Mai come in questi anni i buoni propositi messi sulla carta da chi ci governa, dall’Unione Europea, dall’Organizzazione delle Nazioni Unite, sono stati così numerosi e vòlti a invertire tutte le rotte fin qui seguite. A cominciare dal passaggio dall’economia lineare, quella sprecona e consumistica “prendi, produci, smaltisci e inquini”, a quella circolare a ciclo chiuso che, come avveniva prima dell’industrializzazione, riciclava e rigenerava tutto. Per poi parlare di altre buone pratiche che spaziano dall’ecologia all’eliminazione della fame, delle malattie, delle disuguaglianze, dall’utilizzo responsabile delle risorse idriche, ai sistemi di energia alternativa, all’istruzione per tutti, al rendere le città inclusive, le società pacifiche etc. Questi i principali tra i “17 goal”, ovvero gli obiettivi stabiliti dall’agenda 2030 (anno entro il quale ci si prefigge di averli raggiunti) di un programma sottoscritto nel 2015 dai Paesi membri dell’ONU, che ci renderanno un mondo quasi perfetto… sic; pur essendo ottimista, per motivi oggettivi, faccio un po’ fatica a credere che tutto ciò si verificherà.
Comunque la notizia assai curiosa, che rientra nei concetti della premessa, ci viene dagli Stati Uniti dove sono stati presentati al meeting dell’American Association for the Advancement of Science i risultati dell’esperimento condotto da Recompose, “una società di pubblica utilità, che privilegia le persone e l’ambiente rispetto al profitto”: i defunti trasformati in terriccio, una soluzione che non inquina e rispetta gli standard di sicurezza, già legalizzata a Washington. Il sistema sperimentato da Recompose è semplice e avviene tutto all’interno di una “capsula”, prima vengono tolti protesi e pacemaker, poi i corpi vengono adagiati in una cassa larga 1,2 metri, lunga poco più di 2, riempita con erba medica, trucioli di legno e paglia, poi l’ambiente viene riscaldato a 65,5 °C. Così faciltata, la decomposizione avviene in 30 giorni. Alla fine si ottiene circa un metro cubo di terreno per ogni defunto, che familiari e amici possono portare a casa in parte o interamente. Il servizio costerà 5.500 dollari e secondo i piani sarà attivo da dicembre 2020.
Le tecniche di sepoltura tradizionali incidono in modi diversi sull’ecosistema, oltre a richiedere grandi quantità di spazi. La tumulazione in terra comporta spesso l’inquinamento dei terreni con materiali non degradabili; con la cremazione si bruciano combustibili fossili emettendo tonnellate di anidride carbonica nell’atmosfera, negli Stati Uniti l’equivalente di oltre 70.000 auto che circolano per un anno. In poche parole l’ultima cosa che la maggior parte di noi farà su questo pianeta è avvelenarlo; con il sistema Recompose il ciclo si chiude, in tutti i sensi… in maniera molto gentile, romantica ed ecologica, restituendo alla terra almeno una piccolissima parte di ciò che ci ha dato durante la vita. www.recompose.life
I battiscopa fai da te in legno sono facili da realizzare: si utilizzano una combinata, una fresatrice e si rifiniscono con impregnante e vernici o smalti
Una combinazione di modanatura e di scanalatura permette a chi possiede una fresatrice di risparmiare un bel po’ di quattrini realizzando in proprio quei battiscopa fai da te che nei negozi fanno bella mostra di sé a un prezzo decisamente esagerato rispetto al materiale e al lavoro che sono serviti a farli.
Lo zoccolino in fondo non è che una doga di legno lunga e sottile, sagomata davanti in alto per raccordarsi alla parete e smussata dietro in basso per evitare le irregolarità di giunzione fra parete e pavimento.
Oltralpe, dove (specialmente nelle vecchie costruzioni) i fili dell’impianto elettrico, del telefono e della TV non sono incassati, quasi tutti gli zoccolini e le cornici delle porte hanno già delle scanalature per il passaggio dei cavi.
Avendo questa necessità è consigliabile usare tavole da 12 o 15 mm in cui ci stia tutto; altrimenti bastano da 10 mm.
Quale legno
Di solito per realizzare i battiscopa fai da te si usa un legno duro; ma anche il pino o l’abete, magari di recupero, possono servire ottimamente allo scopo.
Per prima cosa le tavole vanno portate allo stesso spessore e alla stessa larghezza (la lunghezza ha poca importanza anche se l’ideale sarebbe un unico pezzo di battiscopa per ogni parete).
Lo spigolo basso, lato parete, va smussato per il lungo con una fresa a 45° con cuscinetto di guida; un’analoga fresatura, ma di entità minima, può essere fatta anche anteriormente. In alto, il bordo si smussa ed eventualmente modanato solo per necessità estetiche; le scanalature per i fili non debbono oltrepassare metà dello spessore.
Un paio di mani di impregnante antiumido e antimuffa, una mordenzatura in colore che si accordi all’arredamento e, solo davanti, un paio passate di flatting, e il lavoro è fatto.
Realizzazione
Le lavorazioni per ottenere bei battiscopa fai da te, partendo da semplici tavole, non sono poche, ma sono semplici e il risultato è di sicuro effetto.
Una combinata per legno è certamente l’attrezzo ideale per rendere tutti uguali i listelli, rifilandoli in larghezza con la circolare e portandoli a identico spessore con la pialla; ovviamente tutto si può fare con stazionarie separate, anche di livello amatoriale.
Le passate di fresatrice come minimo sono due, qualche volta di più: spesso nella parte bassa vanno fatti due smussi a 45°, davanti leggerissimo, mentre dietro un po’ più profondo (senza far diventare una V il bordo inferiore); posteriormente, se si vuole fare lo scasso per un eventuale passaggio di cavi, bisogna fare una o più passate con una fresa a testa tonda; infine, per il bordo a vista superiore, premesso che dev’essere smussato, si può anche optare per fresature più elaborate, come nel caso della foto.
Dato che rimangono vicino a terra e possono essere bagnati durante le pulizie, gli zoccolini, prima di essere verniciati, oppure smaltati, vanno trattati con impregnanti protettivi.
Non rimane che procedere con la posa del battiscopa fai da te.
Questo eccezionale sigillante e adesivo, spesso si oppone alla sua asportazione, quando desideriamo sostituirlo. Bisogna agire con cautela per non danneggiare i supporti. Ecco come togliere il silicone e ottenere un ottimo risultato
Sapere esattamente come togliere il silicone non è cosa scontata… occorre conoscerne le sue caratteristiche intrinseche per procedere alla rimozione in modo preciso ed efficace.
Il silicone è un potente adesivo sigillante che trova numerose applicazioni nella nostra casa come nelle sigillature lungo i bordi dei sanitari a contatto con le pareti o il pavimento, lungo il perimetro dei vetri delle finestre, i box doccia e così via.
Chiamiamo usualmente “silicone” un prodotto che, in effetti, è disponibile in tre tipologie diverse:
Silicone acetico
Silicone acrilico
Silicone neutro
Capire come rimuovere il silicone esige innanzitutto la conoscenza delle caratteristiche di queste tre tipologie di silicone.
Silicone acetico
È il più diffuso e normalmente utilizzato in casa nella sigillatura di sanitari in bagno e in cucina. Quando viene applicato diffonde il tipico odore di acido acetico, che si libera durante la polimerizzazione.
Impermeabile ed elastico è disponibile nel colore bianco, nero, trasparente. Non può essere pitturato.
Silicone acrilico
Viene impiegato preferibilmente su materiali porosi come laterizi, cartongesso sia in interni che in esterni. Di colore bianco o grigio, può essere pitturato quando è asciugato e indurito.
Silicone neutro
Si impiega solitamente su materiali più delicati quali legno, PVC policarbonati, specchi in quanto non provoca corrosione. Può essere additivato con sostanze antimuffa ed è prodotto in vari colori.
Perché asportare il silicone?
Anche se si tratta di un prodotto insensibile alla maggior parte delle sostanze utilizzate in casa, il silicone subisce un certo degrado col passare del tempo ed è per questo motivo che vale la pena sostituirlo e quindi capire esattamente come togliere il silicone.
Possono prodursi muffe molto antiestetiche lungo il suo sviluppo e possono verificarsi dei distacchi dai materiali su cui è applicato, con conseguente perdita della funzione di sigillatura. In queste situazioni è sempre conveniente asportare il cordone di silicone e rinnovare la sigillatura con silicone nuovo.
Qui, spesso, cominciano i problemi perché il silicone pone una certa resistenza a una asportazione completa in quanto è elastico e si spezza facilmente, rimanendo ben aderente nei punti dove è meglio ancorato. Quando si riesce a toglierlo sono sempre numerosi i pezzetti di silicone che rimangono sui sanitari, piastrelle, vetro ecc.
Come togliere il silicone
Tempo richiesto: 2 ore
Riferiamoci, come esempio, al classico cordone di silicone che sigilla il bordo di un sanitario. Prima di intervenire dobbiamo valutare quanto tale cordone sia duro e ancorato.
Munirsi di raschietto con lama sottile
Nel caso che presenti già dei distacchi e delle discontinuità conviene agire con un raschietto dotato di lama sottile e affilata. Possiamo utilizzare un cutter oppure uno dei numerosi raschietti prodotti per questo specifico impiego che sono dotati di lame di varia geometria: frontali, ad angolo, flessibili ecc.
Avanzare con la lama lungo il giunto
Si agisce incuneando la lama lungo un bordo del cordone e facendola avanzare lungo il giunto sigillato eventualmente azionandola leggermente avanti e indietro come fosse un seghetto.
Ripetiamo lungo l’altro bordo
Quando abbiamo staccato un bordo ripetiamo a medesima operazione lungo l’altro bordo, agendo allo stesso modo.
Asportare la parte che si è staccata
Ora è possibile asportare delicatamente la parte che è stata staccata tirando via con le mani il cordone di silicone, insistendo con la lama del raschietto ove questo fosse ancora aderente al supporto.
Controllare che non ci siano pezzetti di silicone sui supporti
Dopo questa prima operazione, rimarranno inevitabilmente sui supporti dei pezzetti di silicone o una sottile patina di questo materiale.
Asportiamo i residui aiutandoci con il calore
Per asportare questi residui possiamo intervenire riscaldandoli con un fohn o con una pistola termica impostata a media potenza. Il calore ammorbidisce il materiale che può essere staccato con il raschietto. Si tratta di un lavoro abbastanza lungo e paziente.
Strofinare le superfici per far arricciare eventuali residui
Con una spugnetta imbevuta di acqua calda si strofinano le superfici per far arricciare eventuali residui. In questa fase può essere utile impiegare un poco di bicarbonato applicato come il sale sui cibi, in quanto il suo leggero potere abrasivo aiuta nell’asportazione di residui ben aderenti ai supporti.
Lavare accuratamente
Conclude l’operazione un accurato lavaggio con acqua calda e una spugnetta.
Cosa fare quando il silicone resiste tenacemente
Non è infrequente il caso che il cordone di silicone non si stacchi facilmente anche adoperando il raschietto, oppure, se si stacca, può capitare che i residui siano molto resistenti all’asportazione.
In questo caso è conveniente utilizzare uno degli speciali preparati chimici in grado di rimuovere il silicone più ostinato. Ve ne sono di varia tipologia ed efficacia.
Attenzione: si tratta, in alcuni casi, di prodotti contenenti acido fosforico, quindi potenzialmente dannosi per la persona e per l’ambiente. L’utilizzo va sempre eseguito adottando le norme di impiego (sempre indicate nelle schede di sicurezza) come aerazione dell’ambiente, assenza di scintille o fiamme libere, utilizzo di guanti, occhiali, mascherine ecc.
Evitare sempre il contatto con tali sostanze e il rilascio delle stesse nell’ambiente. In altre parole si tratta di sostante il cui utilizzo deve essere assolutamente consapevole.
Consultare sempre la scheda tecnica prima di ogni intervento perché il prodotto potrebbe risultare dannoso per alcuni materiali.
Come si interviene
Se i residui di silicone mostrano ancora una particolare consistenza (dopo un primo intervento con il raschietto) si deve applicare con un pennellino il prodotto puro in modo da coprire completamente ogni residuo di silicone presente.
Si lascia agire il prodotto per circa 15/20 minuti (o altro tempo a seconda delle indicazioni) in modo che possa fare un effetto solvente sul silicone.
Dopo questa attesa si interviene o con il raschietto o con l’apposita spatolina che alcuni produttori allegano alla confezione del prodotto. Man mano che si effettua il distacco si pulisce la parte con carta da cucina. Se risulta necessario, si può ripetere l’applicazione anche allungando il tempo di applicazione del prodotto.
Conclude l’intervento un accurato lavaggio con acqua calda.
Se qualche residuo permane sulle mani si può inumidire con alcool e strofinare delicatamente con un panno. In alternativa è possibile usare anche l’acetone.
Come togliere il silicone dai vestiti?
Può capitare di macchiare i vestiti durante l’applicazione del silicone. Un intervento rapido consiste nel poggiare sulla macchia una carta assorbente e passarvi sopra il ferro da stiro caldo. In altri casi conviene nel lasciar asciugare e indurire il silicone per poi asportarlo tirandolo via delicatamente.
Come togliere il silicone dai vetri?
Per rimuovere il silicone dai vetri si può utilizzare dell’alcool denaturato. Dopo aver atteso qualche minuto i residui verrano asportati con un raschietto.
Il parquet a soffitto può essere installato utilizzando gli stessi listoni di parquet lamellare destinati alle pavimentazioni
Una cosa è certa: questo parquet a soffitto difficilmente sarà soggetto a graffi o scalfitture, né potrà macchiarsi o richiedere una costante pulizia.
Tra i vari metodi di posa del parquet, la posa a soffitto ci mancava proprio e, a dispetto di chi sostiene che il parquet laminato si possa posare solo flottante o incollato, qui è stata realizzata la posa inchiodata.
Possiamo scherzarci sopra, ma questa soluzione ha il suo perché, d’altronde se sta bene sul pavimento può star bene anche a soffitto.
Per prima cosa bisogna predisporre un’intelaiatura di sostegno, realizzata con listelli reggitegola 50×30 mm avanzati da un lavoro precedente. Per fissarli a soffitto si utilizzano tasselli da 6 mm e viti lunghe 30 mm più del necessario, dovendo attraversare lo spessore dei listelli, preforati allo scopo.
La posa del parquet a soffitto è ben più stressante di quella a pavimento; per fortuna i bordi dei listoni sagomati a incastro collaborano nel mantenerli in posizione al momento della chiodatura, operazione impensabile da eseguire a mano. Serve assolutamente una sparachiodi che, anche se ha un certo peso, conficca i chiodini in un sol colpo.
Come succede dopo la posa tradizionale, a fine lavoro lungo il perimetro del soffitto rimane una fessura, da nascondere con l’applicazione di una cornice fissata a parete con chiodini d’acciaio (una sorta di battiscopa, ma a soffitto).
Posa fai da te
Il montaggio del parquet a soffitto inizia sul lato opposto alla porta d’ingresso, nell’angolo più in vista, in modo da partire con listoni interi e lasciare che eventuali tagli correttivi ricadano in una zona meno in evidenza. L’interasse dei listelli di sostegno va calcolato in base alla lunghezza dei listoni (1230 mm), facendo in modo che le teste di due listoni consecutivi ricadano al centro di un listello. Per avere anche un appoggio centrale, l’interasse da mantenere è di 615 mm.
I listoni vanno sfalsati sulle file: la prima fila inizia con un listone intero, la seconda con un listone tagliato a metà, la terza nuovamente con un listone intero e così via.
Per velocizzare il fissaggio del parquet a soffitto si utilizza una chiodatrice elettrica (o pneumatica) caricata con chiodi zigrinati da 25 mm, di colore brunito per meglio confonderli con quello dei listoni.
Se necessario, l’intercapedine risultante tra i listelli di supporto può essere utilizzata per inserirvi pannelli di materiale isolante, limitando le dispersioni e riducendo i rumori da calpestio provenienti dal locale superiore. In tal caso, la posa dei pannelli deve procedere di pari passo con quella dei listoni.
Terminata la posa, il perimetro del soffitto viene rifinito con l’applicazione di una cornice di listelli 20×8 mm, nascondendo così le fessure tra soffitto e parete.
Il piatto doccia Grandform tagliabile è progettato per adattarsi a pareti irregolari e realizzare box doccia su misura
Capita, soprattutto nei lavori di ristrutturazione, di trovarsi con pareti fuori piombo, angoli non a 90° oppure colonne che limitano o impediscono addirittura l’installazione di un box doccia grande. Il piatto doccia Grandform è fatto per poter essere tagliato facilmente per adattarlo a uno spazio in pianta irregolare.
Grandform piatto doccia
Le situazioni sono le più disparate. In questo approfondimento mostriamo due casi esemplificativi: il primo vede come problema la presenza di una parete inclinata rispetto a quella vicina, sicché il piatto doccia deve assumere forma trapezoidale; il secondo la presenza di una colonna.
Piatti doccia Grandform per spazi irregolari
Va premesso che la prima operazione è sempre quella di prendere tutte le misure dello spazio disponibile; rilevata la presenza dell’irregolarità, per ordinare il piatto doccia, si fa riferimento alle dimensioni massime in larghezza e profondità.
Per procedere con l’installazione si misura con precisione la lunghezza del lato più corto (a) e del lato che con questo forma l’angolo irregolare (b).
Con una falsa squadra si rileva l’entità dell’angolo irregolare.
Mantenendo la falsa squadra con tale apertura, si riporta l’angolo sul piatto doccia Grandform. Con una riga si traccia a matita la linea del taglio da effettuare. Prima di procedere si verifica che la lunghezza del taglio corrisponda alla misura del lato b.
Per un taglio lungo e rettilineo l’ideale è usare una macchina, ma il materiale di cui è costituito il piatto e lo spessore di soli 30 mm permettono di lavorare molto bene anche con una smerigliatrice angolare con disco diamantato.
Sulla superficie del taglio bisogna applicare e spalmare con una spatola un velo di silicone acetico, per normali sigillature.
Una volta essiccato il silicone, il piatto può essere messo in sede. La precisione è tale che basta applicare lo stucco per le fughe.
Adattare il piatto doccia in presenza di una colonna
Questa è un’altra situazione critica frequente, ma con il piatto doccia Grandform tagliabile la colonna che incombe nell’area dedicata alla doccia non impedisce più di utilizzare lo spazio disponibile e rende semplice assecondare la sporgenza.
In questo caso, scelto il piatto doccia di dimensioni tali da coprire l’intero spazio disponibile, si rilevano con attenzione le misure della rientranza, controllando che le sue due facce formino un angolo retto e che siano di 90° anche gli angoli che queste formano con le pareti a fianco.
Le misure rilevate si riportano sul piatto doccia Grandform; si determina in quale lato tracciare la marcatura di taglio, facendo riferimento alla posizione dello scarico.
Trattandosi di una resega regolare, si tracciano le linee di taglio usando una squadra a cappello.
Per evitare che nell’operazione di taglio possano originarsi venature nel materiale, si effettua un foro da 6 mm di diametro nella convergenza delle due linee. Due pezzetti di nastro di carta sul punto del foro impediscono alla punta di scivolare di lato all’avvio dell’operazione.
Lo spessore del piatto di soli 30 mm permette un agile taglio anche con la smerigliatrice angolare piccola.
Anche in questo caso la superficie in spessore del taglio va sigillata con silicone, da spalmare in strato sottile con la spatola.
Il piatto doccia entra perfettamente nella sede sfruttando quindi tutto lo spazio esistente.
Box doccia e pareti irregolari
Oltre alla superficie in pianta, seri problemi di irregolarità possono sorgere anche per le pareti che accusano difetti di verticalità e, talvolta, di spanciamento.
Vediamo come fanno i professionisti i rilevamenti necessari per ordinare il box doccia Grandform GLX8, fatto su misura, considerando i diversi casi di posizionamento delle piastrelle rispetto al piatto doccia Grandform.
Diverse situazioni
Per ognuno dei due principali casi di box doccia, a chiudere due pareti a L (A) oppure tre pareti a U (B), si possono avere tre configurazioni: rivestimento di piastrelle che affiancano il piatto doccia (1), rivestimento che sormonta il piatto doccia (2), piatto doccia a filo pavimento (3).
Nelle situazioni A ci interessa il controllo dell’unica parete laterale e di quella di fondo, mentre nelle situazioni B ci concentriamo solo sulle due pareti laterali.
Come prendere le misure
Pur essendo certi della corretta installazione, la prima cosa da verificare è che il piatto doccia Grandform sia perfettamente in bolla nei due sensi, poi inizia il controllo della verticalità delle due pareti interessate.
Si usa una livella a fiala appoggiata alla stadia.
La misurazione va fatta sulla linea verticale delle pareti in cui verrà applicato il profilato del box doccia; quindi nel caso mostrato (nicchia) si posiziona la stadia al limitare della parete sinistra e di quella destra.
Attenzione, perché un minimo spostamento della bolla dal centro, nell’estensione della parete (altezza circa 2 metri o poco meno), può provocare un errore di fuori piombo piuttosto importante, difficilmente colmabile con comuni box doccia. L’errore, se presente, va misurato tenendo la stadia in posizione verticale, sempre con l’aiuto della bolla, e misurando la distanza massima che si viene a creare dalla parete.
Il fuori piombo è positivo quando il discostamento avviene nella parte alta della parete;…
… è negativo quando avviene nella parte bassa.
Lo spanciamento di una parete si verifica e si misura rilevando la larghezza utile per il posizionamento del box alla base, sopra il piatto doccia Grandform, a circa un metro di altezza e alla sommità delle pareti.
In tutti questi casi le misure vanno rigorosamente annotate su uno schema per effettuare l’ordine del box. Grandform
Il cacciavite, come suggerisce il nome, è un utensile manuale fondamentale per avvitare e svitare le viti
Dopo il martello il cacciavite è l’utensile manuale più diffuso e utilizzato. È dotato di gambo metallico, impugnatura e serve per avvitare e svitare le viti. Le impugnature in plastica rigida sono quasi del tutto scomparse e si sono diffuse versioni più piacevoli al tatto, opportunamente modellate e in grado di offrire una migliore presa.
Nella nostra dotazione è importante avere a disposizione una discreta gamma di esemplari, diversi per misura e per tipo di impronta: accanto al tradizionale cacciavite a taglio, servono quelli con lama a croce, di tipo Torx (per viti di auto) e a brugola.
Le punte
Le punte standard sono piatte o a croce. Questo secondo tipo si divide in due famiglie: i Phillips e i Pozidriv.
Nei cacciavite a stella con impronta Phillips (prevalente nelle viti per metallo) la punta è una croce semplice e poco profonda, nata per fornire una coppia di serraggio limitata e non strappare il filetto.
Nella punta Pozidriv ogni ala ha una doppia lavorazione che fascia le facce parallele e consente di imprimere una forza superiore.
L’impugnatura
È un elemento fondamentale che influisce sulla praticità dell’utensile. In foto sono visibili: A – a “T” con doppia funzione; B – con presa morbida; C – tradizionale.
Tipologie di cacciavite
Azionabile a chiave
Una corona esagonale posta alla base dello stelo serve da presa per una chiave a forchetta e consente di esercitare sull’utensile una grande forza di torsione senza affaticare la mano.
Gambo isolato
Il cacciavite elettrico o elettronico presenta un manico isolato molto allungato rispetto allo stelo metallico, per ridurre i rischi di contatto. Anche lo stelo è rivestito con isolante.
Con portabit
Il portabit permette di avere a disposizione punte diverse senza cambiare utensile. Lo stelo è dotato di portainserti (o bit), corte punte con attacco esagonale e intaglio diversificati.
Cacciavite cercafase
Il cercafase è uno strumento usato per individuare la presenza di tensione elettrica su un elemento circuitale e per individuare la presenza di una fase su un conduttore.
Nano
In alcune situazioni non si riesce ad azionare l’utensile in asse con la vite a causa dello spazio ristretto in cui si lavora. Il modello “nano” risolve questa situazione con il suo corto stelo.
A cricchetto
L’impugnatura del cacciavite a cricchetto non è solidale con lo stelo, ma è fornita di un meccanismo che permette di avvitare e poi ruotarla indietro senza muovere lo stelo e senza aprire la mano.
Magnetizzare la punta
La punta magnetizzata ci permette di trattenere meglio la vite, all’inizio dell’avvitatura, specialmente quando è difficile sostenerla con l’altra mano.
Per magnetizzare la punta esistono particolari accessori in grado di creare un forte campo che effettua la magnetizzazione in breve tempo.
Appena uscita da un’interessante conferenza stampa al Palazzo Reale di Torino, dimora storica della famiglia Sabauda, Patrimonio dell’UNESCO dal 1997, affascinata e quasi turbata dalla quantità di bello che in essa si può vedere, ancora una volta ho concluso che tutto questo non sarebbe stato possibile senza l’abilità manuale degli artigiani/artisti che qui hanno lavorato.
L’occasione è stata l’inaugurazione del camino monumentale che troneggia nel Salone delle Guardie Svizzere, dopo il suo restauro possibile grazie alla sponsorizzazione di un imprenditore illuminato, Ruben Palazzetti, la cui produzione di stufe e focolari è sempre all’avanguardia in termini di tecnologia e sostenibilità. Questo camino imponente e arricchito di statue, marmi di varie e preziose specie, datato 1661, nei secoli ha subito rielaborazioni per assecondare i gusti dei tempi. E gli interventi per ripristinarne ogni sua parte sono stati tanti e magnificamente documentati con foto e video.
Si è partiti da una pulizia degli strati di polvere e degli strati oleocerosi protettivi con prodotti poco aggressivi. Poi si è lavorato sulle tante stuccature realizzate con materiali diversi agendo con il bisturi e anche con una sonda ad aria calda (una specie di pistola a caldo con beccuccio sottile) per eliminare quelle eseguite a cera. Infine c’è stata un’opera importante di lucidatura a mano con panno di lana; un lavoro faticoso, come ha sottolineato il direttore dei restauratori, che rende ancor più onore e merito a queste professionalità la cui opera importantissima sarebbe degna di una ribalta e riconoscimenti eclatanti con ore di trasmissioni in tv almeno al pari di quelle dedicate agli insulsi personaggi dei vari reality.
La visita delle stanze del Palazzo lascia senza fiato per il lavoro di architetti e artisti, ma soprattutto per quello svolto dagli artigiani: gli intarsi in legno dorati decorano le pareti, formano le cornici dei quadri e delle tele che arricchiscono i soffitti, mentre le sontuose boiserie rendono ovattati questi ambienti enormi e altissimi. I parquet originali del ‘700, di essenze diverse, sono ancora impeccabili nei colori e nelle composizioni, frutto di sistemi di posa di una complessità oggi irripetibile. E poi gli arazzi, di una bellezza e di un mistero che ha del miracoloso, se si pensa che le raffigurazioni, copie di bozzetti realizzati su tela, sono eseguite interamente con l’alternarsi di fili che seguono colori e disegni.
Intelligenza, impegno, conoscenza delle tecniche e quella favolosa abilità manuale che va sempre di più perdendosi. Siccome crediamo, come voi che ci leggete, nel valore del saper fare con le mani, proponiamo il nuovo manuale TORNIRE IL LEGNO, una perla di approfondimenti svelati con foto e testi; non garantiamo che studiando questo testo diventerete maestri tornitori come quelli che hanno lavorato a Palazzo Reale di Torino ma siamo certi che potrete realizzare qualcosa di bello e con grande soddisfazione.
Questo cavatappi da muro occupa uno spazio limitato sulla parete e stappa le bottiglie con il minimo sforzo grazie al sistema a cremagliera realizzato in legno
Quando bisogna stappare una bottiglia di buon vino in compagnia degli amici non sempre tutto fila liscio; serve un po’ di forza e bisogna saperla esercitare nel modo giusto, qualche astante pronto a cogliere il momento di difficoltà per mettere in imbarazzo l’improvvisato mescitore lo si trova sempre. Un cavatappi da muro come questo, oltre a fare bella figura in una taverna o in una cucina rustica, aiuta notevolmente a concludere l’operazione con successo anche con i tappi più ostinati.
È possibile realizzare varie tipologie di cavatappi da parete, utilizzando diverse essenze legnose; quello di cui abbiamo eseguito la realizzazione da zero è in legno di rovere “di Slovenia”, un’essenza pregiata e utilizzata nella produzione di parquet e botti per vini e liquori.
Proprio alcuni pezzi che compongono questo apribottiglie da muro provengono da una botte dismessa che è stata utilizzata per recuperare un legno stagionatissimo e apprezzato per la sua robustezza e inalterabilità.
Massello di buon spessore
Il cavatappi a muro prima del montaggio della maniglia, con il perno che la incerniera alle spalle, e del pistello, l’elemento forato che costituisce la guida per la maniglia a cremagliera.
In quest’altro modello, un po’ più elaborato nella finitura estetica, si vede anche il levatappi completo di verme, agganciato alla base del pistello.
Come costruire un cavatappi da muro
Su una tavola grezza si traccia la sagoma rettangolare della tavoletta nelle dimensioni necessarie per ottenere il basamento finito.
Lo sviluppo del basamento deve seguire la venatura del legno, come pure l’azione della pialla che elimina le asperità e restituisce una superficie liscia e piana sulla faccia a vista.
La faccia posteriore dell’apribottiglie da parete può essere regolarizzata in modo meno sofisticato con la levigatrice a nastro.
Per tracciare la sagoma dell’arco superiore ci si avvale di una dima, centrata sul pezzo e appoggiata alla squadra a cappello messa in battuta sul lato lungo.
Si procede al taglio dell’arco guidando il pezzo contro la lama della sega a nastro, tenendosi circa 1 mm all’esterno della tracciatura.
La levigatrice a nastro, bloccata con un morsetto al banco in posizione capovolta, si utilizza come macchina stazionaria per eliminare le “creste” lasciate dal taglio sul bordo.
Nella tavoletta finita, in punti prestabiliti, si aprono i fori per il fissaggio a parete e per montarvi le spalle e la base cava in cui inserire il collo della bottiglia.
Sempre con la sega a nastro si seguono i profili delle due spalle e della base cava tracciate sul legno e se ne regolarizzano i bordi con la levigatrice a nastro.
Per realizzare la base cava, più o meno al centro del pezzo già sagomato, si marca con un punzone il punto da forare. Lo stesso si fa sulle due spalle, nelle quali si realizza un semplice foro passante per il perno.
I colli delle bottiglie non sono tutti uguali, ma una mecchia Ø 30 mm è ideale per impostare, da sotto, una sede universale, scavando il legno per 5-6 mm.
Con il passaggio di 2-3 punte di diametro crescente si realizza un foro passante del diametro di 10 mm.
Torna in scena la sega a nastro per realizzare la scanalatura in cui andrà inserito l’estrattore già avvitato nel tappo della bottiglia.
Con una raspa cilindrica montata sul trapano si rende conica la cava allargando anche il foro posteriore quel tanto che basta a consentire il passaggio del tappo in estrazione, mentre la bottiglia rimane in battuta all’interno della cava.
Quando i pezzi vengono prodotti in serie, per realizzare le sedi per le spine è meglio avvalersi di maschere di foratura, in caso contrario si possono utilizzare i marcatori a cappellotto. Un po’ di colla vinilica nelle sedi e si possono inserire le spine: le scanalature longitudinali delle stesse servono da “tasche” per la colla.
Si realizzano le sedi per le spalle del cavatappi da muro si procede al loro montaggio sul basamento. La foratura passante si effettua con questi due pezzi già montati, per non correre il rischio che un minimo disallineamento nel montaggio possa interferire con l’assialità dei fori.
Il montaggio si effettua con i pezzi già trattati con impregnante ad acqua, qui sono montati grezzi.
Impugnatura sagomata
Anche per riportare il profilo della maniglia su legno si utilizza una sagoma di riferimento.
Si segue il profilo al meglio con la sega a nastro, riprendendo il taglio più volte se occorre.
La levigatura deve addolcire tutte le curvature e gli spigoli del pezzo, in modo da consentire un’impugnatura del cavatappi da muro agevole e priva di asperità.
I dentini della cremagliera devono corrispondere ai fori presenti sul pistello e vanno leggermente smussati in punta per facilitare l’incastro in fase di azionamento. Vengono rinforzati inserendo una vite passante al centro ed eliminandone la testa, in modo che nel tempo, a causa dello sforzo applicato, non venga meno la tenuta della colla e i dentini abbiano a sfilarsi.
Rinforzi in metallo
Tra le due spalle viene realizzata una sede in cui si inserisce una canaletta in metallo che funge da binario per due perni, anch’essi in metallo, inseriti dietro il pistello. Questo per far sì che lo scorrimento avvenga su metallo e non su legno, in modo più fluido e senza sfregamenti che produrrebbero in breve tempo segni di usura. Per lo stesso motivo il retro del pistello è leggermente convesso.
Alla base del pistello è montato il sistema di aggancio del levatappi: qui lo vediamo staccato, ma dopo averlo avvitato nel tappo della bottiglia va inserito nella scanalatura della base cava e agganciato al pistello, poi si abbassa la maniglia per esercitare la trazione tramite la cremagliera.
Prima di completare il montaggio del cavatappi da muro si trattano tutti i pezzi con cera stesa a pennello e poi tirata con un panno.
Si incastra il pistello nella guida…
…e si monta la maniglia, incastrando il primo dente nel primo foro e inserendo il perno.
I due terminali che impediscono al perno di sfilarsi si avvitano alle sue estremità.
Riga e squadra sono strumenti necessari in laboratorio per tracciare linee perfettamente diritte e perpendicolari
Per ottenere i pezzi che ci servono in qualsiasi costruzione dobbiamo utilizzare il materiale (legno, ferro o altro) come se si trattasse di un foglio da disegno, tracciando linee perfettamente diritte e perpendicolari, rispettando misure predeterminate. Riga e squadra sono gli strumenti che suppliscono all’impossibilità di effettuare queste operazioni a mano libera e a occhio, fornendo un riscontro sicuro allo strumento tracciante e la lettura istantanea della misura da rispettare o da riportare.
Riga e squadra con scanalure e fori
Esistono righe e squadre speciali che presentano scanalure e fori guida per tracciare con sicurezza cerchi in assenza di compassi o rette con angolazioni predefinite.
Vediamo ora i dettagli sulle tipologie di riga e squadra.
Tracce prolungate
Se dobbiamo eseguire una traccia superiore a 150 cm non c’è riga che possa esserci d’aiuto. L’unico riscontro possibile è un listello abbastanza lungo e perfettamente diritto.
Righello
Quando dobbiamo tracciare linee corte per tagli di testa e disponiamo di una superficie di appoggio ridotta, abbiamo bisogno di un righello corto, più stabile e meno ingombrante.
Riga lunga
Una volta posizionata possiamo tracciare linee rette lunghe e marcare i punti esattamente distanziati in cui realizzare le intersezioni perpendicolari o angolate, sfruttando la scala millimetrata.
Nel disegno tecnico riga e squadra si utilizzano insieme per tracciare linee perpendicolari o parallele.
Su metallo
Quando la punta tracciante tende a scivolare sul supporto, come nel caso del metallo, possiamo utilizzare il risalto presente sul lato opposto alla scala graduata per garantirci un riscontro maggiore.
Falsa squadra
È composta da due parti, una sottile per tracciare e una più spessa che va appoggiata contro il bordo, unite da un perno che ne permette l’articolazione reciproca e il bloccaggio all’angolazione desiderata.
Squadra con zoccolo
La parte corta e in risalto fa da battuta mentre quella graduata è fissa a 90° per tracciare linee perpendicolari al bordo. Usata in piedi ci permette di verificare la verticalità di un pezzo rispetto a un piano.
Riga e squadra “speciali”
Alcune squadre sono provviste di goniometro, zoccolo rimovibile e fori in posizioni predeterminate che, utilizzando l’angolo interno come fulcro, permettono tracciature circolari.
Una riga lunga provvista di aggiuntivo di battuta può essere utilizzata come falsa squadra e, contemporaneamente, come guida di taglio, grazie a una scanalatura che permette di inserire un morsetto di bloccaggio al piano.
Consigli utili
Prima di utilizzare la squadra o la falsa squadra a battuta dobbiamo accertarci che il bordo sia regolare e privo di asperità.
La squadra con battuta serve molto nell’uso della circolare da banco quando regoliamo l’altezza della lama. Appoggiandola in verticale sul piano, a fianco della lama, e leggendo sulla scala graduata il punto esatto in cui si trovano i denti nel punto di massima escursione della lama, possiamo realizzare scanalature e battute molto precise.
Questo tavolino in legno e vetro fai da te è realizzato con una base di MDF e un piano in cristallo rotondo
Una base di MDF sagomata sostiene un piano in cristallo per un tavolino in legno e vetro che lascia intravedere il suo supporto. La sagomatura riguarda solo i fianchi dei supporti e si effettua dopo un’accurata tracciatura dei profili. Importante è la regolarità delle loro altezze per non causare problemi di appoggio alla lastra di cristallo.
Con buona precisione vanno eseguite le scanalature d’incastro in modo che l’accoppiamento delle gambe risulti perfetto. Precisione e buona finitura sono necessari anche per i due tagli circolari con cui si ricava l’anello aggiuntivo.
La colorazione del del tavolino in legno e vetro è a piacere, da realizzare con smalti acrilici di tipo lucido.
Per realizzare i vari pezzi del tavolino in legno e vetro tracciamo sui pannelli una quadrettatura regolare che ingrandiamo, a partire dal piano di taglio. Le forme possono essere modificate a piacere rispettando gli incastri.
I due pannelli che formano la base hanno la stessa forma, pertanto possiamo disegnare la sagoma su un cartoncino e utilizzarla come dima sui pannelli. Per la traccia utilizziamo una matita grassa.
Le scanalature che permettono l’incastro dei due supporti hanno larghezza pari allo spessore dei pannelli. Devono arrivare a metà altezza, dal basso in uno e dall’alto nell’altro pezzo.
La “croce” di appoggio del tavolino in legno e vetro dev’essere piana, senza sporgenze da parte dei due supporti: per questo conviene fare una prova di montaggio dei due pezzi da rifinire per eliminare eventuali inesattezze.
Prima di procedere alla finitura trattiamo tutta la struttura con due mani di fondo primer universale, che tura eventuali pori e prepara le superfici all’applicazione dello smalto colorato.
La finitura è ottenuta con diversi colori, di tonalità contrastanti. Alla base dell’appoggio possiamo incollare alcuni feltrini per facilitare lo spostamento senza rovinare il pavimento.
Infine, per completare il tavolino in legno e vetro, si appoggia il piano in cristallo al di sopra della base bloccandolo con apposito collante.