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Cuscini fai da te | Come realizzarli colorati e allegri

I cuscini fai da te, ago, filo e pennello alla mano, possono restituire allegria alla cameretta dei bambini o diventare un regalo divertente

cuscini fai da te possono essere realizzati e abbelliti con stili diversi a seconda di quale sia la stanza della casa dove li si vuole riporre. In questo caso abbiamo deciso di realizzare un cuscino fai da te pitturandolo con colori vivaci e cucendo ritagli di pannolenci e tessuti vari. Il risultato è un’allegra e morbida tartaruga, ideale per la cameretta dei giochi o come regalo per qualche bambino.

Ma come fare? Ecco nel dettaglio come creare questo cuscino fai da te:

Cuscini fai da te – Guida illustrata

cuscino-componenti
Materiali: 2 quadrati da 37×37 cm di tessuto rigato multicolore(che diventerà la federa del cuscino); tela di lino ecrù per coda e testa (rettangolo 22×8 cm); pannolenci di vari colori; imbottitura sintetica; 1 cerniera; 2 pezzi da 40 cm di nastro sbieco; Colori per stoffa coprenti Giallo limone, Carminio, Rosa, Nero, Bianco; cartoncini; Pennello in spugna a tampone o pennello per stencil n. 2; pennello sintetico tondo n. 6 e pennello sintetico piatto n. 8; cutter; cuscino 35×35 cm.
Ricopiare su cartoncino i diversi modelli; ritagliare la testa in tela di lino doppia lasciando un centimetro di bordo per la cucitura.

Decorare il pezzo superiore utilizzando il colore per stoffa Bianco per gli occhi e Grigio medio (ottenuto mescolando bianco e nero) per la pupilla.
A seguire cucire i bordi della testa, quindi procedere all’imbottitura.
Decorare uno dei pezzi di stoffa rigata con gli stencil a cerchio e i colori per stoffa, tamponando con il pennello per stencil. Dopodiché lasciare asciugare e ripassare una seconda mano. Una volta asciutto, fissare stirando al rovescio.
Utilizzando il modello, si ritagliano la lingua e le 4 zampe dai pannolenci.

Sovrapporre i due pezzi di stoffa rigata (la federa), dritto contro dritto e attaccare la cerniera su uno dei 4 lati.

Successivamente posizionare lingua, zampe e testa su uno dei quadrati, allineandone i bordi e facendo attenzione che siano rivolti verso l’interno (puntarli eventualmente con alcuni spilli).

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Sovrapporre l’altro quadrato, dritto contro dritto, (i due quadrati sono già attaccati grazie alla cerniera) facendo combaciare i lati e cucire a 1 cm dal bordo, partendo dall’attaccatura della cerniera in modo da chiudere il copricuscino. A questo punto rivoltare e imbottire.

Attaccare la coda vicino alla cerniera. Infine attaccare i due nastri sul lato posteriore del copricuscino.

Il risultato finale. Progetto di Nadia Odorico, Foto Gianni Manzoni.

 

Tavolino comodino fai da te | Ecco la guida per realizzarlo

Realizzare un tavolino comodino fai da te, aggiungendo un vassoio sempre pronto all’uso, che quando non serve sparisce alla vista, con un ingombro realmente trascurabile

Fare colazione a letto è per molti uno di quei piccoli piaceri della vita a cui è un peccato rinunciare. Grazia a questo tavolino comodino sarà possibile mangiare, scrivere o leggere senza dover uscire dalle lenzuola, sia quando si è costretti a letto da qualche malanno di stagione, o semplicemente quando ci si vuole prendere una pausa rilassante.

[amazon_link asins=’B00F32HG16′ template=’ProductAd’ store=’bricoportale-21′ marketplace=’IT’ link_id=’62ae0616-7cde-4148-92a0-56e19e8592ff’]Fare colazione a letto con un vassoio precariamente poggiato sulle cosce o sulle ginocchia non è né piacevole, né sicuro e si finisce per riempire di briciole il letto o per rovesciarsi addosso il caffè bollente. Questa idea è invece perfetta per via della sua stabilità e praticità. E non solo, anche la comodità con cui viene riposto, senza occupare spazio prezioso è un’ottima ragione per costruire questo tavolino comodino.

Il mobile è realizzato con una base costituita da un comodino al quale vengono aggiunte tavole appositamente realizzate per creare il vassoio mobile e la sua struttura.

Ecco come realizzarlo.

Tavolino comodino – Realizzazione

La base

In questo caso, l’indispensabile sostegno per la tavola mobile, è costituito da un comodino commerciale di stile “svedese”, in pratica si tratta di un cubo di 400 mm di lato, realizzato in MDF da 20 mm impiallacciato in acero. Si è scelto un mobile in MDF in quanto, più pesante è la base, tanto più stabile risulta il vassoio. Se non si trovasse o non si volesse costruire il comodino in MDF occorrerà appesantire la base con qualcosa che le faccia raggiungere il peso di almeno 15 kg, necessario a controbilanciare quello del vassoio carico.

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Le misure non sono vincolanti se non per il fatto che i due elementi orizzontali fissi della struttura reggi-vassoio, di multistrato di legno duro (betulla o faggio) da 15 mm, risultano lunghi quanto la larghezza della base mentre quelli del vassoio vero e proprio sono 35 mm più corti (gioco necessario per poterli introdurre ed estrarre dalla sede).

Per poter usare comodamente il comodino così modificato occorre montarlo su quattro rotelle piroettanti di tipo adatto al pavimento della stanza da letto.

Occorrente

Materiali: Multistrato da 15 mm in legno duro: 2 montanti (C) da 140×695 mm; 2 traverse (D) da 110x 400 mm; 1 piano pieghevole (E) da 365×550 mm; 1 reggi-piano (F) da 50×365 mm; 2 distanziali (G) da 15,5×110 mm (anche massello); tondo ramin (H) o faggio Ø 45×400 mm. Inoltre: 1 comodino (A) o piccola cassettiera squadrata; 4 rotelle piroettanti (B); 2 cerniere; viti Ø 4×30 e 4×40 mm; colla; materiale di finitura.

Utensili: sega per tagli diritti e per tagli curvi; trapano; levigatrice; avvitatore o cacciaviti; scalpello e mazzuolo (o fresatrice).

Guida illustrata

Le misure date nell’elenco del materiale sono in rapporto a un letto alto 450 mm da terra, calcolate in modo che il vassoio venga a trovarsi a una trentina di centimetri sopra il copriletto, dando spazio alle gambe di chi lo usa. Se il letto cui il mobile va accostato è più o meno alto si rimedia allungando o accorciando gli stanti “C”.

A parte il comodino che fa da base e i nove pezzi di legno necessari alla realizzazione del tavolino, il lavoro prevede soltanto pochi accessori e ferramenta, quali: rotelle, cerniere e viti.
taglio legno
Il sistema di montaggio e di fermo del piano, richiede un’elevata precisione di taglio (il multistrato di legno duro non è soggetto né a scheggiarsi sotto la sega, né a smussarsi con l’uso). Se non si dispone di attrezzi adeguatamente precisi è meglio farsi tagliare a squadra i pezzi in segheria, riservandoci solo l’apertura delle sedi delle cerniere e la lavorazione dei montanti che richiede l’uso dell’alternativo o della sega a nastro.
cerniere di lamierino
Incastrare le due cerniere di lamierino ottonato “a libro” praticando due incavi nel legno in quanto la costola sporgente può causare qualche fastidio nei movimenti di apertura e chiusura. In alternativa si possono utilizzare le cerniere di ottone fresato a libro o “da macchina per cucire”; queste sono più costose, ma molto più resistenti e possono inserirsi a filo piano. Sono ideali, ma di montaggio più complesso, le cerniere cilindriche o “invisibili”.
dettaglio comodino
Il comodino non ha incastri; tutte le unioni sono eseguite con viti e colla e, per evitare la noiosa e spesso poco soddisfacente stuccatura delle teste delle viti, queste entrano tutte dall’interno, completamente fuori vista. Nei distanziali G, stretti sui capi della tavola D inferiore si aprono tre fori passanti Ø 4,2 mm. Nei listelli si aprono con la stessa punta anche due fori passanti, a squadra coi primi.
Fissaggio listelli
Fissare i listelli alle espansioni dei montanti.
Sui listelli si avvitano, dal basso, le due tavolette D.
Sulle due tavolette, che assieme al listello debbono essere esattamente e specularmente centrate sull’espansione dei montanti, si incolla il mezzo tondo di ramin o faggio che chiude la fessura. La base del mezzo tondo è meglio che sia leggermente abbondante; qualche passata di carta o spugna abrasiva la porterà a filo delle tavolette.
A questo punto i tre pezzi necessari sono pronti. Non resta che avvitare alle pareti del comodino, il reggi-piano a U capovolta (sempre dall’interno) ed inserire la ribalta nella sua fessura.
Il tavolino comodino è ora pronto per essere utilizzato.

Il vassoio mobile è articolato “a falda”, come le prolunghe di molti tavoli e tavolini. Ma mentre in questi la falda viene tenuta orizzontale allargando a ventaglio una o due gambe o a mezzo di traverse scorrevoli, in questo caso la falda E viene retta a sbalzo, spingendo all’indietro la tavoletta F, sollevandola ed incastrandola nella fessura fra le due assicelle che collegano gli stanti.

comodino
Grazie alla praticità del vassoio mobile il comodino può essere riposto nella sua postazione con un ingombro di spazio realmente trascurabile.

Chi non si fidasse della tenuta risultante dall’incastro può aumentarla con due trapezi di multistrato rettangoli, lunghi 200 mm, con una base di 100 incardinata su C e l’altra di 50, mobile. In questo caso la tavoletta D inferiore va ristretta di tanto quanto è lo spessore dei due trapezi.

Altra soluzione, non altrettanto robusta, ma più semplice e che in più aumenta lo spazio a disposizione, è quella di mantenere invariato il sistema di ancoraggio, ma di allargare da 110 a 200 mm le tavolette D e i listelli G e da 140 a 230 mm le teste dei montanti.

Cassettiera fai da te | Guida illustrata alla realizzazione

Per tutti coloro che vogliono costruire una cassettiera fai da te, utile per mantenere sempre in ordine i propri oggetti o attrezzi di lavoro; ecco come realizzarla

Quale che sia l’attività preferita, dal cucito alla maglia, dal modellismo all’elettronica, dalla meccanica all’ebanisteria, compra oggi una cosa, comprane domani un’altra, fra attrezzi e materiale si finisce con l’avere un mucchio di roba, tutta utile, ma solo se si sa dove mettere le mani per trovarla. Una soluzione perfetta per tenere tutto quanto in ordine? Realizzare una cassettiera fai da te.

cassettiera

Questa cassettiera è realizzata con un cassone di lamellare da 18 mm, chiuso a tergo da un fondo di compensato da 10 mm e diviso orizzontalmente da due ripiani di lamellare da 18 mm sui quali scorrono i cassetti; questi sono scatole di compensato da 10 mm con un contro-frontale di lamellare da 18 mm. Il tutto è montato su rotelle piroettanti con attacco a piastra.

Nell’elenco del materiale che segue si fa riferimento alle misure del modello illustrato, ma va da sé che a seconda dell’uso a cui la cassettiera fai da te è destinata si possono costruire cassetti più bassi, inserendo altri ripiani, o più larghi o più stretti, diminuendo o aumentando il numero delle guide.

Di seguito vedremo come costruire una cassettiera di legno e i suoi cassetti.

Materiali

Misure in mm

  • Lamellare di abete da 18: un tetto e una base 1220×390; 2 pareti 504×390; 2 ripiani interni 1184×360; 6 controfrontali cassetti fila superiore 193×120; 5 controfrontali cassetti fila centrale 232×161; 4 controfrontali cassetti fila inferiore 291×203; 36 guide cassetto 360×20; 1 montante vano superiore 80×20; 2 montanti vano centrale 108×20; 1 montante vano inferiore 160×20 (guide e montanti anche in listello preferibilmente di legno duro sezione 18×20).
  • Compensato da 10: un retro cassettiera 1208×527; 12 pareti cassetti 1ª fila 350×102; 10 pareti cassetti 2ª fila 350×130; 8 pareti cassetti 3ª fila 350×183; 12 fronte e retro cassetti 1ª fila 152×102; 10 fronte e retro cassetti 2ª fila 190×130; 8 fronte e retro cassetti 3ª fila 248×183; 6 fondi cassetto 1ª fila 350×172; 5 fondi cassetto 2ª fila 350×210; 4 fondi cassetto 3ª fila 350×268.
  • 60 angolari (plastica o alluminio, spessore 1) 330x20x20; 4 (o più secondo il carico) rotelle piroettanti Ø 50 mm, altezza 70 mm con attacco a piastra; 15 maniglie uguali fra loro; tasselli piatti, n° 20; viti 4×25 mm; gruppini da 20 e 25; colla vinilica; nastro biadesivo; materiale di finitura.

Costruire cassettiera di legno

In mancanza della radiale che permette di impostare volta per volta la larghezza delle serie di pezzi uguali, la circolare portatile richiede l’uso di un’affidabile guida parallela.
Si preparano le sedi dei tasselli piatti n° 20, ai lati dei pannelli di base, top, pareti laterali e ripiani interni.
La sede dei lamelli si realizza con precisione e rapidità tramite l’aggiuntivo per smerigliatrice angolare.
Nel bordo posteriore delle pareti, del tetto e della base va aperta (con due tagli di circolare o con la fresatrice) la battuta profonda 10 mm per l’inserimento del fondo di compensato.
Un pannello ben squadrato, con un lato di 530 mm e l’altro di 270, ci aiuta a montare le guide per i cassetti della fila inferiore. Accorciandolo prima a 212 e poi a 174 serve per quelli delle altre due file.
Una volta fissati tutti i listelli di guida con colla e gruppini da 35 mm, si utilizza un adesivo strutturale per fissare gli angolari di scorrimento.
Il montaggio della cassettiera comincia dal fissaggio, in verticale, dei ripiani intermedi fra le pareti, aiutandoci col tetto o con la base per tenerli in quadro.
Quando la colla è asciutta si unisce il gruppo sulla base e sul tutto si fissa il tetto. L’inserimento del fondo irrigidisce e tiene in squadra la cassettiera.
I quattro montanti visibili al centro evitano l’imbarcamento dei ripiani sotto il peso dei cassetti. Se si prevedono carichi molto pesanti sarà opportuno aumentarne il numero.

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Come costruire cassetti in legno fai da te

Costruire un cassetto in legno è abbastanza semplice, basta seguire i consigli che seguono.

materiale-cassetti
Tutti gli elementi dei cassetti si ricavano da un solo foglio di compensato da 10 mm tagliato in strisce orizzontali (meglio farlo fare in segheria) da cui poi si ricavano i singoli pezzi. Indispensabile la massima precisione.
cassetti
Successivamente realizzare i cassetti di diversa misura
I montanti si inseriscono fra le coppie di guide, semplicemente incollandoli. Si montano solo anteriormente in quanto il bordo posteriore dei ripiani è saldamente retto da viti (o chiodi o spine) che attraversano il fondo.
Fronte e retro dei cassetti vengono chiusi fra le pareti, fissandoli con colla e gruppini o con spine da 6 mm, a vista. Lo stesso per il fondo.
Per il montaggio dei contro-frontali si comincia dalla fila inferiore. I cassetti vanno poggiati su uno spessore su cui va poggiato il contro-frontale, centrandolo con la massima precisione e bloccandolo con un pezzo di nastro biadesivo.
Il fissaggio definitivo del contro-frontale è affidato a viti 4x20mm inserite dall’interno.
Le maniglie col porta-etichetta permettono di individuare a colpo d’occhio il contenuto dei vari cassetti. Oltre al modello illustrato ne esistono molte varietà più o meno ornamentali.
Per centrare ed allineare esattamente le maniglie occorre un semplice scalo a gradino fatto con due pezzi di scarto, da appoggiare al bordo del contro-frontale.

La finitura degli elementi in lamellare si realizza con un impregnante a protezione totale (in questo caso incolore), che secondo la modalità di applicazione dà un effetto satinato o lucido.

Inoltre i cassetti possono essere rifiniti anche all’interno, foderandoli con apposita carta.

Come installare le lastre in vetroresina ondulate Elyplast

Le coperture ondulate opache e trasparenti Elyplast sono facile da installare, vediamo come procedere nel dettaglio

Per tettoie, casette e costruzioni tecniche anche di grandi dimensioni ideali sono le lastre in vetroresina (fibra di vetro) Elyplast, disponibili opache oppure onduline trasparenti, in varie colorazioni e in diversi formati per meglio andare incontro alle esigenze del caso.

Lastra elyonda ondulata opaca o ELYPLAST trasparente

Si tratta di lastre in vetroresina e opache ondulate e grecate realizzate in resina poliestere rinforzata con fibra di vetro e caricate con allumina. La produzione Elyonda di pannelli vetroresina viene effettuata utilizzando esclusivamente gel-coat isoftalico anti-UV applicato sulla superficie esposta agli agenti atmosferici, che conferisce ai laminati un’elevata resistenza all’abrasione. Le lastre Elyonda sono leggere, resistenti e durature.

Le lastre in vetroresina Elyonda sono in grado di soddisfare qualsiasi esigenza per coperture verticali e controsoffittature, permettendo la più ampia libertà di progettazione, sia che si operi su strutture nuove, sia che si prendano in esame ristrutturazioni parziali o totali. Le lastre in vetroresina opache Elyonda possono essere alternate con quelle traslucide Elyplast per la creazione di punti luce fai da te ove necessario. Disponibili nei colori rosso mattone e grigio chiaro e, su richiesta, rosso corallo, verde svizzero, blu e grigio fumo.

L’installazione delle lastre in vetroresina passo-passo

Sulla base delle dimensioni del tetto da coprire, si scelgono le lastre ondulate della misura più idonea.
Gli adeguamenti in lunghezza e larghezza, se necessari, si eseguono con la smerigliatrice angolare.
La posa inizia dal basso, da sinistra o da destra. La prima fila di lastre deve sporgere dalla struttura di sostegno di 10 cm circa.
Per il fissaggio si usano tirafondi (sul legno) o viti (su metallo); per l’applicazione si eseguono fori sulla lastra in corrispondenza della parte superiore dell’onda (o greca), alternate una sì e una no.
Il diametro del foro deve essere di 3 mm maggiore di quello del tirafondo o vite, per far fronte alle normali dilatazioni. Il fissaggio si inserisce nel foro con la necessaria guarnizione per la tenuta all’acqua: con le lastre opache si usano i cappellotti in tinta uguale alla lastra, ma sono utilizzabili anche le guarnizioni BAZ, ideali per le lastre trasparenti.
In caso di sormonto laterale di mezza onda è consigliabile la sigillatura con silicone della copertura ondulata.
La guarnizione BAZ potrebbe essere considerata una guarnizione universale: rotonda e piccola, risulta meno visibile, quindi più indicata per l’utilizzo sulle lastre trasparenti, ma la sua perfetta tenuta all’acqua la rende ugualmente utilizzabile anche sulle lastre opache.
Prosegue la posa delle lastre, con foratura e applicazione dei fissaggi , sino al completamento della prima fila.
La posa della seconda fila inizia dal lato di attacco della prima e prevede un sormonto di testa: la lastra che si mette in posizione sormonta quella della fila precedente. Con una pendenza della tettoia maggiore di 6°, l’entità del sormonto è di 20 cm.
Sulla base della larghezza totale della copertura, si calcola il numero delle lastre necessarie per coprire una fila. Dai disegni si può comprendere bene qual è la resa effettiva delle lastre, considerando le due possibili entità di sormonto laterale.

Elyplast rotoli e lastre per vari utilizzi

Ideali per tettoie, pergole, verande, giardinaggio e hobbistica, soddisfano ogni esigenza di copertura e tamponamento anche verticale. Molti i vantaggi: protezione dalla luce diretta, particolare economicità in riferimento alle prestazioni, leggerezza e flessibilità, facile manovrabilità e messa in opera, resistenza a tutte le condizioni climatiche, ottima stabilità dimensionale, resistenza agli agenti chimici.

Rotoli ondulati ELYPLAST, per rivestimenti continui

Rotoli piani e ondulati (passo 76/18 onda lamiera) in vetroresina, utilizzati per copertura, tamponamenti verticali, recinzioni, pensiline ecc. Le differenti dimensioni in altezza e lunghezza dei rotoli permettono, nella maggior parte delle applicazioni, di realizzare soluzioni continue, evitando eventuali sormonti laterali. Particolarmente adatti per tamponature verticali. Opportunamente intelaiati permettono di realizzare portoni, finestrature e chiusure verticali in genere, dove la prerogativa dell’infrangibilità garantisce sicurezza contro rotture e incidenti. I laminati sono prodotti con resina standard in vari spessori e differenti dimensioni in altezza e lunghezza. Il peso è a partire da 1 kg per metro quadrato, per un’altezza che varia da 1 a 2,5 metri (per altezza 3 metri, la lunghezza massima del rotolo è 30 metri). I colori disponibili sono: neutro e verde traslucido; altri colori quali giallo, bianco latte e blu, su richiesta.

Elyforma metal

Lastre in acciaio preverniciato, accoppiate all’intradosso con un particolare tessuto non-tessuto anticondensa e antirombo, riproducono la forma delle tegole con il vantaggio della lunga durata e pressoché assenza di manutenzione. Disponibili in finiture simil tegola portoghese, marsigliese e belga e nelle varianti colore rosso tegola o rosso anticato, sono corredate da una serie di accessori a completamento dell’installazione. Massima semplicità di posa: facile montaggio, tempo di installazione ridotto fino al 50%. Sistema completo: ideale per essere utilizzate in abbinamento con il sistema Isotec e Isotec Linea, realizzando un pacchetto completo di copertura.

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Impianto geotermico

Il riscaldamento geotermico consiste nell’utilizzo dell’energia che viene dal sottosuolo per riscaldare d’inverno e rinfrescare d’estate: analizziamo insieme come è strutturato un impianto geotermico

Un impianto geotermico è costituito due elementi: una sonda geotermica ed una termopompa. Il calore geotermico fa parte delle energie rinnovabili ed è sfruttabile a diverse profondità del sottosuolo. Già a 20 metri sottoterra si trovano temperature costanti che non subiscono l’influenza delle variazioni climatiche di superficie; da qui, la temperatura sale di circa 1°C ogni 33 metri. A 100 metri di profondità si ha una temperatura superiore ai 12°C.

Il calore dalla terra

Su questi presupposti si fonda il principio di funzionamento di un impianto geotermico – sia di quello verticale (SGV), che lavora in profondità andando a recuperare la più alta temperatura possibile, sia del geotermico orizzontale (SGO) che lavora a bassa profondità ed essendo condizionato dalle escursioni termiche stagionali, sopperisce al minor differenziale termico con una molto più estesa superficie di scambio.

Il primo sistema si attua con perforazioni verticali comprese tra i 50 e i 150 metri di profondità, ma si può andare oltre in funzione dell’energia termica richiesta; nel foro vengono inserite le sonde geotermiche, tubi in polietilene che formano un circuito chiuso nel quale scorre un liquido che cattura il calore del sottosuolo.

Il ciclo termico si chiude con il recupero di questo potenziale termico da parte di una pompa di calore che, con un limitato consumo energetico, riesce ad “amplificarlo”, restituendo circa 4 kW termici per 1 kW di energia elettrica spesa. All’interno poi, per ottimizzare la resa, bisogna installare un impianto radiante a pavimento che necessita di temperature molto più basse rispetto ai sistemi tradizionali. 

Impianto geotermico – ideale per il riscaldamento radiante

impianto geotermico

Il funzionamento di una pompa geotermica è simile a quella di un frigorifero che sottrae calore agli alimenti cedendo l’energia all’ambiente circostante. Il calore estratto dal sottosuolo viene “pompato” a temperature più elevate per il riscaldamento e la produzione di acqua calda: considerato che questo comporta un consumo di energia elettrica, occorre un corretto dimensionamento in fase di progettazione. Fondamentale per questo calcolo è il valore della temperatura di mandata massima, quella in uscita, che non dovrebbe superare i 45°C: per questo è preferibile utilizzare sistemi di riscaldamento a bassa temperatura, come quelli a pavimento o a parete, per i quali è sufficiente una temperatura in uscita di 35°C. Gli impianti esistenti a radiatori necessitano di una temperatura più alta, per questo non consentono quasi mai l’impiego di pompe di calore.
Nel disegno: schema di un impianto geotermico con sonda in pozzo profondo, per la produzione di acqua a temperatura più alta di quella di superficie, che entra nel circuito di produzione di acqua calda sanitaria e dell’impianto di riscaldamento, tramite una caldaia tradizionale. Naturalmente il circuito può essere integrato con l’apporto di collettori solari.

Gli elementi dell’impianto

  1. Una trivella di circa 15 centimetri di diametro scava un buco profondo mediamente un centinaio di metri in poche ore ed in terreni di qualsiasi composizione, da rocciosa a sabbiosa. Nel foro praticato si introduce una sonda SGV (sonda geotermica verticale) che consiste in una tubazione a circuito chiuso contenente acqua e antigelo. La sonda ha funzione di scambiatore di calore con il sottosuolo dove, da una profondità di 20 m circa, sono garantite temperature costanti estate e inverno (in Italia mediamente dai 10° ai 14° C), e da quella quota aumenta di 1°C ogni 33 metri in più di profondità.
  2. Il boiler la cui acqua viene riscaldata dalla caldaia e dalla sonda geotermica.
  3. Impiantistica di collegamento tra sonda e pompa di calore.
  4. Sistema di controllo della pressione e della temperatura.
  5. Pompa di calore che riceve il fluido dalla sonda e riscalda l’acqua del boiler.

Impianto in superficie

impianti geotermici
In presenza di un terreno sufficientemente ampio, i due circuiti orizzontali SGO vengono posizionati sotto terra a bassa profondità. Hanno a disposizione meno quantità di calore e di conseguenza devono estendersi in superficie: si stimano dai 25 ai 50 mq di ingombro per kW di potenza termica ottenibile. La resa della SGO (sonda geotermica orizzontale) è più bassa perché la temperatura dello strato poco profondo (5-6°C circa) varia con le condizioni atmosferiche, a differenza delle SGV che lavorano, inverno ed estate, in ambiente a temperatura costante. La scelta dei due tipi di sonda non è facile e deve essere fatta consultando un esperto. Il suo giudizio finale determina quale tipo è il più vantaggioso, in base al fabbisogno ed alle caratteristiche geologiche del luogo.

Mortasatrice portatile fai da te | Tutti i passaggi illustrati

In un filmato su internet si scopre che una mortasatrice portatile fai da te si può autocostruire; questo è sufficiente per fare un progetto e procurarsi il materiale necessario. La particolarità è che è quasi interamente fatta di multistrato di betulla

Curiosando su internet alla ricerca di alcune informazioni, il nostro esperto lettore Marco Pierandrei si è imbattuto in un video in inglese in cui un fai da te d’oltreoceano illustra con dovizia di particolari l’autocostruzione di una strana mortasatrice portatile, funzionante con una fresatrice.

La mortasatrice fai da te ha fatto colpo sul nostro lettore perché era proprio quello che da tempo cercava senza successo sui cataloghi delle varie aziende, ovvero una mortasatrice portatile di dimensioni molto contenute, in modo da poterla trasportare in qualunque posto, oltre al fatto che, una piccola stazionaria di questo genere, può trovare facilmente posto dove lo spazio manca sempre. Guardando e riguardando il filmato, Marco è riuscito a identificare tutti gli elementi necessari per fare i disegni, ragionare sugli aspetti più spinosi e fare un calcolo del materiale necessario.

La costruzione, a parte la ferramenta utilizzata, è interamente di legno multistrato di betulla spesso 15 mm; dove si richiedono spessori maggiori, si uniscono due pezzi abbinandoli col dorso e incollandoli. Le giunzioni sono realizzate con biscotti, spine e, dove necessario, viti da legno di misura 4×20 mm e 4×30 mm. La cavatrice di mortase fai da te si compone sostanzialmente di 4 parti:

  • il piano dove appoggia il pezzo da lavorare,
  • il piano inclinato,
  • l’insieme con i due pianetti di spostamento
  • la struttura di supporto.

Il piano dove appoggia il pezzo si muove, ma solo per regolare l’altezza di lavoro della punta; spostandolo avanti o indietro, scivola su un piano inclinato e quindi si alza o si abbassa rispetto alla punta che, invece, non si muove verticalmente.

Quest’ultima, al contrario delle mortasatrici delle combinate, dove le punte non traslano, si muove lateralmente e avanti/indietro perché ad azionarla è una fresatrice portatile vincolata a due pianetti che scorrono su guide per cassetti. La cavatrice di mortase portatile così architettata è efficace e precisa, occupa pochissimo spazio e, per lavorare, può essere immobilizzata su qualsiasi banco.

La mortasatrice portatile fai da te ha tutto ciò che serve

mortasatrice portatile di legno

  1. Il premi-pezzo è incernierato con un blocchetto di multistrato fatto con due pezzi affiancati; da questo parte verticalmente un tondino di legno che si innesta nel braccio orizzontale, costituito nuovamente da doppio multistrato da 15 mm; all’estremità, infine, si incerniera una barra filettata grazie all’inserimento nel legno di una boccola con filetto interno a passo metrico.
  2. Come in ogni mortasatrice portatile di questo genere, deve esserci una nutrita serie di asole di regolazione, che in questo caso, però, sono realizzate usando il multistrato. La scelta della misura da 15 mm è frutto di un calcolo volto a ottenere la dovuta rigidità, necessaria per garantire robustezza e precisione non solo per quel che riguarda i piani, ma anche per i piccoli pezzi tecnici.
  3. Sul pannello frontale, che fronteggia la fresatrice, si realizza un’asola che in pratica rappresenta l’escursione possibile del pianetto fresante, quindi le dimensioni laterali massime, che la punta può scavare (la profondità massima, invece, dipende dalla lunghezza della fresa).
  4. Nella parte posteriore della guida, in corrispondenza dell’asola, vi è uno scasso maggiore che ne riprende la forma; questo è eseguito per poter fare spazio al mandrino della fresatrice e poter avanzare al massimo con il pianetto, guadagnando un buon centimetro di escursione in profondità della fresa. Si nota anche la rotaia su cui scorre lateralmente il pianetto, che in realtà è una guida di metallo per cassetti; la scelta è dovuta alla necessità di libero scorrimento. Sopra, il sistema di bloccaggio della fresatrice, con fascette autoserranti, che si affida a due supporti fatti con più pezzi di multistrato affiancati.

cavatrice di mortase portatile

Cosa serve per costruire una mortasatrice portatile fai da te:

  • Multistrato di betulla spessore 15 mm;
  • profilato d’alluminio 20×10 mm;
  • Molle a trazione lunghezza 100 mm;
  • 2 pomelli di serraggio a vite passante;
  • 1 pomello di legno;
  • 2 viti con quadro sottotesta 5×50 mm;
  • 2 viti con quadro sottotesta 6×60 mm;
  • 3 dadi a galletto di cui 1 maschio;
  • 3 boccole doppio filetto da 6 mm;
  • 1 pomello (per sistema bloccaggio pezzo);
  • viti per legno 4×30 mm e 4×20 mm;
  • spina d’acciaio da 2 mm

I principali dettagli costruttivi

costruzione mortasatrice

disegno cavatrice di mortase

cavatrice di mortase fai da te

  1.  Prima di tagliare i pannelli laterali a, per dar loro la forma prevista, si provvede alla realizzazione della sede per la guida di scorrimento facendo uno scasso rettilineo con la fresatrice. In questo caso la mortasatrice portatile va montata su un banchetto per fresare; regolata la profondità di lavoro e la distanza dalla guida laterale, si passano entrambi i pannelli da trattare.
  2. Dopo la fresatura i due rettangoli di multistrato devono essere sagomati sul lato lungo, tagliandone via un pezzo. Dato che la linea di taglio non è rettilinea, nel punto in cui cambia direzione va praticato un foro di diametro superiore alla larghezza della lama della sega a nastro, che si usa per eseguire l’operazione.
  3. Si inizia il taglio da un lato della tracciatura, portando avanti il pezzo lentamente e con la massima precisione; si segue la linea tracciata sino al foro dove, approfittando dello spazio di manovra che questo consente, si fa ruotare il pezzo e si prosegue nella nuova direzione, portando a compimento il taglio.
  4. Sulla guida di scorrimento di metallo, con sezione a U, va fatta una lunga asola dove alla fine scorrerà il perno di una manopola di fissaggio; la stessa asola va riportata sul legno e realizzata con la fresatrice montata sul banchetto, ma questa volta marcando bene il punto di inizio e di fine della passata, da ripetere con la medesima estensione sul pannello a controlaterale. Al termine si fissa la guida metallica nella corretta posizione con due viti a testa svasata.
  5. I due pannelli a appena approntati, sono speculari per quel che riguarda
    la posizione dello scasso per la guida metallica di scorrimento; si uniscono al pannello frontale b mediante due viti da legno per parte. Questa struttura rappresenta la guida d’appoggio frontale contro cui il pezzo da mortasare dovrà essere bloccato. Il montaggio di questi pezzi è provvisorio ma utile per determinare l’esatta posizione in altezza dell’asola orizzontale che si deve fare proprio sul pezzo b; è per determinare la sua altezza che bisogna praticamente allestire tutta la macchina, in particolar modo realizzare i sostegni della fresatrice e il pianetto di scorrimento laterale, incluse le necessarie guide di scorrimento, che in questo caso fanno ulteriore spessore.
  6. Per procedere con la costruzione si stabilisce l’esatta posizione dell’insieme c sul piano sottostante sul quale si immobilizza lateralmente, fissando al piano stesso due listelli longitudinali, in posizione d’appoggio ai fianchi interni di c.
  7. Per garantire alla fresatrice il movimento longitudinale e laterale, si applicano due coppie di guide di scorrimento, una coppia per ogni direzione: le prime due si mettono sul pannello che fa da base per tutta la macchina, dove appoggia anche l’insieme c.
  8. Su queste si applica il piano e che può scorrere avanti e indietro senza toccare lateralmente i montanti a. L’altra coppia di guide, quelle per il movimento laterale, si fissa sul piano e e consente il libero movimento al pianetto f, messo sopra.
  9. I due supporti i, sagomati per reggere la fresatrice, sono fissati da sotto al pianetto f che, come si nota è più stretto lateralmente, rispetto allo spazio di cui dispone: quello è lo spazio di manovra che gli è consentito proprio per traslare sulle guide sottostanti.
  10. Le manopole si eseguono usando pezzi di scarto del legno multistrato utilizzato. Partendo dal disegno su carta della manopola, si marcano sul legno le corrispondenze dei fori da fare: uno al centro e 8 sulla circonferenza esterna. Fatti i fori passanti, con un seghetto da traforo si uniscono tutti quelli situati sulla circonferenza, poi si arrotondano un po’ gli spigoli vivi.
  11. Nel foro al centro si avvita un bussolotto con filettatura interna a passo metrico in cui si inseriscono una vite e una rondella distanziale di legno, fatta tagliandola con sega a tazza.
  12. Le manopole servono per le regolazioni della mortasatrice; per esempio, la quota di fresatura (lavoro) si stabilisce facendo scorrere avanti o indietro il pezzo g, che scivolando su h, alza o abbassa il piano di lavoro d su cui il pezzo appoggia.

Guarda il video della mortasatrice fai da te all’opera

Puntatrice elettrica fai da te per lamiere | Progetto illustrato passo-passo

La puntatrice elettrica fai da te è una macchina semplice ma funzionale, realizzata con pezzi di recupero di varia provenienza; molti elementi, come i bracci saldanti, sono del tutto autocostruiti

Il nostro lettore Leonardo Telesca ha costruito una puntatrice elettrica fai da te recuperando il trasformatore da una vecchia saldatrice; recupero non facilissimo, visto lo stato del componente: un supporto rotto, con pericolo di cortocircuiti, e i terminali dei connettori molto deteriorati.

Sistemati questi aspetti, si verifica l’integrità degli avvolgimenti e il funzionamento del termostato che interrompe il circuito, in caso di surriscaldamento. Dalla vecchia saldatrice si recupera anche il commutatore di potenza, mentre un vecchio ventilatore viene applicato come sistema di raffreddamento da azionare all’accensione.

Per la struttura si usano tubolare di ferro e tondi di varie sezioni, il tutto unito con saldatura a elettrodi. La parte attiva è costituita da due bracci che attuano la puntatura delle lamiere: quello inferiore (negativo) è fisso, mentre quello superiore (positivo) scende a comando di un pedale.

Nel momento in cui i due puntali si toccano, un microinterruttore, in posizione strategica, dà corrente agli elettrodi. Come carter di chiusura della puntatrice elettrica fai da te si usano lamiere forate e alcuni pannelli (fondo, retro e sportello) presi da un forno a microonde.

Guarda il video

Come funziona una puntatrice

La puntatrice elettrica è una macchina per unire lamiere di ferro che non lavora con il principio dell’arco voltaico, bensì con quello della resistenza elettrica che provoca un forte riscaldamento nel punto in cui i due elettrodi sviluppano la loro azione (pressione e passaggio di corrente elettrica).

Nonostante la diversità fra i due sistemi, per il funzionamento della puntatrice va bene anche un trasformatore elettrico come quello presente nella saldatrice a elettrodi.

Questa tecnica è applicabile solo ad acciaio di basso spessore, quindi lamiera, per cui è più ampiamente diffusa nel campo automobilistico e degli elettrodomestici. Il funzionamento è condizionato da fattori fra cui la ridotta superficie in cui si deve sviluppare il calore, la quantità di corrente elettrica che deve attraversare questa superficie e la pressione che gli elettrodi esercitano sul punto di lavoro, per tenere a contatto i lembi.

Gli elettrodi della puntatrice sono di rame, quindi si possono ricavare prendendo comuni ugelli da saldatrice a filo continuo. Da una parte hanno il filetto M6 per il fissaggio, mentre l’altra estremità, per adattarla al diverso utilizzo, va modificata rendendola leggermente più appuntita, usando un tornio per metalli.

Componenti e assemblaggio della punzonatrice elettrica

progetto punzionatrice elettrica

Il telaio è un tutt’uno con le lunghe gambe che fanno da sostegno a pavimento della puntatrice, i cui componenti elettrici sono pochissimi: il trasformatore, il suo commutatore di potenza, un interruttore da pannello, un microinterruttore e una ventola di raffreddamento. Il resto è costituito da parti meccaniche per i bracci di puntatura e la loro movimentazione, più i vari carter che rivestono la parte alta della macchina.

Al vecchio trasformatore è stato riparato un supporto rotto rinforzandolo con piastrine metalliche, mentre i conduttori sono stati leggermente accorciati per rifare i contatti su metallo buono.

Del trasformatore è stato tenuto e ricollegato adeguatamente il termostato che inibisce il funzionamento in caso di surriscaldamento.

Gli ugelli in rame utilizzati come terminali di puntatura vanno adeguati alla nuova funzione che devono svolgere: basta una veloce passata al tornio, per rendere l’estremità un po’ più appuntita.

I due bracci sono molto robusti e collegati saldamente al telaio, ma sono anche perfettamente isolati mediante boccole di teflon, non sensibili al calore che si propaga.

Sul traformatore incombe una generosa ventola di raffreddamento che si attiva con interruttore.

Ogni parte metallica è collegata a terra per la massima sicurezza.

I bracci vanno montati e regolati in modo che, premendo il pedale, i terminali di puntatura vadano a contatto in perfetto allineamento.

Dettagli costruttivi

Il pedale è formato da un pezzo di tubo da 1/2” arrotondato con la piegatubi, poi saldato al centro a un altro pezzo; questo secondo è unito a 90° con un tondo Ø 12 mm che fa da fulcro di rotazione, innestato alle estremità nei due manicotti da 1/2” fissati con grani.

Posteriormente il leveraggio del pedale è incernierato con il rimando verticale; sotto, una molla garantisce il ritorno in posizione di riposo.

Il cavo di alimentazione è dimensionato a dovere, dato l’assorbimento della macchina. Dal pannello posteriore, ricavato dal forno a microonde, esce attraversando un fermacavi.

Il quadro comandi mostra solo l’interruttore della ventola di raffreddamento e il commutatore a 3 posizioni.

Sognare un giardino formale alla francese e amare il nostro “scapigliato” di oggi

Tratto da “In Giardino n.65 – Marzo-Aprile 2019″

Autore: Nicla de Carolis

“La Loire traverse, dans son cours, une vallée, qui pour sa fertilité est appelée le jardin de France” questo il mio ricordo dell’introduzione che il professore di francese, con pronuncia e intonazione perfette, ci fece alle medie per parlare della Loira e di tutte le meraviglie che si trovano sul suo corso: un giardino così grande che si sviluppa addirittura lungo tutto un fiume. La cosa mi colpì e imparai che, a differenza dal resto della Francia, la valle della Loira è caratterizzata da un clima temperato, estati secche con temperature miti e ventilate e autunni mai troppo freddi, che consente la coltivazione di una grande varietà di fiori e piante. Per lo stesso motivo, probabilmente, i sovrani di Francia, seguiti dalla nobiltà di corte, scelsero la valle per le loro dimore estive e vi costruirono, tra il X e il XVII secolo, ben 300 castelli. Ci mettono in soggezione la bellezza e l’austerità dei giardini di questa zona (vedi articolo a pag. 6, Chateau du Rivau) progettati intorno ai castelli secondo le regole del giardino formale alla francese, per distinguerlo da quello inglese, di tipo paesaggistico e che deriva dal giardino rinascimentale di matrice italiana. I più belli sono stati realizzati nel ‘500 e riflettono il razionalismo umanistico dell’epoca che afferma il dominio dell’uomo sul mondo dei sensi. L’uomo del Rinascimento vede la natura come qualcosa da piegare al proprio volere e da usare alla stregua di un qualsiasi altro materiale utilizzato per costruire. Così il giardino si deve adeguare alle regole che disciplinano l’architettura: simmetria, prospettiva. A farla da padrone in questi giardini è l’arte topiaria in base alla quale le siepi devono essere potate in forme geometriche, di animali, di oggetti e anche di persone. Altro esempio dei giardini di questo periodo è il labirinto, semplice ma sempre d’effetto, dove tutte le vie hanno un’uscita. I fiori sono confinati in un luogo separato dal resto, il giardino segreto. E poi vigne, giardini acquatici e l’orto-giardino d’ispirazione medievale, dove i colori degli ortaggi, il blu del porro, il rosso della barbabietola, il verde giada delle foglie di carote, si alternano ai fiori in un’enorme scacchiera variopinta e profumata. Certo ben pochi di noi potrebbero aspirare ad avere un giardino alla francese o anche all’italiana, così formali, realizzabili su progettazioni di professionisti, in spazi enormi e bisognosi di cure assidue per mantenere la loro “forma”, appunto. Spesso i nostri giardini nascono senza un “disegno”, semplicemente iniziando a trapiantare una rosa vicino a casa perché quando fiorirà ne potremo godere il profumo e la bellezza oppure mettendo a dimora una siepe che nasconda qualcosa di antiestetico o una pianta da frutto che tanto ci piace. Insomma, qualcosa di molto lontano da qualsiasi formalismo, qualcosa che comunque ci impegna, un giardino spesso disordinato ma che amiamo.

Come coprire le piastrelle senza toglierle | La guida completa passo-passo

I locali con pareti piastrellate non impongono più interventi di demolizione del rivestimento per essere rinnovati. Basta coprire le piastrelle utilizzando uno stucco speciale

Perché nasce l’esigenza di coprire le piastrelle della cucina, del bagno o di qualsiasi altra superficie piastrellata? Semplice: perché magari le piastrelle ci hanno stufato oppure perché nasce un’esigenza specifica di rinnovare l’ambiente rendendolo più moderno.

In diversi articoli abbiamo già mostrato come si possa cambiare volto a bagno e cucina senza affrontare importanti lavori di muratura per rimuovere le piastrelle, semplicemente ricolorandole con smalti speciali come SottoSopra oppure Facile&Veloce, capaci di aderire tenacemente anche alle superfici lucide.

Questa volta si va oltre : sempre senza rimuoverle, si ricoprono le piastrelle, colmando le relative fughe e realizzando un rivestimento continuo che alla fine risulta ugualmente impermeabile e lavabile. Tutto questo è permesso da un particolare stucco che fa parte della linea Facile&Veloce di Gapi Paints, che ha le stesse prerogative di aderenza e aggrappaggio alle superfici difficili dello smalto e della vernice trasparente che rientrano in gamma.

Con pochissimi millimetri di spessore si rinnova completamente una superficie anche dove ci sono elementi rotti, discontinuità e disallineamenti; poi si applica lo smalto del colore desiderato e, infine, la finitura trasparente completa la copertura delle vecchie piastrelle.

Tre prodotti imparare come coprire le piastrelle senza toglierle: uno smalto colorabile, una vernice trasparente e uno stucco, tutti abbinabili tra loro per ottenere effetti, resistenza o finiture extra. Si applicano su tutti i mobili in laminato e finto legno quali scrivanie e complementi; su pavimenti in cemento; su strutture in acciaio, grondaie, lamiere zincate, canali in rame; su tutto quello che è in pvc, canali strutture e mobili.

I tre prodotti sono ad acqua, inodori, adatti per uso in interni e in esterni, caratterizzati da alta adesività alle superfici. Smalto e vernice sono disponibili in confezioni da 0,625 litri e 2,5 litri, mentre lo stucco è da 1 kg e 5 kg.

La preparazione della superficie

La situazione come si presenta in partenza: le piastrelle sono vecchiotte e non più in linea con i gusti moderni.
Con un raschietto si puliscono a fondo le fughe, dove inevitabilmente si accumulano sporco e grassi.
Ancora un rapido passaggio lungo le fughe con carta vetrata piegata in due, per rimuovere ciò che resta sui bordi.
Resta da rimuovere completamente l’untuosità residue sulle superfici delle piastrelle; si agisce con un panno pulito imbevuto di alcool etilico.
Ultima fase della predisposizione della superficie è quella della mascheratura, con cui si va a limitare con la massima precisione la zona in cui lo stucco va applicato.

Coprire le piastrelle applicando stucco speciale

Per evitare che a lavoro finito restino tracce delle fughe, queste vanno riempite di stucco e lasciato essiccare.
La stesura dello stucco sulla superficie per coprire le piastrelle si fa con manara americana a bordi lisci; bastano 2-3 mm di spessore.
Le righe che restano a fine rasatura si rimuovono con carta abrasiva a grana grossa e poi media.

Applicazione della smalto colorato e poi la finitura

I pigmenti in microgranuli sono disponibili in tagli da 1 a 32 grammi e permettono di ottenere le tonalità riferibili a una nutrita cartella colori. La precisione della grammatura in ogni boccetta permette di riprodurre la medesima tinta anche in tempi successivi.

Il pigmento si versa nella latta dello smalto, ma per utilizzi “creativi” può essere mescolato anche allo stucco.
Si mescola sino al totale dissolvimento dei granuli di pigmento.
Lo smalto si stende con rullo, ideali sono quelli con spugna in moltoprene. Si impregna il rullino e si sgronda per ottenere la massima uniformità di stesura.
L’applicazione va fatta incrociando le passate verticalmente e orizzontalmente.
Per arrivare bene negli angoli è meglio utilizzare un rullino stretto con bordi squadrati.
Una buona mascheratura preventiva permette di passare con libertà anche nei punti più difficili, per esempio per aggirare i rubinetti e altri elementi che non vanno colorati. Lo smalto ha una capacità di coprenza molto elevata, difficilmente è necessario stendere una seconda mano di prodotto.
Anche la vernice trasparente è un prodotto all’acqua; basta una rimescolata per uniformare il contenuto del barattolo ed è pronta all’uso.
Come lo smalto, la vernice va stesa a rullo. L’aspetto bianco lattiginoso caratterizza il prodotto nella fase liquida;
non appena asciuga diviene completamente trasparente.
L’aspetto lattiginoso aiuta nella stesura perché permette di vedere bene le zone in cui la finitura è già stata stesa e di rilevare quelle in cui c’è accumulo di prodotto.
In pochi minuti la vernice diviene trasparente, ma la caratteristica di finitura prescelta, fra lucida, satinata o soft touch, si può osservare solo a completa essiccazione avvenuta.

Termoconvettore a gas | Installazione e impianto

Con un termoconvettore a gas possiamo integrare l’impianto di riscaldamento esistente senza interventi drastici

L’installazione di un termoconvettore a gas può risultare davvero utile, ma prima di procedere all’acquisto è opportuno valutare diversi fattori.

Quando non si può regolare la temperatura in ogni singolo ambiente si è costretti a mantenere un valore medio: questo è vero soprattutto all’inizio e alla fine dell’inverno quando, senza scaldare l’intera abitazione, può bastare la classica “fiammata” in alcuni locali e solo in determinati orari

Per queste particolari esigenze si può ricorrere a una fonte di riscaldamento aggiuntiva e localizzata fornita dai termoconvettori a gas metano, un “aiutino” da utilizzare in determinati momenti della giornata.

Le possibilità di ottenere un buon risultato senza interventi gravosi sono molte, a seconda che si disponga o meno di una canna fumaria, che si debba installare la fonte di calore addossata a un muro perimetrale o a una tramezza, oppure a pavimento.

Ottimizzazione dei consumi

Si può scegliere tra riscaldatori ad aria o ad acqua, che richiedono combustibile o a funzionamento esclusivamente elettrico; la gestione elettronica permette di ottimizzare i consumi con l’impostazione della temperatura e delle fasce orarie di funzionamento.

Tutto questo può avvenire senza affrontare interventi di ristrutturazione, con un investimento modesto e potendo usufruire della fonte di calore aggiuntiva nell’arco di mezza giornata o poco più.

Quanto ai consumi, le case produttrici prestano sempre maggior attenzione a questo aspetto; ne sono un esempio i sistemi ad accumulo che si comportano come veri e propri “serbatoi” in grado di rilasciare il calore gradualmente e per un tempo abbastanza lungo senza assorbire energia in continuo.

Schema impianto del termoconvettore a gas

impianto termoconvettore

Come realizzare il foro per lo sfiato del termoconvettore a gas e relativa canalizzazione

carotaggio muro

installare termoconvettore

dima di montaggio

  1. Effettuata la tracciatura, si esegue il foro Ø 50 mm con una lunga fresa a tazza montata sul trapano che diventa una vera e propria carotatrice.
  2. Se si lavora in coppia (uno fora e, contemporaneamente, l’altro aspira) si evita di disperdere la polvere. La “carota” di laterizio, estratta dalla tazza a fine lavoro, dimostra la regolarità e la pulizia del foro.
  3. Il tubo coassiale va tagliato alla lunghezza necessaria; quello di diametro maggiore dispone di una battuta che appoggia alla parete interna.
  4. All’esterno si chiude il foro con una griglietta di misura che non ostacola il passaggio dell’aria, ma ferma quello di insetti e altri animali.
  5. Per l’alimentazione si intercetta un tubo del gas proveniente dal locale di servizio al piano interrato, dove è situata la caldaia, forando il pavimento
  6. Si inserisce un raccordo a T sul tubo per diramare la mandata.
  7. Si completa il collegamento gas con l’inserzione di un rubinetto e si effettua l’allacciamento elettrico nella più vicina presa di corrente.
  8. Si posiziona a parete la dima che riporta le distanze da rispettare, le tracce per i tasselli di fissaggio del supporto e l’esatta posizione per il foro del condotto coassiale.

Termoconvettori a gas Robur

termoconvettore robur

Insieme al termoconvettore a gas vengono forniti la dima di montaggio, la staffa per il fissaggio a parete, il condotto coassiale lungo 50 cm da adattare allo spessore del muro, il terminale esterno di lega d’alluminio con guarnizione, la guarnizione da inserire tra apparecchio e parete, il kit di trasformazione per GPL, la spina elettrica tripolare.

Esistono 4 modelli di termoconvettori Robur con potenze comprese tra 2,92 e 4,71 kW, il rendimento è del 90%. Nel servizio abbiamo seguito l’installazione del modello più potente, per locali medio-grandi. Dall’esterno si nota soltanto il terminale antivento del tubo coassiale, con un diametro esterno di 105 mm e una sporgenza max di 30 mm. Robur (www.robur.it)

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