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Cuccia per gatti fai da te in legno | 12 foto passo-passo

Questa cuccia per gatti fai da te (da interno o da esterno) è formata da una cornice di listelli uniti con tagli a 45° e doghe fatte con listelli più piccoli

cuccia in legnoIl gattino di casa è abituato a dormire stravaccato sul suo morbido cuscino rettangolare, troppo grande per stare disteso dentro un cestino. Stufo di vedere il cuscino messo direttamente sul pavimento, il nostro lettore Alessandro Morelli ha deciso di costruire una cuccia per gatti fai da te in legno con doghe, di misura ideale per il cuscino, in modo che il tutto apparisse come un vero e proprio letto futon giapponese.

Cosa serve per costruire una cuccia per gatti fai da te
I materiali utilizzati, avanzi di abete piallato da altre lavorazioni, sono:

  • listello grande 45×30 mm di sezione per la cornice del letto;
  • listello più piccolo, 22×20 mm di sezione per fare le doghe;
  • una tavoletta da 16 mm di spessore, per fare i piedini.

Per prima cosa va fatta la cornice del lettino, in modo da calcolare con precisione la lunghezza delle doghe che vi si devono inserire. Fare le cornici è cosa facile, forse troppo, per cui si sbaglia con frequenza. Nel praticare i tagli, va considerato il materiale che la lama asporta per via del suo spessore; conviene pertanto fare il primo taglio, verificare la posizione della marcatura del secondo ed eventualmente adeguare la posizione della lama. Fatti i quattro lati è doverosa una prova di montaggio (in bianco) per verificare che la cornice sia ben squadrata e i pezzi combacino. Altro punto importante è l’esecuzione della fresatura per fornire una sede d’appoggio alle doghe della cuccia per gatti fai da te. Queste devono poter fare battuta sulla cornice, ma rimanere perfettamente a filo di questa. Perciò la profondità di fresatura va calibrata sullo spessore dei listelli doga: anche qui serve molta precisione. Per finitura, una mano di impregnante all’acqua e una di vernice trasparente lucida; sotto i piedini, quattro grossi feltri rotondi.

Come costruire una cuccia per gatti

come costruire una cuccia per gatti

  1. Marcata sul listello la misura di un lato della cornice, si taglia con una sega tagliacornici o con una comune sega a dorso, aiutati da una cassetta tagliacornici. Questo per ottenere angoli di taglio precisi, a 45°.
  2. Sul bordo interno superiore dei due listelli più lunghi si pratica la battuta per i listelli doga. L’operazione è facilmente eseguibile con una fresatrice a tuffo, in questo caso usata come macchina stazionaria, bloccandola nel banchetto a morsa, in posizione capovolta.
  3. La sporgenza verso l’alto della fresa è calibrata per lo spessore dei listelli, mentre la guida parallela permette di avanzare rimuovendo sempre lo stesso quantitativo di materiale in larghezza.
  4. I quattro lati della cornice vengono assemblati spalmando le facce a contatto con colla vinilica e collocando i listelli su un piano, tenuti insieme saldamente tramite quattro morsetti per cornici, sino a che l’adesivo non sia essiccato.
  5. I piedini del lettino si fanno usando una sega a tazza da 60 mm di diametro esterno, montata sul trapano a colonna: si tagliano quattro rondelle da una tavoletta spessa 16 mm.
  6. Approfittando del foro centrale che resta nelle rondelle, ad una per volta si inserisce e si fissa un asse di supporto per piccoli dischi abrasivi, per poterle montare sul trapano a colonna. Avviato il trapano, lavorando prima con un pezzo di carta abrasiva di grana grossa e poi fine, tenute con un tacco di legno, si modella la rotondità del bordo superiore.
  7. Le doghe si fissano con colla vinilica. Per distanziarle correttamente si procede così: si contano le doghe (n), si affiancano una contro l’altra su un tavolo e si misura la larghezza totale (x); si misura la larghezza interna della cornice (y), si sottrae x a y, si divide il risultato per n+1.
  8. Quello che viene è la misura dello spazio fra una doga e l’altra; basta realizzare un paio di tacchetti di legno di quella larghezza e usarli come distanziali per posizionare le doghe.
  9. Quando la colla ha fatto presa, si ribalta il lettino e per ogni doga si piantano due chiodi senza testa alle estremità. I piedini del lettino, spalmati di colla sulla superficie di contatto, si mettono in posizione e si bloccano con una pinza a molla sino ad essiccamento avvenuto.

E ora che la cuccia per gatti fai da te è pronta proviamo a realizzare un tiragraffi per gatti fai da te!

Doccia fai da te per il giardino con tubi idraulici

Grazie alla doccia fai da te un rinfrescante spruzzo d’acqua rallegra i pomeriggi estivi da vivere in giardino

Ci sono poche cose che divertono i bambini più dei giochi d’acqua in giardino, durante le calde giornate estive. Ebbene, noi possiamo realizzare una doccia fai da te autoportante dotata di tre soffioni che crea una vera e propria barriera d’acqua attraverso la quale i bimbi possono passare e giocare. Ma l’insieme può, evidentemente, funzionare da doccia vera e propria per abluzioni all’aperto. La struttura della doccia fai da te è costituita da un riquadro di base in tubo zincato da mezzo pollice che sostiene un “arco”, sempre in tubo, sul quale sono montati i tre soffioni. Sia la base che l’arco, oltre che elementi strutturali, sono anche i conduttori dell’acqua della doccia. Il tutto viene alimentato con un normale tubo idrico per irrigazione collegato, con un giunto rapido, alla base quadrata tramite un rubinetto a sfera. Per utilizzare la doccia fai da te basta aprire il rubinetto di alimentazione e quello posto alla base della doccia. Dopo che ci siamo procurati i materiali ed abbiamo colorato con smalto spray sia i tubi che i raccordi, non resta che passare al montaggio: una serie di operazioni di avvitatura dei tubi nei raccordi. Questi sono di due tipi:

  • le curve servono per la creazione del quadro di base e dell’arco,
  • quelli a T servono per il collegamento delle due strutture e il montaggio dei soffioni e del rubinetto.

L’unico problema che incontriamo è il montaggio dell’ultimo tratto di tubo, sia del quadro di base, sia dell’arco. Succede infatti che avvitandolo in un raccordo lo svitiamo da quello posto all’altra estremità. Allora adottiamo un piccolo trucco: filettiamo un’estremità per una lunghezza doppia del normale, quindi avvitiamo questa parte in un giunto, inserendola il più possibile. Quando avvitiamo l’altra estremità la prima si svita ma, avendo questa una filettatura più lunga rimane comunque avvitata sul raccordo. Non resta che collegare il tubo idrico di alimentazione e aprire i due rubinetti; se la pressione è sufficiente i tre getti devono incrociarsi al centro. In caso di pressione scarsa possiamo eliminare i soffioni laterali o quello superiore.

Cosa serve per costruire una doccia fai da te (tubi e raccordi da 1/2 pollice):

doccia fai da te 1

[tie_list type=”checklist”]

  • 6 curve;
  • 7 raccordi a T;
  • 10 tubi in acciaio zincato da 500 mm e 10 da 1000 mm;
  • 4 doppie viti;
  • 3 soffioni doccia;
  • smalti spray per metallo;
  • 1 rubinetto a farfalla;
  • 1 innesto rapido per tubo idrico;
  • nastro di teflon [/tie_list]

Come progettare una doccia fai da te per giardino

doccia fai da te 3

Preparare i tubi per la doccia fai da te giardino

doccia fai da te 5

  1. con diluente nitro asportiamo la leggera patina grassa presente sui tubi nuovi per preparare gli stessi alla smaltatura.
  2. con la pistola ad aria compressa puliamo l’interno dei tubi da eventuali residui metallici di filettatura che potrebbero intasare i soffioni della doccia.
  3. proteggiamo le filettature con qualche giro di nastro di carta.
  4. procediamo alla smaltatura dei tubi con pittura spray. Nei tubi inseriamo delle stecche di legno in modo da poterli appoggiare su un paio di supporti per smaltarli completamente.
  5. sempre con smalto spray, ma di colore argento, trattiamo tutti i raccordi.

Montaggio doccia esterna fai da te

doccia fai da te 4

  1. sulle filettature dei tubi avvolgiamo nastro di teflon che permette un’efficace sigillatura.
  2. con la pinza a pappagallo con ganasce protette da nastro di carta, iniziamo il montaggio della struttura avvitando i tubi sui raccordi.
  3. i tre soffioni sono montati lungo il tubo per mezzo di un raccordo a T ed un giunto a doppia filettatura (doppia vite). Anche in questi collegamenti è necessario fare buon uso di nastro di teflon.
  4. il rubinetto di alimentazione viene collegato ai tubi con un raccordo a T ed una doppia vite. Il rubinetto è dotato di un giunto rapido per poterlo collegare e scollegare rapidamente al tubo flessibile di alimentazione idrica.
  5. tutta la struttura tubolare della doccia si monta avvitando tubo dopo tubo. L’ultimo pezzo di tubo va dotato di una filettatura più lunga ad un’estremità per poterlo avvitare in entrambi i raccordi.

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Come pulire un lampadario a gocce in 14 passaggi

Recuperiamo da un punto di vista estetico ed elettrico un lampadario vintage

I vecchi lampadari a goccie un po’ barocchi e ricettacoli di polvere e ragnatele sono passati di moda, per non parlare della loro non adeguata sicurezza elettrica: disfarcene, comunque, non rappresenta mai la soluzione migliore. Vediamo dunque come pulire un lampadario a gocce in ottone per ripristinarlo sia esteticamente, sia sostituendo i vecchi portalampada che non sono più a norma. L’operazione è radicale, nel senso che dobbiamo disassemblare completamente il lampadario, dapprima asportando tutte le gocce in vetro e poi smontando completamente la struttura metallica: dobbiamo porre attenzione durante queste fasi ad annotare la collocazione dei singoli pezzi per poi procedere alla ricomposizione. Laviamo le parti in vetro utilizzando una soluzione acqua-aceto che ci consente di pulirle a fondo asportando gli strati di polvere accumulati nel tempo. I vecchi portalampada a finta candela sono da buttare via: in commercio sono reperibili nuovi modelli dello stesso tipo di quelli vecchi, ma sicuri e a norma di legge. L’integrità dei cavi elettrici va verificata, ma è consigliabile sostituirli integralmente. Se la parte metallica ha la superficie deteriorata o arrugginita può essere smaltata ex novo con uno spray acrilico, il cui colore va scelto tra le tonalità argento, oro o grigio metallico. Non resta che procedere al rimontaggio del lampadario stringendo bene le ghiere che bloccano i bracci alla struttura centrale. Infine si passa alla parte elettrica ripristinando i collegamenti ai nuovi portalampada.

Come pulire un lampadario a gocce, smontaggio

Come pulire un lampadario 1

  1. smontiamo con cautela le gocce in vetro: se sono diverse registriamo le posizioni esatte in cui andranno ricollocate.
  2. svitiamo ed asportiamo i vecchi portalampada che non sono più a norma lasciando in cavi elettrici a vista.
  3. smontiamo anche i tige dei portalampada in modo da poterli pulire ed eliminare eventuali incrostazioni.
  4. laviamo le gocce in vetro con una soluzione di acqua e aceto che riesce ad asportare bene vecchi residui di polvere.

Nuova Smaltatura per il lampadario a gocce

Come pulire un lampadario 3

  1. tutte le parti metalliche che abbiamo smontato vanno pulite utilizzando acquaragia: durante quest’operazione indossiamo i guanti.
  2. una volta pulite e perfettamente asciugate possiamo colorare le parti metalliche con l’applicazione di smalto spray acrilico di colorazione argento, bronzo, ecc.

Come pulire un lampadario a gocce, rimontaggio del lampadario vintage

Come pulire un lampadario 4

  1. riassembliamo il lampadario iniziando con la parte centrale dello stelo ricomponendo via via tutti pezzi.
  2. riposizioniamo in sede anche gli ornamenti laterali verificando che non ci siano giochi e, se necessario, sostituendo le vecchie viti.
  3. inseriamo i nuovi cavi elettrici nelle loro sedi e spelliamoli in modo da poterli preparare ai collegamenti nei nuovi portalampada.
  4. raggruppiamo e colleghiamo i conduttori dei cavi con morsetti a cappellotto.

Come pulire un lampadario a gocce, applicazione nuovi portalampada

Come pulire un lampadario 5

  1. riposizioniamo nei tige la parte ornamentale stringendola con un dado.
  2. montiamo i nuovi portalampada che garantiscono maggiore sicurezza, facendo passare i fili al loro interno.
  3. inseriamo i copri-portalampada in stile vintage.
  4. riposizioniamo le ultime gocce con fil di ferro sottile, di quello usato per composizioni floreali.

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Comandi in stile vintage

Come pulire un lampadario 7

Se ci fa piacere ripristinare, attorno al lampadario rinnovato, aspetti del passato che bene si adattano anche ai nostri giorni, possiamo avvalerci dei comandi elettrici stile vintage, che simulano esteticamente i vecchi interruttori pur rispettando le più recenti norme in materia di sicurezza elettrica. Sono prodotti in diverse tipologie e colorazioni e simulano molto bene la vecchia bachelite o la ceramica con cui erano realizzati tali apparecchi agli inizi del secolo scorso. Oltre ad interruttori e deviatori sono disponibili le prese a doppia alveolatura, le prese per TV e per telefono, i pulsanti, ecc. Consigliamo la lettura dell’articolo impianto elettrico a vista per approfondire l’argomento, [/box]

Interviste e parole che vorremmo alla ribalta

Editoriale tratto da “Far da sé n.462 Giugno 2016”

Autore: Nicla de Carolis

È stato visto da tanti telespettatori, me compresa, curiosa e incredula, un recente programma tv che aveva per tema una star del gossip, Fabrizio Corona, diventato, ahimé, un mito da imitare e invidiare per molti, meritevole di una ribalta di ore in cui c’è stato anche chi lo ha compatito e lo ha difeso nonostante il suo stile di vita, la tossicodipendenza e le sue condanne. Senza inutili moralismi, qual è il messaggio, l’informazione, l’arricchimento, il divertimento che possono dare programmi del genere? Mi pare che l’obiettivo possa essere solo avere audience, solleticando le curiosità più meschine dei più impreparati. Certo, la nostra società, in gran parte ricca di meriti, potrebbe migliorare se i modelli proposti, soprattutto in tv, per molti unico mezzo di informazione, fossero più edificanti. Penso con meraviglia e commozione alle interviste di Diderot e d’Alembert fatte agli artigiani per dar voce e valorizzare il loro lavoro; interviste necessarie per compilare correttamente le tavole dedicate alle arti e mestieri della mitica Encyclopédie (XVIII secolo), il manifesto dell’illuminismo e di una cultura che ha portato avanti principi di etica universale, libera e laica. O quelle, ancora prima, fatte da Leopoldo de’ Medici (XVII secolo), figura di spicco della cultura fiorentina, principe illuminato, acceso promotore delle manifatture, dell’agricoltura, del commercio e accademico della Crusca. In questa veste contribuì in maniera importante alla compilazione del vocabolario grazie alle testimonianze riguardo alle molte attività artigianali e tradizionali fiorentine, raccolte sul campo da artigiani e fornitori di palazzo. E così nel magnifico libro “Le parole del mestiere. Testi di artigiani fiorentini della seconda metà del Seicento tra le carte di Leopoldo de’ Medici” (Accademia della Crusca editore, euro 60), ci si può deliziare a leggere termini come lima da sgrossare, lima sottile, martello da far pancetta… o calzatoio, guantaio, marocchino, masello, rastrelliera… o verbi come lustrare, scanalare, smerigliare, inamidare, inchiodare. Solo alcuni esempi di un repertorio ricchissimo che ci danno un’immagine della vivacità anche linguistica del mondo artigianale e del lavoro della Firenze di fine Seicento. Ma senza tornare al ‘600 sono tanti gli artigiani di oggi, dalle cui testimonianze e dagli interessanti saperi si potrebbe trarre esempio, artigiani come Valerio, Jacopo e Cesare che, vicino all’Arco della Pace a Milano, approfittando del ritorno alla grande dell’uso delle bici in città, hanno aperto una piccola officina per la riparazione e la vendita, gentili, bravi nel mestiere e al passo con i tempi, vendono anche su internet e consegnano a domicilio; con nostra somma gioia nel loro laboratorio c’è sempre la coda. O sempre a Milano meriterebbero un’intervista i calzolai dell’insegna Alvisi; risuolano scarpe di marca, inglesi, di alta gamma, calzature con lavorazione “goodyear”, smontandole completamente e facendole tornare come nuove con una maestria frutto di un sapere tramandato da diverse generazioni. Insomma, le parole del lavoro sono quelle alle quali vorremmo venisse data una ribalta, sicuramente coinvolgente e costruttiva.

Demolire, decostruire, riqualificare

Editoriale tratto da “Rifare Casa n.45 Maggio-Giugno 2016”

Autore: Nicla de Carolis

Riqualificazione edilizia: è questa la strategia per risparmiare consumo del suolo ed energia nel nostro Paese, riqualificare è d’obbligo. Tassativo per i palazzi d’epoca che sono tanti e fanno belle le nostre città, come poche altre al mondo, ma tassativo anche per certa pessima edilizia costruita negli ultimi 50 anni. Del resto l’alternativa, per noi impensabile, parlando dei brutti condomini energivori anni 60/70, sarebbe la demolizione, pratica assai diffusa negli Stati Uniti dove oltre 250.000 abitazioni vengono demolite ogni anno: spettacolari i filmati su Youtube che documentano l’implosione di palazzi altissimi che si ripiegano su sé stessi senza danneggiare i caseggiati circostanti. In più negli Stati Uniti c’è il fenomeno dello shrinking cities (le città che si restringono) determinato dalla crisi postindustriale, con la conseguente perdita di migliaia di abitanti; si demoliscono gli isolati in disuso, si convertono gli edifici vuoti in open space per le aziende e si creano spazi per l’agricoltura e l’allevamento. Sempre negli Stati Uniti, generata dal crescente interesse ambientale e incentivata dalle detrazioni fiscali, c’è un’altra tendenza, quella della decostruzione ed è la nuova, o meglio, antica concorrenza all’industria della demolizione. Decostruire una casa significa smantellare pezzo per pezzo, spesso con le mani, ogni parte dell’edificio. Un lavoro che coinvolge decine di operai specializzati per oltre due settimane per ottenere lo stesso risultato che un bulldozer otterrebbe in mezza giornata. In alcuni casi si riesce a recuperare il 98% dei materiali (cemento, metallo, legno) e l’operazione può addirittura diventare conveniente da un punto di vista economico. Ma venendo a noi, anche se troppe volte sarebbe fortissimo il desiderio di vedere implodere palazzi orripilanti, per di più obsoleti da un punto di vista tecnologico, che con arroganza sfidano la gentilezza e l’armonia di costruzioni del passato, sappiamo che questa pratica raramente si concretizza; basti pensare che persino delle 46.760 ordinanze di demolizione e abbattimenti per immobili abusivi (disposte nei Comuni italiani capoluogo di provincia, dal 2000 al 2011) solo 4.956 sono state eseguite, il 10,6%. D’altra parte sembrerebbe, condizionale d’obbligo perché incredibilmente c’è ancora chi non vuol prenderne atto, evidentissimo che non serve costruire nuovi edifici consumando altro suolo; infatti sono 7 milioni in Italia gli immobili inutilizzati, sfitti o abitati da non residenti, sia pubblici sia privati – ultime stime Istat – dato reso ancor più pesante e assurdo se si pensa alle centinaia di migliaia di famiglie senza casa. Seppur non ci sia da parte delle Istituzioni una vera strategia di riqualificazione del patrimonio esistente, di demolizione e ricostruzione per ripensare anche gli spazi urbani, ci sono però delle interessanti detrazioni fiscali sulle ristrutturazioni. Anche questo è un motivo per decidere di riqualificare la propria casa; il dossier di questo numero è dedicato ai lavori da fare nella bella stagione, ma che rendono la casa più godibile tutto l’anno!

Legno, naturalmente re dell’innovativa economia circolare

Editoriale tratto da “Far da sé n.461 Maggio 2016”

Autore: Nicla de Carolis

Negli ultimi 60 anni siamo andati avanti, innegabilmente progredendo, secondo un modello di economia lineare ovvero produzione di un bene, utilizzo e abbandono dello stesso; un modello che potrebbe funzionare solo se le risorse fossero infinite e a basso costo di smaltimento. Ormai è chiaro che questo modo di agire, oltre a essere insostenibile, sta originando un danno rilevante al nostro pianeta che si rifletterà soprattutto sul futuro di chi ci seguirà. Quindi è già un po’ che si auspica un’evoluzione dell’economia da lineare a circolare. L’economia circolare, con i suoi capisaldi di riuso, riciclo, recupero di materia e di energia, quindi abbandono di alcune pratiche incivili tipiche del consumismo selvaggio, oltre a essere un valore aggiunto per l’ambiente, dà nuove opportunità di crescita, di lavoro e possibilità di risparmio per le imprese. Sembra un ritorno al modello deriso della passata vita contadina, non supportato da studi di economisti, ma solo dal buon senso delle persone, esempio perfetto di economia circolare, dove nulla si sprecava e tutto veniva recuperato; modello che, arricchito dalle innovazioni tecnologiche di oggi, porterebbe addirittura a “catturare” e riutizzare il biogas che emettono gli animali … sic, una della prime forme di inquinamento dell’aria, trasformandolo in metano! Il discorso dell’economia circolare ci offre lo spunto per parlare di un materiale amato perché bello, duttile, naturale e alla base della maggior parte dei progetti dei far da sé, ovvero il legno. Pensiamo a un mobile fatto di legno massello, bello o brutto che sia: difficilmente si penserebbe di portarlo alla discarica, come minimo si cercherebbe di smontarlo e di riutilizzare le tavole oppure di modificarlo e decorarlo per adeguarlo alle nuove esigenze e, in ultimissima analisi, si potrebbe bruciare per scaldarsi. Ma la cosa più interessante, emersa in maniera chiara da un video realizzato in Austria, è il convincente esempio di economia circolare legata al legno che genera risultati soprendenti in termini sia economici sia di sostenibilità. Il principio di partenza è quello di oltre 300 anni fa: l’utilizzo a lungo termine delle foreste si può realizzare solo se il volume del legno tagliato non supera quello del legno in accrescimento, quindi tante piante si tagliano e altrettante si piantano. Del tronco, oltre alle tavole dritte, alle parti destinate all’industria del pannelli e della carta o alla produzione di combustibile per riscaldamento, ci sono ancora scarti che vengono utilizzati per produrre energia: cippato, pellet. Nel filmato si dice (e non c’è motivo di non crederci vista la serietà degli Austriaci) che una casa costruita e arredata in legno si può riscaldare con gli scarti prodotti nella fase costruttiva per ben 70 anni, così la casa nell’arco del suo ciclo di vita limita le emissioni di CO2 in quantità pari a quella che emette un’auto in 50 anni! Incredibili anche i rapporti che emergono dall’analisi dei consumi per il riscaldamento di una cittadina austriaca tra utilizzo di combustibili derivati dal legno e prodotti petroliferi, in termini di maggiori posti di lavoro sul territorio (31 contro 4) e di minor spesa (1 milione di euro contro 7). Insomma, una scoperta davvero entusiasmante che, vedendo il filmato, potrete approfondire nei dettagli, un motivo in più per apprezzare e valorizzare il legno, materiale che ha tutti i requisiti per entrare a pieno diritto in un modello di innovativa economia circolare.

Dai campi fiori belli e gustosi

Editoriale tratto da “In giardino n.55 Aprile-Maggio 2016”

Autore: Nicla de Carolis

Utilizzare i petali dei fiori in cucina è una tendenza che sta prendendo piede ed è proposta anche dai cuochi più quotati che vogliono sempre stupire. Ma l’uso dei fiori edibili, ne esistono circa 50 specie differenti, viene da lontano: i Romani decoravano i loro piatti con violette e petali di rosa e insaporivano carni e insalate con un’originale “vinaigrette” preparata con calendula e aceto; l’imperatore Carlo Magno consumava vino aromatizzato al garofano; i Celti mescolavano al vino la borragine per infondere coraggio ai guerrieri. Nel manuale del cuoco romano Apicio una curiosa ricetta: “prendere delle rose e sfogliarle. Togliere il bianco dei petali, gettarlo in un mortaio, bagnarlo con salsa di pesce e manipolare. Poi aggiungere salsa di pesce e colare il sugo. Prendere quattro cervella. Togliere loro i nervi e tritare il pepe. Bagnare con il sugo e manipolare. Poi rompere otto uova; unire vino passito e un po’ di olio. Quindi ungere bene il tegame, metterlo sulla cenere calda e gettarvi sopra il composto suddetto. Quando sia cotto cospargere di pepe in polvere e servire”… divertente, anche se c’è da dubitare che con tutti questi ingredienti, e dopo tutte queste operazioni, si potesse ancora percepire la fragranza e la delicatezza dei petali di rosa. Un fiore particolarmente raffinato, profumato, bello e buono da mangiare candito o, meglio, cristallizzato, è la violetta spontanea di cui una delle principali estimatrici fu Maria Luigia d’Austria, moglie di Napoleone e Granduchessa di Parma (che governò con saggezza, diffondendo la passione per il bello dal 1814 al 1847) che ne amava l’essenza, la forma e il gusto. Da allora questo fiore identifica la duchessa, come identifica la città di Parma stessa. Per la preparazione di questo prelibato e bellissimo dolcetto, che è in sé piuttosto semplice, l’importante è raccogliere nei prati fiori freschi (in primavera, ma per un periodo molto limitato) con petali robusti, preferibilmente nelle prime ore del mattino, ai quali si taglia il gambo a circa un centimetro dal fiore. Le violette candite sono una guarnizione molto ricercata per ogni tipo di torta, dessert e per un regalo esclusivo se messe in una scatoletta. Ma si possono cristallizzare anche i petali di rose, primule, bocche di leone, mammole, pansè, borragini, glicine, malva, lavanda, nasturzi, begonie, gerani, dalie, sambuco, magnolia, trifoglio, lillà, zagare. Tante sono ancora le ricette con fiori buoni da mangiare che troverete da pagina 12 per sbizzarrirvi prima nei campi (e mi raccomando, nei campi, non dal fioraio, potrebbero essere tossici!) a raccoglierli e poi in cucina a creare piatti che appaghino l’occhio e il palato.

Come l’ascensore ha cambiato l’architettura

Editoriale tratto da “Rifare Casa n.44 Marzo-Aprile 2016”

Autore: Nicla de Carolis

Già Vitruvio, padre dell’architettura del I secolo a.C. parla di sistemi per sollevare da un piano all’altro cose e persone realizzati da Archimede di Siracusa. Esempi di rudimentali ascensori sono quelli che esistevano nel Foro romano, coprivano 4 metri di corsa e venivano mossi, ciascuno, da un argano ad asse verticale azionato da quattro uomini. Anche nel Colosseo, per sollevare al piano dell’arena i gladiatori, gli animali e le apparecchiature sceniche per gli spettacoli, erano stati costruiti ben 32 montacarichi. Nel XVIII secolo, alla reggia di Versailles, Luigi XV, per consentire le mosse furtive dell’amante, la Duchessa di Chateauroux, nel suo appartamento fece realizzare una “sedia volante”. Anche in Russia, a San Pietroburgo nel mitico Ermitage, nel XVIII secolo, fu installato uno speciale divano elevatore per due persone che funzionò fino a quando il meccanismo all’improvviso si bloccò e la poltrona rimase sospesa tra i piani con i familiari dell’imperatore Paolo I a bordo. Per farli scendere si dovette ricorrere a una scala appoggiata al balcone e fu così che l’elevatore fu distrutto. Nel corso dei secoli si sono studiati e sviluppati i sistemi più disparati, ma la storia dell’ascensore, modernamente inteso, inizia nell’800 con l’applicazione a esso di motori a vapore o idraulici per poi passare a quelli elettrici. Inizialmente, con lo sviluppo di stabilimenti industriali su più piani, si erano andati diffondendo dei montacarichi che avevano requisiti simili ai moderni elevatori. Ma l’evento più significativo si ebbe nel 1854 quando Elisha Otis, imprenditore americano, brevettò il primo ascensore dotato di un dispositivo automatico di sicurezza, in grado di bloccare la cabina nel caso di rottura della fune di sollevamento. Nel 1857, sempre a New York, fu inaugurato il primo ascensore per trasporto di persone. A metà dell’800, l’improvviso aumento di concentrazione degli abitanti nei grandi agglomerati urbani della costa orientale degli USA determinò un’impennata dei costi dei terreni edificabili e vi fu quindi la necessità di realizzare costruzioni sempre più alte. Tutto ciò rese gli ascensori indispensabili e determinò un cambio radicale dell’architettura cittadina, basti pensare all’affascinante Skyline di Manhattan e alle case basse in mattoni rossi tipiche di certe zone vecchie della città. Senza l’ascensore non potrebbero esistere le città moderne, sarebbero megalopoli in continuo sviluppo orizzontale, con tutto ciò che questo comporterebbe in termini di spostamenti. In Italia i condomini nuovi hanno ovviamente tutti l’ascensore, ma c’è ancora una realtà di belle case d’epoca che ne sono sprovviste e hanno poco spazio per installarlo; da pagina 30 abbiamo analizzato le più innovative soluzioni speciali su misura in grado di soddisfare tutte le esigenze.

Una sana dipendenza

Editoriale tratto da “Far da sé n.460 di Aprile 2016”

Autore: Nicla de Carolis

Caterina II la Grande, imperatrice della Russia dal 1762 al 1796, fu un personaggio controverso; la Zarina aveva notevoli capacità intellettuali e di governo, era aperta nei confronti della cultura, in particolare della neonata illuminista e fece importanti riforme che lasciarono però le condizioni dei più poveri sempre sottoposte alla prepotenza dei nobili e dei ricchi; nonostante ciò dopo 34 anni di regno, alla sua morte, il popolo la pianse. Parallelamente a questa monarchia illuminata i suoi comportamenti nell’ambito familiare furono, a dir poco, disdicevoli; sorvolando sulla schiera di amanti, forse giustificabili visto che il matrimonio non fu consumato per impossibilità da parte del marito, tre dei quali padri dei suoi figli, il primo, il Granduca Paolo, destinato alla successione al trono, concepito con un cortigiano, la Zarina fu la promotrice della congiura per detronizzare, arrestare quindi uccidere il marito, lo Zar Pietro III, uomo peraltro dedito a tutti i vizi e indegno del suo rango, di cui prese il posto per governare. La Zarina era quindi una persona molto intraprendente, ma anche piena di interessi. E qui arriviamo a un lato originale e condivisibile del suo carattere, soprattutto per una donna e di quei tempi. “Costruire dà quasi dipendenza, come l’alcool…” diceva l’imperatrice di Russia. Infatti l’architettura in Russia, dopo la sua ascesa al trono, si sviluppò in maniera importante in numerose città, prima fra tutte San Pietroburgo che durante il regno di Caterina II si trasformò in una moderna capitale. La Zarina volle arricchire e abbellire San Pietroburgo continuando l’opera di Pietro il Grande (questo omone – alto 2 metri – oltre alla passione per edificare aveva quella di lavorare il legno che gli valeva il soprannome di Zar carpentiere… una famiglia davvero amante del fare!) lo Zar che ai primi del 1700 ne fece iniziare i lavori avendo già la visione di una città vera e propria, bella e imponente, nonostante la zona disabitata e paludosa scelta. L’esigenza di ampliare edifici esistenti e costruirne di nuovi fu dettata anche dalla passione di Caterina per l’arte, perché divenne in breve la più grande collezionista del suo tempo. Fu così che prese forma un museo, detto l’Hermitage, oggi il più grande Museo del mondo, con 2 milioni e 800mila opere in mostra. Questo solo per citare l’esempio più importante, frutto della mania del mattone della monarca. La dipendenza per il costruire di Caterina ha prodotto quindi cose che ci lasciano senza fiato, destinate a stupire ancora generazioni e generazioni. E questa dipendenza sembra molto simile a quella del far da sé che non può stare senza realizzare il mobile che serve in casa, senza riparare ciò che non funziona, migliorare e abbellire ciò che lo circonda ed è anche lui vittima della sana dipendenza per il fare.

Come trattare gli arredi e pavimenti esterni in legno

Riprende a pieno ritmo l’utilizzo degli spazi esterni: è il momento di mettere mano agli arredi e ai complementi in legno per giardino

Sebbene gli arredi in legno siano ricoverati in luoghi riparati durante l’inverno, si trovano spesso le superfici ingrigite oppure intaccate da muschi o altri vegetativi, per bene che vada sono ricoperte da un deposito di sporcizia che non è facile rimuovere senza infliggere ulteriori colorazioni all’essenza. Tutto ciò rende estremamente sgradevole il loro utilizzo. Per ovviare per quanto possibile a questi problemi i manufatti di legno vengono trattati al momento della costruzione; in seguito dipende da noi riprendere la manutenzione con cure ricorrenti, la cui frequenza dipendente anche dalla qualità dei prodotti utilizzati. Oltre ai protettivi per legno in senso stretto, esiste una categoria di prodotti studiati appositamente per risanare del tutto le superfici quando queste abbiano già subito l’azione degli agenti atmosferici; per rientrare in questa categoria i prodotti devono possedere qualità elettive per svolgere un’azione specifica: ora detergere il legno senza effetti collaterali, ora eliminare lo strato ingrigito del supporto, ora rimuovere muschio e strati vegetativi, in tutti i casi riportando la superficie alla sua originale colorazione e bellezza.

Per meglio orientarsi in queste attività, consigliamo di leggere le approfondite Guide fai da te Koppa, in particolar modo quelle dedicate a:

All’interno di queste guide fai da te Koppa possiamo trovare, illustrati nei minimi dettagli, tutti i consigli per trattare il legno in esterno come dei veri professionisti. L’indicazione chiara dei prodotti da utilizzare e i video illustrativi rappresentano un forte valore aggiunto per l’utente.

I video, in modo particolare, sono chiari e ben illustrati, li riportiamo di seguito:

Come rinnovare la terrazza in legno con prodotti GORI

Come rinnovare e schiarire la terrazza in legno con prodotti GORI

Come oliare la terrazza in legno con prodotti BONDEX

Come oliare i mobili da giardino in legno

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