Il soffitto a volta è una tipologia di copertura architettonica; realizzata in cartongesso può rappresentare un’alternativa alla più tradizionale controsoffittatura
Dove l’altezza dei locali e lo stile dell’abitazione lo permettono è possibile realizzare un soffitto a voltain cartongesso, piuttosto che una controsoffittatura tradizionale, scegliendone il tipo (a botte, a crociera, a padiglione ecc.) in base alla dimensione dei locali, al loro sviluppo e all’estetica generale.
Il cartongesso curvabile e speciali profili di supporto ci permettono di realizzare rapidamente soffitti a volta, sia per ambienti moderni, sia nel recupero di edifici con caratteristiche architettoniche storiche. Il lavoro ricalca quello della classica installazione di pannelli di cartongesso.
Le strutture di sostegno con i profilati a settori possono essere assemblate a pavimento prima di essere sollevate e fissate alle pareti e al soffitto a volta. Le elaborazioni di finitura e stuccatura presentano qualche difficoltà aggiuntiva in quanto i raccordi, non essendo in piano, esigono maggiore cura.
Occorrente
Profili metallici a settori
Cartongesso curvabile
Stucco, nastro di rete
Tasselli, cavi di sospensione
È utile sapere che: profili metallici hanno sezione e spessori differenti a seconda dell’utilizzo; hanno alette ad angolo variabile che consentono di fissarli tra loro e a parete con facilità.
Tipi di volte
Scopriamo come realizzare le differenti tipologie di volte in cartongesso.
Volta a botte a doppia orditura
Il soffitto a botte si realizza tracciando sulle due pareti opposte l’arco o l’ellisse desiderati e sulle pareti laterali la quota d’imposta.
Si posiziona sui lati il profilo perimetrale rigido, si fissano sulle due pareti corte le guide, sagomandole; si montano le successive guide sagomate ad arco e a esse si avvitano i profili longitudinali.
La copertura a botte può presentare un andamento in curva; in questi caso si definisce “volta anulare”.
Volta a crociera romana
Alta tanto al centro quanto sulle pareti, la volta romana può essere quadrata o rettangolare: si effettua la tracciatura degli archi a parete e vi si fissano le guide sagomate.
Sezione volta a crociera
Una volta disegnate a terra le due diagonali curve si adattano alla traccia i profili. Si chiudono i quattro archi così creati con profili piani di lunghezza decrescente ai lati.
Volta a padiglione
Inizia con la tracciatura delle linee di imposta sulle pareti e con il posizionamento sulle tracce del profilo rigido.
Tracciato a terra l’arcosi sagomano le guide curve che devono essere fissate ai profili perimetrali e appese al soffitto. I due lati corti si ottengono con semiguide sagomate e assicurate ai profili rigidi del perimetro e alla struttura.
L’idropittura è una tinta solubile in acqua, utilizzata per dipingere le pareti
L’idropittura murale fa parte di un vasto panorama di pitture differenti, quasi tutte formulate con gli stessi componenti, ma presenti in percentuali diverse in base alla tipologia, alla qualità e al costo del prodotto. Si va dalle economiche tempere fino alle idropitture traspiranti e lavabili a elevato contenuto di pigmenti.
Il legante è un’emulsione di resine, di solito acriliche, che hanno il compito di tenere insieme e far aderire tutti i componenti alla parete, conservando una buona resistenza all’invecchiamento e alla deposizione dello sporco.
Le cariche sono finissime polveri inerti a basso costo che servono per ridurre il prezzo della pittura, ma ne peggiorano la resa e la copertura. Vanno dal 60 al 10%.
Gli additivi sono sostanze chimiche che servono per controllare la viscosità, la resistenza alle muffe e la stabilità chimica. Si aggiunge l’acqua per fluidificare la pittura, ma anche per contenere il prezzo.
Il colore bianco dell’idropittura e la sua potere coprente sono conferiti dal biossido di titanio, che è la base di ogni pittura murale per interni. Questo viene aggiunto in percentuali che vanno dal 2 al 25%, proporzionalmente alla qualità.
Le idropitture per esterni di elevata qualità sono formulate in modo da resistere al dilavamento, alle intemperie e ai raggi UV. La struttura dei polimeri è in grado di formare una barriera idrorepellente che, in alcuni casi, sigilla completamente la porosità dei muri (pitture a solvente), in altri permette un passaggio più agevole del vapore acqueo (pitture silossaniche, ai silicati).
Le percentuali di diluizione di ogni prodotto sono indicate sulla confezione.
Idropittura – Caratteristiche principali
Idropittura lavabile
Le idropitture lavabili possono essere utilizzate in qualsiasi ambiente della casa, purché le superfici siano completamente esenti da umidità per una buona presa. Queste pitture lavabili hanno un’elevata tenuta, dimostrano buona pennellabilità ed elevato potere coprente.
Idropittura traspirante
La traspirabilità è un’esigenza fondamentale per gli ambienti umidi come bagni e cucine; queste pitture per interni manifestano una spiccata resistenza all’umidità e contrastano la formazione di muffe e condensa diffusa.
Termoisolanti
Queste pitture murali sono concepite per ambienti soggetti a formazioni di condensa, contengono microsfere cave di vetro ceramizzato che formano una sorta di camera d’aria tra la pellicola di pittura e il muro, rallentando la dispersione di calore.
Fasi di tinteggiatura
Primer
Il primer garantisce una buona adesione della finitura. È il classico fissativo che riduce il consumo di pittura, facilita l’applicazione e uniforma i pori del supporto.
Coloranti
Partendo dalla pittura bianca si può ottenere la tinta desiderata aggiungendo dei pigmenti, venduti in flaconcini. Si miscelano con grande cura per ottenere idropitture colorate.
Pulizia degli attrezzi
Pennello e rullo possono essere puliti sotto l’acqua corrente, magari usando un po’ di sapone, ma occorre farlo subito, prima che la pittura secchi.
Tintometro
I sistemi tintometrici permettono di realizzare virtualmente qualsiasi colore si desideri, aggiungendo al bianco di base dei coloranti accuratamente dosati da un sistema computerizzato.
Il secchiello di pittura viene posto sotto gli ugelli e riceve il quantitativo di colori previsto dalla formula della tinta che abbiamo scelto, identificata da un numero e conservata nella memoria del computer.
Il fustino viene poi sigillato e caricato in un miscelatore satellitare che omogeneizza perfettamente la tinta.
Questa zuccheriera fai da te in legno è composta da barattolo e coperchio; questi si torniscono con la stessa tecnica trasversale
Un barattolo, cilindrico o panciuto come questa zuccheriera fai da te richiede legno di grana compatta che non rischi di fendersi dove la vena è perpendicolare al bordo (faggio, rovere, carpino e simili). Per usi alimentari il legno dev’essere anche privo di odore, che sarebbe inevitabilmente trasmesso al contenuto.
Si comincia col tracciare le diagonali sulle basi del grezzo per marcarne il centro, quindi si apre il foro d’invito per la vite di trascinamento della testa del tornio. Si smussano gli spigoli del grezzo per renderlo ottagonale e lo si taglia a una lunghezza pari all’altezza del contenitore più la vite di trascinamento.
Nella prima fase di lavorazione, che può essere più comodamente fatta fra le punte, si inserisce la vite di trascinamento in quella che sarà poi la bocca del barattolo.
Lavorando prima di sgorbia, poi di scalpello e carta abrasiva, si sbozza e si rifinisce l’esterno. Si svita il pezzo dalla testa motrice e lo si rimonta facendo entrare la vite nel mozzo in modo da poterne tornire a sbalzo la bocca e l’interno.
Completato e rifinito lo scavo, si stacca la zuccheriera dal mozzo tagliandolo a filo della base con uno scalpello a lancia, prestando attenzione che non scappi!
Lavorazione
Un potente trapano in grado di azionare mecchie da 70-80 mm di diametro facilita di molto lo scavo interno della zuccheriera fai da te. Anche la morsa che tiene il pezzo deve, però, essere adeguata.
Il portaferri a torretta evita l’ovalizzazione dei fori. Il pezzo ha una coda stretta nel mandrino.
Il mandrino a griffe reversibili consente di bloccare sulla testa del tornio i pezzi cavi, quindi permette di lavorare l’interno del pezzo prima dell’esterno. La tornitura inizia sempre dallo sbozzo.
Il bello della lavorazione al tornio è che i pezzi possono essere rifiniti del tutto senza toglierli dalla macchina. La superficie, già lisciata con lo scalpello, va infine levigata con carta abrasiva.
In ultimo, lasciando ancora il pezzo sul tornio, si passa alla rifinitura. Un panno morbido facilita la penetrazione della cera nel legno.
Il coperchio, ricavato dallo stesso grezzo tornito per la base per mantenere uniforme l’andamento delle venature, ha la base piatta che poggia sulla battuta aperta nella bocca della zuccheriera.
Pennelli e rulli per pittura non sono tutti uguali, ma presentano rilevanti differenze di forma, dimensione e struttura
Per tinteggiare e pitturare ampie superfici di norma utilizziamo pennelli e rulli. I primi, a plafoncino, sono pennelli rettangolari di grossa dimensione e di buon spessore che permettono, con poche passate, di applicare la pittura con grande regolarità sulle pareti. I secondi, con pelo più o meno lungo, facilitano il lavoro (muri lisci= pelo corto; muri rugosi= pelo lungo),
Per superfici minori dobbiamo valutare la tipologia del pennello e la sua forma. Le case produttrici offrono prodotti diversificati in funzione del tipo di pittura da applicare in quanto le setole sono di materiali diversi e hanno diversa flessibilità.
Scegliamo la forma in funzione del lavoro da svolgere; piccole superfici e finiture precise esigono punte fini.
Attrezzi vari
1: pertica telescopica per pennelli e rulli da pittura; 2, 3, 4: plafoncini per stendere pitture murali su superfici estese; 5: mini rulli di ricambio con cui applicare smalti all’acqua; 6: rullo a pelo lungo per tinteggiature su muri ruvidi; 7: rullo per legno e altri supporti; 8: rullotto per smalti; 9: tamponi per effetti decorativi; 10: pennelli angolati a manico lungo per radiatori; 11: pennelli per pitturare con setole e pelo adatti a tempere, acquerelli ecc.; 12: pennelli “rechampir” a punta per ritocco e rifinitura; 13: pennelli tondi, detti “strozzati”, per decorazione murale; 14: pennelli piatti per prodotti all’acqua che cedono pittura in modo uniforme; 15: pennelli piatti per smalti a solvente, resistenti ai solventi stessi; 16: pennelli piatti per impregnante; 17: pennellino a setole rigide per decorare a stencil; 18: kit con rulli decorativi per pareti e tampone per decorazione muri “alla veneziana”.
Prolunghe
Per lavorare sulle parti alte di pareti e sui soffitti ci conviene utilizzare un’asta telescopica sulla cui testa si inseriscono i manici dei rulli o si fissano quelli dei pennelli. Con questo accessorio possiamo tinteggiare la maggior parte della superficie, lasciando solo alle finiture lungo i bordi il lavoro con il pennello o con il rullo piccolo che ci impongono di salire sulla scala.
Rulli e pennelli per imbiancare
Pitturare con il pennello: stendiamo la pittura a strisce dall’alto verso il basso e viceversa, alternando le passate che si affiancano.
Pitturare con il rullo: scarichiamo la pittura sul muro con passate non troppo veloci stese a zig-zag su un’area di 60-80 cm, quindi uniformiamo la distribuzione della pittura effettuando passate verticali che si sovrappongano.
Rullo con vaschetta o serbatoio
Il rullo classico si alimenta facendolo passare in una vaschetta in cui si immette la pittura; il piano inclinato serve per sgrondare il rullo della pittura eccessiva.
Molto pratico è il rullo con serbatoio che contiene la pittura e la cede a poco a poco, evitandoci la perdita di tempo per intingerlo nella vaschetta.
La pittura, un poco più diluita del normale, si versa nel serbatoio prima di iniziare il lavoro.
La pulizia delle strutture esterne di un’abitazione può essere a seconda dei casi un’operazione agevole o complicata, questo dipende in gran parte se si decide di fare il lavoro manualmente o con l’ausilio di macchinari dedicati come le idropulitrici ad acqua fredda
Pulire manualmente vialetti, muretti, terrazzi e scale o attrezzature come auto e moto può risultare complicato e faticoso. I motivi possono essere diversi.
Molto spesso si ha che fare con superfici che non sono continue o lisce, ma presentano fughe e discontinuità. Proprio in queste zone si annida lo sporco più ostinato da eliminare: si va dalla polvere al fango, dallo smog agli accumuli di materiale organico.
Inoltre, le superfici e i pavimenti ruvidi trattengono dell’acqua, agevolando la proliferazione di muschi e licheni che possono deturpare gli arredi da giardino, specialmente se posti all’ombra.
Pulizia manuale delle superfici
La pulizia manuale, per essere efficace, va eseguita con acqua, detergenti (a volte anche solventi) e spazzoloni a setole abbastanza rigide. L’ingrediente principale rimane comunque l’olio di gomito, e il consumo dell’acqua in questi casi risulta essere molto alto.
Pulizia manuale di un pavimento esterno
In genere poi non si riesce mai a togliere ”tutto” lo
sporco. Rimangono qua e là residui di vario tipo che si è
costretti ad affrontare singolarmente con raschietti, ulteriori spazzolature
ecc.
Pulizia con idropulitrice
Con l’idropulitrice tutto l’intervento si risolve in rapidità e senza fatica. Questa macchina è in grado di “sparare” acqua ad alta pressione tra i 100 e i 220 bar per mezzo di particolari lance che in alcuni casi dispongono di un ugello regolabile, in modo da generare getti a ventaglio o ultra concentrati.
Grazie alla potenza dell’acqua in pressione lo
sporco può essere eliminato facilmente, compreso quello ancorato nei punti più
difficili. Naturalmente si possono utilizzare detergenti di vario tipo che si
inseriscono in un apposito serbatoio collegato alla lancia.
Per grandi superfici sono disponibili
particolari accessori (che vedremo in seguito nell’articolo) come le spazzole rotanti o
quelle dotate di ventola interna che permettono di esercitare una potente
azione meccanica e idraulica ottenendo un risultato perfetto su piani esterni,
vialetti, scale e altre strutture.
Caratteristiche di un’idropulitrice
Illustrazione dei componenti di un’idropulitrice. Nota importante: Il disegno è solo a carattere esemplificativo, in quanto non tutte le idropulitrici hanno la struttura e la disposizione dei componenti come evidenziati nel disegno.
Sembra difficile da credere, ma un’idropulitrice fa risparmiare acqua: il getto a pressione elevata riduce i tempi di pulizia e dà risultati migliori con meno fatica. Nel tempo che un tubo da giardino consuma 300 litri d’acqua un’idropulitrice ne consuma da 30 a 60 e la pressione varia dai 100-220 bar (in funzione del modello) contro i 3 dell’acqua di rete.
Tanta potenza con così poca quantità di acqua permette di lavare superfici e attrezzature con grande efficacia e semplicità.
Il motore collegato al gruppo pompante è il cuore della macchina: ce ne sono di diversi tipi e se si pensa di utilizzare l’idropulitrice in modo continuo e frequente, una testata di ottone o alluminio è preferibile ad una in plastica, infatti in questi casi è più adatto utilizzare un macchinario di tipo semi-professionale o professionale.
Per utilizzare l’idropulitrice si devono avere alcune accortezze, come collegare il tubo d’ingresso per far entrare l’acqua prima di accendere la macchina, poiché il motore non deve girare a vuoto senza essere rifornito, o scaricare la pressione residua dopo l’uso per staccare il tubo, il cui distacco risulterebbe difficoltoso per la forte tenuta della guarnizione.
Alcuni modelli montano un filtro all’ingresso dell’acqua, da controllare con frequenza per evitare incrostazioni che riducano la portata.
Gli attacchi degli accessori possono essere a baionetta o a vite: il primo permette di sostituire gli accessori più rapidamente, ma il secondo, in media, dura più a lungo.
Tipologie di idropulitrice
Le idropulitrici vengono classificate in base a:
pressione erogata
portata (potenza)
destinazione d’uso
frequenza di utilizzo
In termini generali si individuano 5 categorie:
Idropulitrici piccole: adatte per utilizzi saltuari e con potenza limitata, vanno bene per pulire la bici, piccole macchine e attrezzature.
Idropulitrici hobbistiche: utilizzo saltuario per lavare la macchina, moto, tagliaerba, ecc.
Idropulitrici semi-professionali: utilizzo frequente per il lavaggio di auto di grandi dimensioni e superfici esterne.
Idropulitrici professionali: utilizzo molto frequente per la pulizia di grandi superfici esterne con sporco ostinato, camion.
Idropulitrici Trifase: per utilizzo industriale intensivo.
Come scegliere un’idropulitrice
Nella scelta dell’idropulitrice per la pulizia degli ambienti esterni e delle attrezzature si tende a valutarla in base alla pressione d’erogazione, ma la portata può essere più importante: una buona portata rende più efficace la pulitura delle superfici.
In fase d’acquisto di un’idropulitrice è quindi fondamentale valutare attentamente le nostre esigenze, al fine di evitare l’acquisto di una macchina sovradimensionata, oppure una non in grado di soddisfare le aspettative.
Sono talmente numerose le occasioni in cui si può utilizzare con soddisfazione una buona idropulitrice che, senza un’esperienza diretta, è persino difficile scegliere il modello che più si adatta alle nostre esigenze.
In questo senso, un valido aiuto è rappresentato dai siti web che mettono in relazione le caratteristiche e la potenza delle idropulitrici. Ad esempio su https://www.agrieuro.com/idropulitrici-acqua-fredda-c-67.html grazie a tutta una serie di indicazioni chiare e inequivocabili, è possibile identificare, in primo luogo, qual è la macchina di cui abbiamo bisogno e quali accessori (tubo di alimentazione, raccordi, ecc) ci sono indispensabili.
Se non si affrontano lavori gravosi o pulizie approfondite di grandi superfici non è il caso di investire in una macchina professionale: il lavaggio dell’auto o della moto, la rimozione dei residui dal rasaerba o da altre attrezzature dopo l’uso, il rinnovo del pavimento esterno non soggetto a sporco ostinato sono operazioni di pulizia per le quali è sufficiente un’idropulitrice ad acqua fredda che presenti il giusto compromesso tra portata e pressione d’esercizio.
Quando l’utilizzo va oltre la semplice pulizia e si tratta di “staccare” lo sporco dalle superfici c’è bisogno di un getto più potente, da 160 bar in su; inoltre è opportuno che la macchina sia di tipo semi-professionale o professionale, perché risulta più resistente e monta pompe in ottone e pistoni in ceramica, per utilizzi continuati e frequenti. Anche gli accessori devono essere all’altezza delle esigenze, sicuramente c’è bisogno di una lancia ad alta pressione e di un ugello rotante, per aggredire lo sporco da più direzioni.
Quali operazioni svolgere con le idropulitrici
L’idropulitrice è lo strumento ideale per rimuovere lo sporco dalle pavimentazioni esterne, regolando l’ampiezza del getto in funzione del tipo di superficie: i risultati migliori si ottengono abbinando l’azione della pressione con quella di un detergente e facendo uso degli accessori in dotazione, come la lancia mangiasporco, o disponibili come optional, come il lavasuperfici (utilizzabile anche su pareti verticali). Idropulitrice indicata: semi-professionaleCon la lancia dell’idropulitrice si riescono a pulire rapidamente anche oggetti che in altra maniera rappresentano veri e propri lavori da “certosino” quali griglie, inferriate ecc. Idropulitrice indicata: Hobbistica/semi-professionale. La possibilità di erogare insieme all’acqua un quantitativo calibrato di detergente risucchiato automaticamente da un serbatoio, permette di effettuare lavaggi molto accurati su strutture che permangono all’aperto. Il detergente è collocato in un serbatoio collegato alla lancia, altre volte nel corpo della macchina. Idropulitrice indicata: Hobbistica/semi-professionale.La lancia flessibile consente di lavare auto, barche, moto e raggiungere zone difficili come l’interno dei parafanghi. Idropulitrice indicata: Semi-professionale.La pulizia energica e approfondita di auto e moto anche dalle incrostazioni più dure, è uno dei lavori in cui l’idropulitrice dimostra la sua utilità. In genere è possibile applicare un sistema di risucchio di sapone liquido che permette di realizzare miscele con l’acqua. Idropulitrice indicata: Semi-professionale.
Accessori per idropulitrici
La versatilità aumenta grazie agli accessori che estendono l’ambito operativo della macchina. Quasi tutte le lance di erogazione permettono di passare dal getto puntiforme, che fornisce la massima potenza abrasiva, al getto a ventaglio, che raggiunge la massima ampiezza (lineare) di intervento.
Da qualche tempo sono entrati nell’uso nuovi ugelli in cui un dispositivo azionato dalla stessa pressione dell’acqua fa rapidamente girare il getto puntiforme, col risultato di esercitare la massima potenza abrasiva su un’ampia zona, questa volta circolare, come il Twin Nozzle. Questi ugelli sono molto indicati per pulire pietra, blocchetti e piastrelloni di pavimentazioni esterne perché sono in grado di colpire un unico punto con diverse angolazioni.
Per sabbiare
Su molte idropulitrici si può montare l’accessorio per sabbiare: in questo caso il getto d’acqua crea una forte depressione che aspira la sabbia e la spara con violenza sull’oggetto da ripulire, rimuovendo ruggine e croste di smalto dalle superfici metalliche; con lo stesso sistema, ma con un minimo di cautela in più, si possono sverniciare o antichizzare manufatti in legno.
Per superfici estese
Un particolare accessorio pulisce a fondo superfici estese grazie a un energico getto che fuoriesce da una spazzola rotante.
Per lavare vetri e superfici delicate
Su alcune idropulitrici si possono montare degli spazzoloni fissi, snodabili e rotanti per il lavaggio di vetri, vetrate e altre strutture quali serre.
Per sgorgare
Un tubo ad alta pressione di piccolo diametro porta all’estremità uno speciale ugello che spruzza l’acqua all’indietro: collegato l’altro capo all’idropulitrice, si introduce nel tubo da liberare la parte attiva che, proprio grazie alla pressione, si fa strada rapidamente all’interno del condotto, spingendo fuori i detriti vegetali o, nel caso della rete fognaria, sciogliendo le incrostazioni.
La pialla per legno è un utensile che serve per eseguire lavori di falegnameria finalizzati a lisciare e a levigare il legno
Il legno va lavorato con strumenti affilati e questo principio vale più che mai per la piallatura con la pialla per legno. Quando ancora non esistevano sistemi di levigatura, l’uomo modellava il legno con pietre (prima) e ferri (poi), togliendo strato per strato, un po’ alla volta, quello che non serviva, per ottenere il pezzo desiderato.
Eppure, con tanta esperienza accumulata nel corso dei millenni, oggi è proprio la piallatura che ci mette più alla prova nell’ambito dei lavori con il legno. I motivi di questo fatto vanno ricercati proprio nell’essenza dello strumento, la pialla manuale per legno, che fra tutti gli altri richiede il rispetto di almeno due regole fondamentali.
La prima è una regola che vale per qualsiasi lavorazione, ma in questo caso non ci sono tolleranze possibili: si deve fare esperienza! In questo caso si intende: provare… provare… provare… e poi ancora provare… anche se i risultati non sono confortanti; quando si pensa di aver acquisito un certo livello, ecco che si torna inaspettatamente indietro, solo perché il tipo di legno ha caratteristiche diverse da quello usato in precedenza.
Il tipo di essenza e l’orientamento della fibratura, infatti, rappresentano una variabile “drammaticamente” importante nella piallatura, più che in molte altre lavorazioni del legno. Imparare a piallare il legno, quindi, comporta anche l’acquisizione di determinate conoscenze tecniche delle essenze, nonché la capacità di valutare il pezzo in sé, ovvero l’orientamento delle fibre, la presenza di nodi, fessurazioni o altre ragioni di debolezza e discontinuità.
La seconda regola fondamentale è che l’utensile sia valido, ovvero di alto livello costruttivo e, soprattutto, abbia il tagliente molto ben affilato e ben regolato. Nonostante la pialla sia un utensile estremamente semplice ed essenziale, deve garantire un sostegno al tagliente solido e durevole. L’affilatura del coltello della pialla per legno merita una trattazione a sé stante, dato che, osservate tutte le premesse, se non c’è quella è del tutto inutile procedere con il lavoro.
Ovviamente affilatura non vuol dire pialla per legno nuova, anzi, il più delle volte che se ne acquista una, la prima cosa da fare è la rettifica e l’affilatura della lama, operazione, quest’ultima, da ripetere più spesso possibile.
In realtà, in questa categoria si possono trovare ulteriori suddivisioni. La pialla per sgrossare, lunga dai 25 ai 35 cm, ha la suola piatta, ma il filo tagliente è leggermente convesso in modo da asportare forti spessori di materiale.
Quale pialla per legno utilizzare?
Le pialle manuali sono classificate in base a tre categorie che ne identificano la destinazione d’uso di base: le pialle vere e proprie, le sponderuole e gli incorsatoi. Le pialle per legno vere e proprie sono quelle che si usano per rettificare le superfici, ovvero renderle piane, lisce, uniformi.
Il pialletto manuale a finire (1), utilizzato per i lavori di fino sulle superfici, ha tagliente con filo diritto con spigoli smussati per non rigare la superficie da lavorare. Il piallone (4), molto lungo, sino a 65-75 cm, permette di eseguire fili diritti sulle assi e rettificare grandi superfici; la sua massa fornisce maggiore inerzia all’utensile e la piallatura risulta più scorrevole, anche su legni con venatura ritorta o con nodi.
La piallatrice legno da bottai è caratterizzata da una suola curva con cui si possono lavorare i pezzi concavi, come per esempio le doghe per la costruzione delle botti o dei tini in legno. Il pialletto manuale a registro (2), più spesso di metallo, ma si trova anche di legno, prevede la presenza di viti di registro che consentono di regolare in modo semplice la sporgenza della lama e l’apertura della feritoia.
La sponderuola (3), solitamente di spessore sottile, è caratterizzata dall’avere il coltello della stessa larghezza del ceppo e da una buca ridottissima perché i trucioli, dopo la feritoia, vengono espulsi dalle aperture laterali. Si usa per eseguire incastri, battenti o modanature.
L’incorsatoio è una pialla caratterizzata dalla sagomatura della suola e del coltello in modo da realizzare cornici o modanature, direttamente sul bordo del pezzo.
Le posizioni della piallatura
La pialla per legno manuale va portata con due mani, anche quando non è presente l’impugnatura anteriore.È di fondamentale importanza, infatti, mantenerla saldamente a contatto con la superficie e usare (sviluppandola col tempo) la propria sensibilità nel mantenere la planarità anche con le superfici sconnesse o strette come la tavola della foto.
La passata non deve essere continua, da cima a fondo del pezzo: sono le nostre braccia a imprimere lo slancio e le mani a gestire la pressione sull’anteriore e il posteriore dell’utensile, in modo ritmico e armonioso, senza rigidità e impuntamenti che possono generare terribili scalini sulla superficie.
La principale cautela va osservata all’attacco e all’uscita dal pezzo in lavorazione. Per quest’ultima si veda in basso in questa stessa pagina, mentre per l’estremità di attacco della piallatura di un legno, va tenuto morbidissimo il posteriore dell’utensile facendo dominare leggermente la mano sull’anteriore.
La pialla per legno si può usare anche per stondare i bordi di una tavola e il lavoro, soprattutto se il pezzo è grosso, risulta semplice, anzi, è un bel modo per acquisire sensibilità sull’inclinazione dello strumento.
Supporto di piallatura
Un supporto di legno, realizzato come in figura, consente di appoggiare stabilmente il pezzo per poterlo piallare sulla superficie maggiore, trasversalmente (di testa) e a 45°.
Piallatura di testa o trasversale con la pialla per legno
La piallatura di testa, ovvero fatta portando la pialla trasversalmente rispetto al senso delle fibre del legno, presenta delle difficoltà. La più evidente è il fatto che le fibre vanno tranciate e in questo modo offrono molta resistenza al passaggio della lama. In più, presentandosi “a mazzo”, è frequente la presenza di zone di debolezza dell’essenza; questo si traduce nella classica rottura in uscita dal pezzo (1).
Per evitare questo pericolo non bisogna portare a fondo il passaggio, ma fermare l’azione della pialla a 2/3 circa della lunghezza totale della superficie (2), completando poi il terzo mancante approcciandolo dall’altra estremità.
Una soluzione alternativa al problema è quella di bloccare molto saldamente un pezzo di legno di scarto contro la faccia relativa all’uscita della pialla (3). Il legno deve rimanere a filo della superficie da piallare, in modo da trattenere le fibre del pezzo buono sacrificando le sue per la resa del lavoro.
Come affilare le lame
A mano, usando le pietre, o con l’ausilio della mola ad acqua, l’affilatura è operazione da effettuare con la massima cura, soprattutto sui coltelli delle pialle nuove. Sono pochissime infatti, quelle che vengono vendute perfettamente affilate.
Con le pietre vanno fatti più passaggi con grado di smerigliatura progressivamente più fine, a seconda anche di quanto sia rovinato il filo del coltello. Si inizia con grana 800-1200 per spianare rimuovendo più materiale e si passa alla 4000-8000 per rimuovere la bava.
Il passaggio col cuoio è finale e completa l’opera (notare il secondo disco sulla mola).
La pietra (può essere di tipo ad acqua o a olio) va appoggiata su una superficie piana. Sotto si mette un pezzo di stoffa che trattiene la pietra impedendole di scivolare.
La rettifica della parte piana è la prima cosa da fare, usando la pietra a grana 800. La zona importante è quella dei 2-3 centimetri all’estremità del coltello: quando la pietra ha lavorato uniformemente su tutta quell’area, il lavoro è fatto, si può passare al bisello.
Nel caso di un filo particolarmente danneggiato, essendo necessario un passaggio con la mola a secco, bisogna raffreddare ripetutamente il ferro per non rovinare la tempra dell’acciaio.
I passaggi sulla parte piana del coltello sono semplici; più difficile è mantenere l’inclinazione quando si passa alla parte bisellata (solitamente l’angolo è di 30°). Per questo esistono delle guide, cui fissare il coltello, che permettono di mantenere costante l’angolo impostato. Il movimento deve essere rotatorio (molti consigliano di tracciare idealmente un 8); il coltello va tenuto leggermente inclinato di lato.
Quando si stringe il coltello della pialla nel bloccalama della mola con acqua bisogna farlo sporgere quel tanto che basta per ottenere esattamente l’angolo di bisello del coltello stesso (i soliti 30°).
Il passaggio al disco con la striscia di cuoio perfeziona il filo rendendolo tagliente come un rasoio. Anche in questo caso va fatto prima un passaggio su un lato e poi sull’altro.
Il filo della lama
La regolazione della sporgenza del filo della lama dalla suola è la fase più importante. Il filo non deve sporgere più di un millimetro, passando il pollice si deve sentire un lieve risalto.
Il truciolo
La parte di lama che fuoriesce deve essere orizzontale, altrimenti la passata asporterà un truciolo a sezione variabile. Se la lama sporge troppo la pialla si impunterà sul legno.
Smontare, rimontare e regolare il coltello
Se per mandare giù il coltello all’interno della fessura basta picchiarci sopra con il martello, per farlo arretrare, allentando nel contempo la pressione del cuneo che lo blocca, si usa sempre il martello, ma picchiando sul retro della pialla. Se è presente il ferro di battuta si può usare un martello comune, altrimenti, per non rovinare il retro della pialla, va usato un mazzuolo di legno.
Per sbloccare la lama va comunque estratto il cuneo di legno. Si appoggia la pialla su un fianco sul banco da lavoro e si forza il cuneo con movimenti laterali oscillanti sino a che si allenta del tutto.
Il cuneo si estrae. Spesso anche questo presenta all’estremità una bisellatura di cui va osservato il verso, al momento di rimontare il coltello. La bisellatura permette di applicare alla mola un tacco di legno più robusto, quindi che supporta meglio il coltello, senza fare spessore nel punto della feritoia.
Per tutte le operazioni di manutenzione e affilatura, il coltello e il controferro, se presente, vanno separati. Il coltello, in questo caso, ha una lunga asola che permette il libero posizionamento e la rimozione del controferro, trattenuto da una grossa vite.
Una volta affilato il coltello, si rimonta il controferro accoppiandolo nel senso corretto. Fra i due ci deve essere un lieve scostamento, ovvero il controferro deve rimanere leggermente arretrato rispetto al coltello, di una misura minima, che dipende anche dall’altezza di piallatura e dalla qualità del legno da piallare.
Se l’altezza è minima e il legno è duro e compatto, lo scostamento deve essere molto ridotto, meno di un millimetro.
L’insieme lama-controferro si riposiziona nella pialla a mano per legno. Notare che la buca presenta uno scasso per l’alloggiamento della testa della vite che sporge dietro il coltello.
In questo modo, inserendo successivamente il cuneo di ritenzione, questo riesce a imprimere al coltello una pressione uniforme contro la parete della buca, stabilizzandolo a dovere e impedendo le dannosissime vibrazioni all’estremità del filo.
Pialla legno – Ricciolo e feritoia
Quando l’ampiezza della feritoia è regolabile ci si deve assicurare di mantenerla sempre più stretta possibile. In questo modo si garantisce la migliore azione sul legno da parte del coltello, senza l’innesco di vibrazioni. Ovviamente bisogna consentire al truciolo di passare senza che venga trattenuto e ingolfi la feritoia stessa e la buca. Questo può succedere maggiormente con legni teneri, con coltello regolato su alti spessori di piallatura.
Le fondazioni o fondamenta di una casa sono le parti della struttura di un edificio e servono ad ancorarlo al suolo, assorbirne i carichi e scaricarli a terra
Non esiste una casa-campione che possa essere presa a modello per le fondazioni, ma alcuni tra i più rilevanti elementi strutturali sono abbastanza omogenei, mentre i materiali differiscono anche di molto in relazione alla collocazione geografica e climatica.
In genere le case hanno una struttura portante di cemento armato che poggia su fondazioni e pilastri ben ancorati nel terreno. Alcune abitazioni meno recenti e di piccola estensione, di un solo piano, poggiano semplicemente su una platea armata, sempre di calcestruzzo. Se la struttura portante non è di cemento armato gli appoggi possono essere di mattoni e l’abitazione si regge su muri portanti.
Nelle case più antiche o in quelle di campagna che non hanno cantina, la soletta del piano terreno può anche essere formata da un riempimento di pietre (platea) stabilizzato con malta.
Nella maggior parte dei casi, la soletta dei piani intermedi è costituita da elementi prefabbricati di laterizi particolarmente strutturati che sono legati con malta di cemento e rinforzati con tondini di ferro. Questi elementi poggiano su travi armate, di sostegno.
Il piano così realizzato poggia, a sua volta, su travi di cemento armato che collegano i pilastri. Su questo piano è posto uno strato di malta cementizia (massetto) che fa da base al pavimento.
Se bisogna forare la soletta è necessario tenere presente di non fare mai grandi aperture perché si potrebbero tranciare i tondini di ferro e quindi compromettere gravemente la solidità dell’insieme.
Nelle case che hanno una struttura portante di cemento armato, i muri perimetrali sono molto differenti da quelli interni, mentre nelle case che poggiano su muri portanti questa diversità è, in genere, minore.
Le fondazioni – Come si realizzano
La platea
Utilizzata per strutture piccole o in presenza di terreni deboli, è un solettone a cui si aggiungono nervature secondarie per garantire un ulteriore irrigidimento. Viene utilizzata in zone sismiche.
I plinti
Ideali per strutture a telaio con carichi elevati. Viene ingrossata la base del pilastro con un plinto, di solito a forma piramidale. Spesso i plinti vengono collegati con cordoli di calcestruzzo armato.
L’armatura
Ogni gettata di fondazione deve essere armata con un’intelaiatura di tondini di ferro corrugati (ad “aderenza migliorata”), opportunamente piegati e collegati l’uno all’altro con filo di ferro.
La gettata
Si effettua dopo aver realizzato opportune casseforme di contenimento. Per piccole gettate si utilizza la betoniera, mentre per le maggiori si usa il calcestruzzo impastato fornito con autobetoniera.
La presa
Il calcestruzzo opportunamente assestato nella cassaforma, affinché non rimangano vuoti e livellato superiormente, si lascia stabilizzare per alcuni giorni prima di proseguire nel lavoro.
La soletta
Tolta la cassaforma rimane la struttura in cemento armato su cui si possono erigere muri e innalzare pilastri. L’indurimento finale del calcestruzzo si realizza in circa 28 giorni.
Trave rovescia
La trave di fondazione (detta anche trave rovescia) è una struttura adottata spesso per le fondazioni superficiali, nel caso in cui ci siano problemi di cedimenti differenziali; infatti le travi rovesce sono le fondazioni più comunemente adottate in zona sismica.
Si realizza con calcestruzzo armato, a forma di parallelepipedo, con spessore che varia in genere da 40 a 80 cm, larghezza variabile da 50 a 200 cm, campate longitudinali in genere da 2 a 6 m.
La sezione è normalmente un rettangolo. La sua base di appoggio a contatto con il piano di fondazione deve avere una larghezza maggiore, ed è correlata alla capacità portante del terreno e ai carichi provenienti dalla sovrastruttura.
Ridotti al rango non di cittadini ma di consumatori, assistiamo a fenomeni sconcertanti che derivano appunto dall’essere “passivi tubi digerenti di beni”. È raro sentire qualcuno che si ribelli per essere chiamato consumatore, termine davvero sminuente e pur accettato tanto che ci sono le associazioni dei consumatori. Sembra non sia più di moda essere comunità fatte di persone che provano passioni politiche e si identificano con un ideale; o di artisti, architetti che credono nella loro missione di lasciare opere che educhino al bello o “sciocchezzuole” analoghe. I poteri che regolano l’economia e soprattutto la finanza e comandano il mondo di oggi, per crescere e prosperare, hanno bisogno di una società dei consumi globalizzata e pensano alle persone solo come consumatori preoccupandosi di catturare informazioni per conoscerne i gusti e farli consumare di più.
Se “il credo” è il consumo, le persone in cui è insito, quasi sempre, il desiderio di appartenere a un gruppo con cui si condivida qualcosa, hanno dato vita inconsapevolmente al fenomeno delle comunità degli oggetti. Solo per fare qualche esempio basti pensare agli smartphone: c’è la comunità dei sostenitori dell’Iphone di Apple e quella dei Samsung ognuno dei quali mai comprerebbe l’altro. Stesso vale per le automobili: il porschista (il propretario di una costosa tedesca Porsche) guarda con sufficienza il proprietario di un’altrettanto costosa Ferrari e viceversa.
Ma una riflessione parte da un’altra grande comunità degli oggetti, quella dei cosiddetti harleysti, i motociclisti che si contraddistinguono per abbigliamento e accessori particolari e scelgono le rumorose e originali moto americane (da pagina 20 c’è la costruzione di una bellissima moto a dondolo ispirata a una Harley Davidson) anche loro in contrapposizione con la comunità dei bmwisti, quelli che optano per le comode e silenziose tedesche BMW.
Infatti la storia di queste mitiche moto americane inizia da qualcosa di molto vicino a chi fa da sé, altrettanto lontana da quella delle comunità degli oggetti. Nel 1901, a Milwaukee (Stati Uniti, Stato del Wisconsin) due ventenni amici d’infanzia William Silvester Harley e Arthur Davidson, montando su una bicicletta un motore da loro costruito, crearono un prototipo di bici a motore.
Questo mezzo venne realizzato nel garage dell’abitazione di Davidson, che misurava 3 metri per 5 (la foto dell’incredibile laboratorio è qui a fianco) e fu un disastro per le abbondanti perdite d’olio e le forti vibrazioni scaricate sul telaio da bicicletta non sufficientemente robusto. I due amici però, aiutati da Walter Davidson fratello maggiore di Arthur e da Ole Evinrude, pioniere motoristico e futuro inventore del motore fuoribordo per uso nautico, riuscirono a produrre nel 1903 la prima vera Harley Davidson.
Una storia vibrante ed emozionante se si pensa alla passione che questa piccola comunità di giovani, con pochi mezzi, avrà profuso per realizzare qualcosa che ha dato vita a un’industria arrivata fino ai nostri giorni; la passione di chi ama FARE, ben diversa da quella di chi si limita ad acquistare un oggetto, sia pur esclusivo, e si bea, per questo, di appartenere a una comunità.
Pitturare pareti, infissi e altre superfici può essere un’attività complicata oppure facile e divertente, anche in funzione degli attrezzi e degli accessori che utilizziamo
La linea di prodotti Nespoli fornisce a chi pittura un aiuto con particolari soluzioni le cui peculiarità risultano decisive. Profilatori; sistemi “intelligenti” per rulli; rulli alTeflon® Surface Protector(*); pennelli ergonomici salvapittura; bacinelle e pot, possiedono interessanti qualità e contengono adeguate soluzioni tecniche che fanno la differenza.
EasyLiner®
In particolare EasyLiner® è ideale per profilare con pittura murale su tutti i tipi di superficie lungo zoccolini, porte, finestre, angoli fra pareti e soffito, senza applicare il nastro adesivo di mascheratura.
EasyLiner®
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RollMatic®
RollMatic®, invece, è provvisto di un meccanismo automatico che consente con un semplice click di sganciare il rullo dal manico e dispone di un contenitore dove poter riporre il rullo sporco evitando così che la pittura si possa seccare.
Il nastro per mascheratura è uno scotch di carta che consente di delimitare zone da tinteggiare evitando sbavature di colore
La tinteggiatura di pareti e la decorazione di mobili e oggetti con smalti di vario tipo non possono prescindere dall’utilizzo di un nastro per mascheratura che delimiti con precisione le aree da dipingere, evitando di schizzare, debordare o gocciolare su altre superficie.
Questi nastri di carta adesiva sono prodotti in versioni differenti, ma tutti si ancorano facilmente grazie a un tenace adesivo e si lasciano asportare con altrettanta facilità, senza distaccare parti del supporto.
Alcuni nastri sono specializzati per impieghi esterni, altri per delimitare zone molto sagomate. Aderiscono praticamente su tutti i materiali, a patto che non siano presenti polvere o unto, su cui non hanno buona presa.
Alcuni nastri per mascheratura sono accoppiati a un telo protettivo che attrae le gocce di pittura grazie all’elettricità statica e poi le trattiene grazie alla struttura a micro pori. Serve per proteggere ampie superfici dagli schizzi di pittura adattandosi facilmente a ogni dimensione.
La superficie crespa di alcuni nastri consente loro di adattarsi molto facilmente a curve strette e sinuose, ideali per decorazioni elaborate.
Nastro per mascheratura su mobili e serramenti
Riquadri precisi
Per formare riquadri e bordature su porte e mobili tracciamo le sagome a matita e poi applichiamo il nastro di carta per mascheratura seguendo le tracce.
La pittura
Con un pennello di adeguate dimensioni pitturiamo l’area individuata insistendo lungo il perimetro del nastro. A pittura essiccata togliamo il nastro adesivo di carta.
Proteggere il vetro
Quando si pitturano le finestre o le porte a vetri è necessario contornare il vetro per evitare che le pennellate lo sporchino stendendo il nastro lungo tutto il perimetro.
Mascherature per verniciatura sulle pareti
Per cornici e bordini
Il gesso e il polistirolo, con cui sono realizzati i profili decorativi delle pareti, sono molto assorbenti e se non protetti sarebbe impossibile rimuovere le sbavature.
Per spatolati
Lo scotch di carta consente di definire le aree in cui usare spatole, pennelli e spugne con assoluta precisione senza sbavature o colature su superfici già asciutte.
Facile asportazione
Quando le pitture sono asciutte togliamo il nastro carta tirandolo lentamente. Il suo adesivo non asporta scaglie di pittura, come succede con nastri inadeguati.
Nastro mascheratura per decorare
Il nastro per mascheratura ci facilita notevolmente il lavoro quando intendiamo eseguire una decorazione geometrica ripetitiva.
Nel caso visibile infoto si tratta di pitturare tanti triangoli uguali sui bordi di un tavolo.
Preparata una dima di forma e dimensioni opportune la poggiamo sulla parte da pitturare e tracciamo il contorno a matita.
Poi, con il nastro da mascheratura, seguiamo tutte le tracce e completiamo il lavoro rapidamente.
Se il supporto su cui lavoriamo non è liscio, ma scabro, curiamo particolarmente l’adesione dei bordi del nastro per evitare infiltrazioni della pittura sotto di esso.