione desiderata, anch’essi solidali al banco. Procedendo per passate successive, e spostando di volta in volta la guida, si possono ottenere risultati accettabili.
Frese per modanare
Le frese per modanatura devono seguire fedelmente il bordo del pezzo. Le frese con cuscinetto di guida sono risolutive, in questo senso, e permettono di portare la macchina a mano, seguendo anche bordi curvi; tuttavia, dato che il cuscinetto deve appoggiare di lato, seppure su una porzione limitata di legno, non possono lavorare tutto lo spessore del pezzo, se non aumentando provvisoriamente lo spessore con un legno di scarto.
Modanatura fai da te
Per ottenere il grande effetto decorativo di questa modanatura si è usata una sagoma di legno spessa circa 10 mm, applicandola saldamente nella corretta posizione sul pannello da lavorare. In questo caso, per seguire con precisione la forma della sagoma, sulla fresatrice è stato montato il copiatore interno.
A seconda che si lavori all’interno o all’esterno dei pezzi può risultare più o meno necessario l’uso di uno o di un altro tipo di guida; il copiatore interno può essere un’ottima scelta anche per lavorare sul bordo esterno, quando sia necessario regolarizzare e rendere identici più pannelli sagomati.
Combinando lo specchio interno a fodrina con una cornice dai bordi modanati (ovolo all’esterno, ovolo e guscio all’interno) si ottengono risultati professionali nella costruzione di antine.
Con le frese a codolo è possibile bisellare a fodrina bordi di limitata ampiezza; i limiti sono posti dal fatto che i taglienti, aumentando di diametro, producono un attrito che la macchina non riesce a contrastare, inoltre la velocità periferica diventerebbe eccessiva e controproducente.
Le porte scorrevoli a scomparsa sono una soluzione salva spazio perfetta per i piccoli ambienti
La ristrutturazione di una casa è spesso l’occasione per ricavare nuovi ambienti e creare pareti divisorie interne, senza sacrificare spazio e con limitati interventi di muratura. Le porte scorrevoli a scomparsa (quelle che letteralmente sono progettate per scomparire all’interno del muro) possono aggiungere una nota moderna e di design agli ambienti.
Anche sostituire una porta a battente con una porta scorrevole è più facile di quanto si possa pensare, ma è la scelta dei controtelai giusti a fare la differenza.
Le porte scorrevoli a scomparsa sono un’eccellente soluzione salva spazio. Un’ottima idea per piccoli bagni e locali di servizio, queste porte sono perfette anche per aprire gli ambienti più ampi come un soggiorno, e creare un’open space. Si stima che all’interno di un appartamento di 100 mq sia possibile guadagnare fino ad un massimo di 8 mq di spazio extra se si utilizzano ovunque aperture a scomparsa.
Senza l’ingombro di una porta a battente si recuperano centimetri preziosi; con le porte scorrevoli è possibile sfruttare la porzione di muro a ridosso della porta per appoggiare mobili, cosa che sarebbe impossibile nel caso di una porta tradizionale.
Cartongesso – Controtelai per porte a scomparsa
Scegliere i controtelai ECLISSE può fare la differenza nella fase di posa in opera, nella resa estetica finale e nella durata nel tempo.
Struttura aperta
Il controtelaio ECLISSE per cartongesso presenta una struttura aperta, più resistente alle spinte laterali e più facile da fissare alle orditure metalliche.
Non ci sono limiti nelle dimensioni: queste possono essere standard (tipicamente 80 x 210 cm) oppure fuori misura (fino a 200 x 290 cm). Le porte installate possono essere in vetro, legno oppure in legno e vetro o ancora in vetro e alluminio.
Tranquillità garantita
ECLISSE è stata la prima azienda a brevettare il binario estraibile. Questo accorgimento ti permette di intervenire direttamente sulla sede di scorrimento delle porte scorrevoli.
In questo modo potrai ad esempio: installare accessori (per esempio una motorizzazione per automatizzare apertura e chiusura della porta), effettuare interventi di manutenzione per rimuovere polvere ed eventuali residui.
Interruttori e punti luce
ECLISSE ha risolto il problema del posizionamento dei punti luce sviluppando due linee di prodotto predisposte per il passaggio dei cablaggi elettrici per porte con finiture esterne oppure senza stipiti e cornici. In questo modo non avrai alcun vincolo di illuminazione e potrai avere a portata di mano interruttori e prese vicino al foro porta.
La speciale struttura interna del controtelaio delle porte scorrevoli permette di avere lo spazio necessario per il passaggio dei cavi elettrici permettendo il posizionamento di 10 scatole elettriche, 5 da un alto e 5 dall’altro di ogni anta.
Ristrutturare conviene
Per i lavori in casa effettuati nel 2019 è possibile beneficiare della detrazione IRPEF per un importo pari al 50% delle spese sostenute. Informati con il tuo commercialista.
Un lampadario anni ’70 fai da te realizzato con sfere di polistirolo per evocare un’atmosfera vintage e informale
Da un vecchio paralume di abat-jour o piantana, possiamo recuperare il cerchio di metallo (che incorpora il supporto per il portalampada) per creare un originalissimo lampadario anni ’70vintage. L’idea è quella di mascherare la fonte luminosa con sfere di polistirolo unite in una composizione “a cascata” che possa muoversi e dar vita a simpatici effetti luminosi.
Il cerchio diventa il supporto per alcuni fili che attraversano e sostengono le sfere di polistirolo. Nella costruzione proposta le sfere sono state colorate di bianco, ma ogni altro colore e tonalità è a nostra discrezione.
L’unica avvertenza è quella di utilizzare una lampadina che non si scaldi, per esempio le moderne lampade a risparmio energetico che presentano una bassissima emissione di calore, anche se producono buona luminosità.
Occorrente
Un paralume da abat-jour del diametro di circa 30 cm
Una cinquantina di palline di polistirolo bianco ø 8-10 cm
Vernice acrilica spray
Filo di cotone bianco
Ago da tappezziere o uno stecchinolungo con cui forare le palline
Forbici
Portalampada, lampadina di bassa potenza a risparmio energetico (9 W)
Realizzazione lampadario anni ’70
Smontiamo il paralume di un abat-jour, del quale utilizzeremo solo il cerchio in metallo con il supporto per la ghiera portalampada. Puliamo accuratamente tutta la superficie del cerchio.
Riparando il piano d’appoggio con un foglio di carta, spruzziamo la pittura bianca sul cerchio di metallo. Possiamo sostenerlo con un bastoncino per colorarlo completamente e non sporcarci le mani.
Tagliamo un pezzo di filo lungo circa 60 cm, leghiamolo con nastro a uno stecchino e facciamolo passare completamente nelle palline di polistirolo: tre gruppi da 3, tre da 5 e sei da 4.
Leghiamo le file di palline intorno al cerchio, prima una serie da 3, poi da 4, poi da 5 e di nuovo da 4, ripetendo lo schema tre volte, in modo che le palline risultino disposte simmetricamente.
Nel legare il filo, non tendiamolo troppo, perché il lampadario mantenga l’effetto “mobile”. Con un paio di forbici a lame lunghe tagliamo il filo in eccedenza appena sopra il nodo.
Montiamo al centro del cerchio di metallo il portalampada, al quale avviteremo la lampadina.
Il lampadario anni ’70 fai da te è ora pronto per dare un tocco di novità a un ambiente vintage e informale.
Sagome di polistirolo
Le sagome di polistirolo per decorazione sono disponibili in differenti forme (sfere, cuore, stella, campana ecc.) e con grandezze variabili, si va da dalle piccole sfere di 3-4 cm di diametro, fino a forme voluminose.
Oltre a questo lampadario anni ’70 possono essere utilizzate per creare oggetti decorativi molto differenti, dai classici ovetti pasquali rivestiti con tessuto alla personalizzazione delle palline di Natale da mettere sull’albero.
Il comodino sospeso è un complemento d’arredo poco ingombrante, ideale per non occupare spazio a terra a lato del letto
Ci si arrovella spesso in costruzioni lunghe e complesse, ma ci si dimentica che a volte le soluzioni semplici sono le più efficaci, oltre che economiche, in più, osservando meglio questo essenziale comodino sospeso, emergono caratteristiche tipiche di molti oggetti di design.
Una forma semplice, una funzionalità essenziale, l’accostamento di due materiali naturali così diffusi e così diversi tra loro, l’umiltà del legno che sposa la lucente preziosità (anche all’acquisto!) del rame.
Per chi ha un minimo di laboratorio, probabilmente la lamina di rame è l’unico componente da acquistare per portare a compimento questo lavoro, il resto può far parte di rimanenze o recuperi.
Per costruire questo comodino sospeso ci si può anche risparmiare la bisellatura consigliata per unire le due tavolette a 90° e ripiegare su una spinatura o a semplici viti inserite da sotto.
Occorrente
Pannello di legno 800x200x18 mm;
lamine di rame 1000x300x1,5 mm;
2 piastrine per sospensione 40×4,5 mm;
4 viti Ø 3,5×16 mm;
2 viti Ø 4×60 mm con relativi tasselli;
portalampada con cavo e spina (o interruttore);
colla vinilica;
colla a contatto;
impregnante.
Comodino sospeso fai da te
Per preparare la struttura di supporto a parete per la mensola comodino si tracciano sul pannello di legno due riquadri da 185×350 mm, quindi si taglia lungo la linea mediana. Su ciascuno dei due pezzi risultanti, uno dei lati lunghi va bisellato a 45° inclinando la suola della sega circolare.
Uno dei due pannelli del comodino pensile si appoggia con la faccia bisellata rivolta in basso e, in prossimità del lato lungo opposto, si tracciano le sedi per le piastrine di aggancio. Indicativamente è bene tenersi a 40 mm dai lati corti e a 30 mm dal lato lungo.
Per far sì che le piastrine rimangano sotto filo piano, si aprono le sedi cieche con una punta Forstner, praticando 3 fori affiancati per ciascuna, di profondità appena sufficiente.
Sull’altra tavoletta si pratica, con una sega a tazza di diametro idoneo, il foro per alloggiare il portalampada, il più possibile vicino al lato che andrà rivolto verso il letto (così da lasciare spazio per appoggiare altri oggetti).
Le superfici di legno del comodino sospeso vengono rifinite con una levigatrice orbitale a delta in grado di lavorare bene anche sullo spessore dei pezzi e di smussare lievemente i bordi.
Prima di incollare le due tavolette, si eliminano tutte le irregolarità dei tagli con carta vetrata; si stende quindi un cordone di colla sulle bisellature e si compone la struttura del comodino mensola a 90°. Se non si dispone di strettoi angolari per mettere in morsa, si può ricorrere a un semplice trucco: dopo aver steso la colla, si piantano alcuni chiodini (semini) nelle bisellature, inserendoli solo per metà e asportando la testa con un tronchesino prima di unire i due pezzi. La colla che fuoriesce va subito rimossa con un panno umido.
A colla asciutta si applicano due mani di impregnante, intercalate da una passata di carta vetrata medio-fine; i bordi in testa assorbono di più, quindi può essere utile tenersi più leggeri.
Sulla lamina di rame si disegnano, con una punta tracciante, i due pezzi da ritagliare: uno da 185×350 mm che verrà collocato a sbalzo e uno da 167×350 mm (per via della bisellatura) per rivestire la parte verticale del comodino sospeso. I due pezzi si incollano con colla a contatto stesa in modo uniforme con una spatolina. Se non si è reperito un portalampada con involucro ramato, se ne può utilizzare uno in plastica e rivestirlo tagliando una striscia di lamina avanzata. In questo caso, la striscia va arrotondata a cilindro per farla aderire al portalampada e incastrata nel foro sul piano.
Fissaggio a muro
Le piastrine di aggancio vanno avvitate nelle loro sedi, badando che la parte più larga dell’asola sia rivolta in basso.
Si tracciano a parete i punti di fissaggio per il comodino sospeso, si fora e si inseriscono i tasselli; le viti sono volutamente più lunghe del necessario e vanno lasciate sporgere quanto basta a permettere di agganciare il comodino facendolo appoggiare a parete.
Nel foro praticato con la sega a tazza sul piano orizzontale si fa passare il cavo di alimentazione fino a incastrare di misura nel foro stesso il portalampada con rivestimento in rame.
Mai come in questi anni i buoni propositi messi sulla carta da chi ci governa, dall’Unione Europea, dall’Organizzazione delle Nazioni Unite, sono stati così numerosi e vòlti a invertire tutte le rotte fin qui seguite. A cominciare dal passaggio dall’economia lineare, quella sprecona e consumistica “prendi, produci, smaltisci e inquini”, a quella circolare a ciclo chiuso che, come avveniva prima dell’industrializzazione, riciclava e rigenerava tutto. Per poi parlare di altre buone pratiche che spaziano dall’ecologia all’eliminazione della fame, delle malattie, delle disuguaglianze, dall’utilizzo responsabile delle risorse idriche, ai sistemi di energia alternativa, all’istruzione per tutti, al rendere le città inclusive, le società pacifiche etc. Questi i principali tra i “17 goal”, ovvero gli obiettivi stabiliti dall’agenda 2030 (anno entro il quale ci si prefigge di averli raggiunti) di un programma sottoscritto nel 2015 dai Paesi membri dell’ONU, che ci renderanno un mondo quasi perfetto… sic; pur essendo ottimista, per motivi oggettivi, faccio un po’ fatica a credere che tutto ciò si verificherà.
Comunque la notizia assai curiosa, che rientra nei concetti della premessa, ci viene dagli Stati Uniti dove sono stati presentati al meeting dell’American Association for the Advancement of Science i risultati dell’esperimento condotto da Recompose, “una società di pubblica utilità, che privilegia le persone e l’ambiente rispetto al profitto”: i defunti trasformati in terriccio, una soluzione che non inquina e rispetta gli standard di sicurezza, già legalizzata a Washington. Il sistema sperimentato da Recompose è semplice e avviene tutto all’interno di una “capsula”, prima vengono tolti protesi e pacemaker, poi i corpi vengono adagiati in una cassa larga 1,2 metri, lunga poco più di 2, riempita con erba medica, trucioli di legno e paglia, poi l’ambiente viene riscaldato a 65,5 °C. Così faciltata, la decomposizione avviene in 30 giorni. Alla fine si ottiene circa un metro cubo di terreno per ogni defunto, che familiari e amici possono portare a casa in parte o interamente. Il servizio costerà 5.500 dollari e secondo i piani sarà attivo da dicembre 2020.
Le tecniche di sepoltura tradizionali incidono in modi diversi sull’ecosistema, oltre a richiedere grandi quantità di spazi. La tumulazione in terra comporta spesso l’inquinamento dei terreni con materiali non degradabili; con la cremazione si bruciano combustibili fossili emettendo tonnellate di anidride carbonica nell’atmosfera, negli Stati Uniti l’equivalente di oltre 70.000 auto che circolano per un anno. In poche parole l’ultima cosa che la maggior parte di noi farà su questo pianeta è avvelenarlo; con il sistema Recompose il ciclo si chiude, in tutti i sensi… in maniera molto gentile, romantica ed ecologica, restituendo alla terra almeno una piccolissima parte di ciò che ci ha dato durante la vita. www.recompose.life
I battiscopa fai da te in legno sono facili da realizzare: si utilizzano una combinata, una fresatrice e si rifiniscono con impregnante e vernici o smalti
Una combinazione di modanatura e di scanalatura permette a chi possiede una fresatrice di risparmiare un bel po’ di quattrini realizzando in proprio quei battiscopa fai da te che nei negozi fanno bella mostra di sé a un prezzo decisamente esagerato rispetto al materiale e al lavoro che sono serviti a farli.
Lo zoccolino in fondo non è che una doga di legno lunga e sottile, sagomata davanti in alto per raccordarsi alla parete e smussata dietro in basso per evitare le irregolarità di giunzione fra parete e pavimento.
Oltralpe, dove (specialmente nelle vecchie costruzioni) i fili dell’impianto elettrico, del telefono e della TV non sono incassati, quasi tutti gli zoccolini e le cornici delle porte hanno già delle scanalature per il passaggio dei cavi.
Avendo questa necessità è consigliabile usare tavole da 12 o 15 mm in cui ci stia tutto; altrimenti bastano da 10 mm.
Quale legno
Di solito per realizzare i battiscopa fai da te si usa un legno duro; ma anche il pino o l’abete, magari di recupero, possono servire ottimamente allo scopo.
Per prima cosa le tavole vanno portate allo stesso spessore e alla stessa larghezza (la lunghezza ha poca importanza anche se l’ideale sarebbe un unico pezzo di battiscopa per ogni parete).
Lo spigolo basso, lato parete, va smussato per il lungo con una fresa a 45° con cuscinetto di guida; un’analoga fresatura, ma di entità minima, può essere fatta anche anteriormente. In alto, il bordo si smussa ed eventualmente modanato solo per necessità estetiche; le scanalature per i fili non debbono oltrepassare metà dello spessore.
Un paio di mani di impregnante antiumido e antimuffa, una mordenzatura in colore che si accordi all’arredamento e, solo davanti, un paio passate di flatting, e il lavoro è fatto.
Realizzazione
Le lavorazioni per ottenere bei battiscopa fai da te, partendo da semplici tavole, non sono poche, ma sono semplici e il risultato è di sicuro effetto.
Una combinata per legno è certamente l’attrezzo ideale per rendere tutti uguali i listelli, rifilandoli in larghezza con la circolare e portandoli a identico spessore con la pialla; ovviamente tutto si può fare con stazionarie separate, anche di livello amatoriale.
Le passate di fresatrice come minimo sono due, qualche volta di più: spesso nella parte bassa vanno fatti due smussi a 45°, davanti leggerissimo, mentre dietro un po’ più profondo (senza far diventare una V il bordo inferiore); posteriormente, se si vuole fare lo scasso per un eventuale passaggio di cavi, bisogna fare una o più passate con una fresa a testa tonda; infine, per il bordo a vista superiore, premesso che dev’essere smussato, si può anche optare per fresature più elaborate, come nel caso della foto.
Dato che rimangono vicino a terra e possono essere bagnati durante le pulizie, gli zoccolini, prima di essere verniciati, oppure smaltati, vanno trattati con impregnanti protettivi.
Non rimane che procedere con la posa del battiscopa fai da te.