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Modelli esemplari

Editoriale tratto da “Fai da te in Giardino n.48 Giugno-Luglio 2014”

Autore: Nicla de Carolis (Direttore Editoriale)

Molti Italiani sono ormai sfiduciati ed amareggiati per lo spettacolo che quotidianamente offre una parte della politica e della società, anche perché solo questi argomenti hanno costantemente l’onore delle cronache. E le dinamiche delle singole vicende fanno concludere che corrotti e malavitosi fanno la bella vita, non devono lottare con tasse, mutui da pagare e difficoltà quotidiane, ma hanno popolarità e avvocati di grido che, grazie anche ai tempi e ai modi della giustizia italiana, consentono loro di non “pagare dazio”. Fatti che potrebbero disorientare e per un attimo far pensare che sia questo il nuovo modello da seguire. A volte sembra che il nostro Paese sia capace di produrre solo scandali, fatti cruenti, malaffare; ma l’etica, la serietà, la professionalità, la voglia di fare bene, esistono ancora, eccome, ma se ne parla troppo poco.

Personalmente sono affascinata da storie semplici come quella del nostro lettore della provincia di Udine, Armando Sabot, che dopo essere andato in pensione ha deciso di farsi un orto e di rimettersi in gioco imparando “come si fa”. Nel servizio da pagina 64 abbiamo pubblicato le foto che ci ha mandato e il racconto di come ha realizzato questo suo orto veramente ben progettato, partendo dall’irrigazione per poi passare, con metodo, a tutto il resto. Il risultato è sorprendente e gratificante anche per noi della redazione di IN GIARDINO.

Sono altrettanto affascinata dalla innovativa scoperta dell’avvocato Carlo Cignozzi, che più di 10 anni fa, a sessant’anni, abbandonata la toga e la sua Milano, ha avuto il coraggio di cambiare vita per seguire il suo sogno: dedicarsi alla terra e in particolare alla viticoltura. E questo già sarebbe una notizia interessante, ma la storia non finisce qui. L’avvocato Cignozzi, appassionato di musica, ha pensato di “irrorare” con la musica di Mozart i vitigni della sua tenuta “Paradiso di Frassina”in Val D’Orcia, in Toscana e spiega perché: “Come nella medicina il suono può contribuire a curare o alleviare le sofferenze di una persona aumentando la sua gioia di vivere, così anche nel mondo vegetale il suono può accrescere vitalità e vigore, in special modo sulla vite, pianta tra le più complesse e misteriose. Crescere la vigna con note musicali significa, in concreto, avere una piantagione più sana e protetta da agenti patogeni, insetti e predatori.” Non è fantasia, è una teoria che ha riscontri oggettivi, studiata da fior fior di università e premiata dalle Nazioni Unite che l’hanno inserita nei 100 progetti più eco-sostenibili del mondo.
Amar Bose, lo scienziato indiano fondatore della famosa azienda Bose di Boston, leader mondiale nel settore dei diffusori acustici, ha offerto a Cignozzi 56 diffusori professionali resistenti alle intemperie che diffondono musica in oltre 2 ettari di vigna.
Sabot e Cignozzi, modelli esemplari di uomini concreti e sereni e di una realtà che ancora esiste, lontana da intrighi e malaffare.

sabot Paradiso di Frassina

Armando Sabot mostra orgoglioso un bel cavolfiore e Carlo Cignozzi con la figlia all’interno dei vigneti inondati di musica classica dai diffusori Bose.

Pavimento in tessuto

Molto utilizzato nei grandi alberghi è, al contrario della moquette, una soluzione all’avanguardia.

Il pavimento in tessuto consiste in una trama vinilica colorata fusa con un supporto costituito da PVC integrato con fibre di vetro. Questo tipo di materiale è disponibile in rotoli larghi 2×25 metri, in piastrelle da 50×50 cm e in altre forme (triangolari, esagonali, rettangolari ecc) che permettono di rivestire i pavimenti ottenendo effetti ottici e cromatici di grande effetto, specialmente alternando la direzione delle trame durante la posa: si possono così ottenere effetti tridimensionali.

Il pavimento in tessuto è un rivestimento che migliora l’isolamento acustico dai rumori di calpestio, resiste bene alle sollecitazioni, comprese quelle delle sedie a rotelle degli uffici (purché siano di gomma); è indicato per spazi soggetti a calpestio continuo, con una garanzia di 10-15 anni a seconda del prodotto. É resistente all’acqua, ma non può ritenersi impermeabile, pertanto non può essere utilizzato nei bagni o in ambienti simili.

Bolon (www.bolon.com). Distribuito in Italia da Liuni (www.liuni.com)

Pavimento in tessuto – Il rivestimento

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Su massetti grezzi occorre stendere uno strato sottile di malta autolivellante, successivamente carteggiata a macchina. La superficie va aspirata e ripulita; poi si divide la stanza in quattro parti tracciando due linee perpendicolari e si inizia a stendere la colla su una di queste. Le piastrelle possono essere posizionate affiancate, sfalsandone la trama, partendo dal centro e procedendo verso il perimetro di un primo settore, per poi passare agli altri. Prima che la colla asciughi, ciascuna fila va rullata.

Pavimento in tessuto – Manutenzione

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La pulizia ordinaria si effettua passando un’aspirapolvere; in base alle dimensioni dell’area, si può poi utilizzare una macchina lavasciuga o uno spazzolone, con acqua calda in cui diluire una dose minima di detergente multiuso (pH 7-8,5) per evitare di dover risciacquare. Se si usa lo spazzolone manuale, occorre ripassare l’aspirapolvere per asciugare.

Pavimento in sughero

Difficilmente si pensa al sughero al momento di realizzare una pavimentazione, forse perché non viene ritenuto “all’altezza” per tale impiego. Il pavimento in sughero ha, invece, una resa estetica e funzionale straordinaria

Le caratteristiche di questo materiale sono perfette per realizzare un pavimento in sughero, in quanto assicura superfici calde e piacevoli da calpestare a piedi scalzi, essendo in grado di deformarsi sotto pressione per riprendere istantaneamente alla forma originale, come la pelle umana, quindi è molto resistente agli urti: una soluzione validissima se in casa ci sono bambini, anche perché è un materiale anallergico, resistente ai batteri e non assorbe la polvere. Può essere utilizzato nei bagni e nelle cucine perché è totalmente impermeabile, può resistere in immersione per anni senza alterazioni; è un ottimo isolante termico e soprattutto acustico.

In commercio lo si trova sotto forma di piastrelle, listoni o lastre da incollare o da posare flottanti anche su pavimenti preesistenti. Per la finitura di un pavimento in sughero possono essere utilizzate vernici, cere o anche prodotti coloranti, se l’aspetto naturale non si addice agli ambienti; oltre a essere un materiale ecologico e naturale, si mantiene con estrema facilità, è sufficiente l’uso di un’aspirapolvere o una pulizia con stracci umidi e detergenti adeguati al tipo di finitura.

L’unico neo è il prezzo, poco superiore a quello di un parquet, sia per il materiale sia per la posa in opera. Haro (www.haro.com)

Pavimento in sughero – Una resa sorprendente

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Pavimento in sughero – La pianta da cui decorticato

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Il sughero si ricava in natura dalla corteccia di un particolare tipo di quercia, definita appunto “da sughero”. La prima decorticazione, su una pianta di 15-20 anni, produce il sughero “maschio”, di scarsa qualità; il sughero “femmina” si ottiene con le successive decorticazioni, da effettuarsi a cicli pressoché decennali per avere spessori sufficienti e di buona qualità. Cicli più ravvicinati di decorticazione producono qualità scadenti.

Portaombrelli fai da te

Sembra un ombrello e accoglie 6 parapioggia con un minimo ingombro – ecco il portambrelli fai da te

Questo capace portaombrelli è costituito da tasche coniche di diversa altezza, ognuna delle quali accoglie un solo ombrello, che quindi si posiziona e si estrae con facilità. La struttura consiste in una base circolare in legno, che sorregge un’asta costituita da un tondino in legno scanalato, a cui sono fissate sei tasche ricavate da fogli di plastica trasparente.

Base e asta
Il materiale di base è il lamellare da 28 mm di spessore da cui ricaviamo un disco Ø 250 mm che tagliamo col seghetto alternativo. Al suo centro pratichiamo un foro del diametro di 28 mm. La parte portante della struttura è costituita da tondino di legno Ø 28 mm, lungo 750 mm. All’atto dell’acquisto facciamo praticare un taglio longitudinale passante largo 3 mm che vada dall’estremità inferiore fino a 80 mm da quella superiore.

I coni di plastica
Il contenitore si realizza con sei fogli di plastica tagliati a triangolo e ripiegati a formare dei coni. La misura dei triangoli deve rapportarsi, naturalmente, all’altezza dell’asta. • I fogli di plastica rigida si trovano nelle cartolerie o presso i centri di bricolage e costano pochi euro al mq.

Inserire i coni
Quando abbiamo tutti i triangoli tagliati di misura (3 grandi e 3 piccoli) li pieghiamo a cono e li graffettiamo con qualche punto per tenerli ben uniti. Il lembo di plastica che sporge longitudinalmente, cioè quello graffettato, va inserito nel taglio longitudinale dell’asta (infilandolo dal basso) e incollato in sede con adesivo di montaggio.

Il bloccaggio
L’asta va, infine, inserita nel foro della base, dopo aver cosparso le parti combacianti con colla vinilica. L’inserimento permette di bloccare la plastica, stringendo l’asta che, a sua volta bloccata nel foro di base con l’aiuto della colla, viene trattenuta saldamente come in una morsa. Sulla parte superiore inseriamo e incolliamo un pomolo di legno (opportunamente forato) Ø 70 mm.

Portaombrelli – Schema illustrativo

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Portaombrelli – La realizzazione

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  1. Per la realizzazione servono: 1 pezzo di legno lamellare spesso 28 mm da cui ricavare un tondo Ø 250 mm. Un tondino di legno Ø 28 mm lungo 750 mm. Fogli di plastica rigida (per realizzare 3 coni ricavati da triangoli da 650×400 mm; 3 coni da 300x240mm); un pomolo di rifinitura.
  2.  Individuato il centro del lamellare tracciamo un cerchio Ø 250 mm. Per tagliare con il seghetto alternativo la base del portaombrelli, assicuriamo il pezzo al banco per mezzo di uno strettoio. Poi rifiliamo il taglio con raspa fine e carta vetro.
  3. Con una comune graffatrice da ufficio cuciamo i lembi dei fogli di plastica triangolari in modo da formare dei coni. Fissiamo i punti in modo da lasciare un margine di circa 10 mm per l’inserimento nella scanalatura.
  4. La flessibilità del legno ci consente di allargare la scanalatura praticata longitudinalmente al tondino per inserire tutti i lembi di plastica all’interno; con adesivo di montaggio rendiamo solidale il tutto.

 

 

Lampada alogena – Panoramica completa

Luminosa, duratura e versatile, la lampada alogena si adatta ad ogni impiego… bisogna però sapere quale tipo usare. Scopriamolo.

La lampada alogena si chiama così perché all’interno dell’ampolla invece di esservi il vuoto o un gas inerte (come nelle normali lampadine a incandescenza) c’è una miscela di gas “alogeni” che hanno la proprietà di proteggere il filamento allungandogli considerevolmente la vita.

L’ampolla, inoltre, non è in semplice vetro, ma è in vetro al quarzo molto resistente anche a lunghissimi periodi di accensione. Alcune di queste lampade alogene sono dotate di un proiettore “dicroico” che crea una luce particolarmente “fredda” e la moltiplica notevolmente.  Le lampade alogene vengono prodotte in due famiglie distinte: quelle che funzionano a bassa tensione (e che quindi abbisognano di un trasformatore) e quelle a normale tensione di rete (220 V) ; alcune sono anche dotate di “virola” (cioè l’attacco a vite) come nelle classiche lampadine a incandescenza. Le prime, a bassa tensione, hanno potenze limitate e sono adatte per illuminare mobili, quadri, vetrine, perché non scaldano. Le seconde, invece, hanno potenze anche rilevanti e sono adatte a ogni tipo di illuminazione ambientale, fari, proiettori, ecc. 

Lampada alogena- Differenti modelli

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  1. Lampada con riflettore dicroico. A bassa tensione (12 V). Potenze da 20 a 45 watt, durata 5000 ore.

  2. Lampada senza riflettore. A bassa tensione (12 V). Potenze 20 e 50 watt. Durata 2000 ore.

  3. Lampada con fascio di luce fredda. A bassa tensione (12 V). Potenze da 50 a 100 watt. Durata 3000 ore.

  4. Faretti di elevata emissione luminosa. A bassa tensione (6 e 12 V). Potenze da 20 a 50 watt. Durata 2000 ore.

  5. Lampada con proiettore. A tensione di rete (220 V). Pot. 20 watt. Durata 5000 ore.

  6. Lampada con riflettore con fusibile incorporato. A tensione di rete (220 V). Potenza da 40 a 100 watt. Durata 2500 ore.

  7. Lampada con proiettore dicroico. A tensione di rete (220 V). Pot.40 e 50 watt. Durata 2000 ore.

  8. Lampada a capsula senza proiettore. A tensione di rete (220 V). Pot.100 e 150 watt. Durata 2000 ore.

  9. Lampade compatte senza proiettore con finitura chiara e smerigliata. A tensione di rete (220 V). Pot. 40-60 watt. Durata 2000 ore.

  10. Lampada lineare per proiettori. A tensione di rete (220 V). Potenza da 60 a 2000 watt. Durata 2000 ore.

  11. Lampade con normale attacco a vite e involucro di sicurezza. A tensione di rete (220 V). Potenze da 40 a 150 watt. Durata 2000 ore.

  12. Faro riflettente. A tensione di rete (220 V). Potenza 60 watt. Durata 2000 ore.

  13. Lampada doppio involucro per proiettori di sicurezza A tensione di rete (220 V). Pot. 500 watt. Durata 2000 ore. Il costo delle lampade alogene è più elevato delle normali lampadine a incandescenza ma la loro durata è tale da renderle comunque molto vantaggiose.

Lampada alogena – Veri e propri punti luce

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Le lampade alogene, disponibili in diverse forme e finiture, sono particolarmente indicate per creare illuminazioni distribuite su molti punti luce, ognuno dei quali può diffondere la luminosità oppure concentrarla in una direzione ben definita grazie alla forma della lampada o al suo inserimento in un opportuno proiettore. Uno degli impieghi più comuni è l’illuminazione da controsoffitto sia con modelli a bassa tensione sia con proiettori a tensione di rete. Alcune sono dotate di sistemi ad incasso da fissare al soffitto, inserendo poi la lampada a pressione o a scatto, oppure avvitandola con una normale “virola” a vite.
Le diverse tipologie consentono di realizzare sistemi che alternano lampade a luce diffusa e faretti a luce concentrata che evidenziano particolari architettonici come quadri, piante, mobili, ecc.

Lampada alogena – I circuti

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Esistono modelli a bassa tensione che devono essere dotati di un trasformatore che riduce la tensione da 220 a 12 volt (o altro valore, a seconda del tipo). Il trasformatore può servire più lampade e va collocato in un punto non in vista.

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I  modelli con attacco a vite sono disponibili con virole E27 (larghe 27 mm) ed E14 (14 mm) per essere avvitati in tutti i portalampade delle normali lampadine a incandescenza (rispetto alle quali sono molto più durature).

Lampada alogena – Situazioni differenti

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Alcune lampade a tensione di rete con attacco a vite sono dotate di un fusibile incorporato e sono disponibili con ampolla trasparente o opalina. 

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Nei proiettori per esterno si utilizzano alogene lineari a tensione di rete che raggiungono potenze di illuminazione molto elevate.

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I faretti (definiti “d’accento”) a bassa tensione (o a 220V) servono per illuminare una parte limitata di spazio per valorizzare un elemento dell’arredamento. 

Tavolino con elettricità

Un tavolino con elettricità, una pratica soluzione che ci consente di avere prese di corrente molto vicine alle apparecchiature grazie a una multipresa incassata nel tavolino.

Il computer c’è, l’hard disk esterno, il router e l’hub pure… non resta che collegare il tutto alla corrente, ma la presa è lontana alcuni metri per cui si forma la solita matassa di cavi.
La soluzione a questo problema c’è: consiste nell’installare una multipresa (la cosiddetta ciabatta) direttamente nella struttura del tavolo, in modo da poter collegare tutti gli utilizzatori con il minimo sviluppo di cavi elettrici.
L’intervento principale consiste nel realizzare la sede per l’installazione della ciabatta: nel caso proposto si è utilizzata la sega a tazza azionata dal trapano, per aprire un foro iniziale nella traversa corta sotto il piano, ed il seghetto alternativo per sagomare ed ampliare l’apertura, in funzione della forma della presa. Per togliere di mezzo anche il cavo di alimentazione della ciabatta si realizza un lungo foro all’interno della gamba più vicina utilizzando una punta per legno di adeguata lunghezza.

Materiali per la costruzione del tavolino con elettricità
Materiali per la costruzione

  • Tavolino di recupero;
  • multipresa componibile e relativo cavo di alimentazione con spina;
  • primer universale;
  • smalto acrilico;
  • viti autofilettanti;
  • rullo per pittura.

Preparazione della sede per la presa
Come inserire una ciabatta elettrica nel tavolino

  1. Utilizzando la ciabatta come dima, tracciamo sul bordo del tavolino una sagoma di riferimento utile per eseguire il taglio che ci consentirà di realizzare la sede in cui incassare la presa multipla.
  2. Pratichiamo un foro in corrispondenza della parte curva della traccia. Per quest’operazione utilizziamo il trapano munito di sega a tazza di diametro opportuno.
  3. Completiamo l’apertura della sede con il seghetto alternativo, asportando per intero la parte interna.
  4. Rifiniamo eventuali imperfezioni e sbavature utilizzando una raspa per legno. Cerchiamo di lisciare i bordi senza allargare eccessivamente la sede.
  5. Realizziamo una scanalatura, in prossimità della zona curvilinea della sede, che permetterà il corretto posizionamento del cavo di alimentazione della presa multipla. Utilizziamo il trapano munito di fresa cilindrica.
  6. Per inserire il cavo di alimentazione della presa multipla all’interno di una gamba del tavolino, dobbiamo praticare un foro longitudinale, utilizzando una punta per legno di  lunghezza adeguata.
  7. L’uscita del cavo si ottiene forando la gamba in diagonale per intercettare il foro effettuato in precedenza. Successivamente occluderemo il foro che rimane a vista.­­­

 

Finitura colorata del tavolino con elettricità
Ricolorare il tavolino restaurato

  1. Stendiamo, su tutte le superfici, il primer universale e lasciamo asciugare per almeno 24 ore.
  2. Occultiamo alla vista il foro esterno (effettuato per intercettare quello interno alla gamba) inserendo, solo per alcuni mm, una spina di legno. A colla vinilica asciutta asportiamo l’eccedenza con la sega.
  3. Rifiniamo la zona in cui abbiamo inserito la spina con uno strato di stucco per legno, utilizzando una spatola.
  4. Coloriamo il tavolino con uno smalto acrilico. Utilizziamo il rullo per una finitura più uniforme.

Assemblaggio della presa
Come assemblare una ciabatta elettrica

  1. Le prese multiple assemblabili presenti in commercio possono essere di varie tipologie: scegliamone una che sia abbastanza sottile e poco ingombrante.
  2. Utilizzando la pinza spellafili, asportiamo un pezzo di guaina dai cavi interni, portando in evidenza i conduttori di rame.
  3. Fissiamo i fili nell’apposita sede e serriamo le viti di bloccaggio.
  4. Smaltiamo il coperchio della ciabatta nello stesso colore con cui abbiamo smaltato il tavolino.

Inserimento cavo alimentazione

  1. Inseriamo, all’interno del foro praticato longitudinalmente nella gamba, una sonda per cavi elettrici.
  2. Colleghiamo alla testa della sonda i tre fili del cavo di alimentazione, inserendoli nell’apposito foro.
  3. Blocchiamo momentaneamente in posizione i fili alla testa della sonda con alcuni giri di nastro isolante.
    cavo-elettrico
    Completamento tavolino con elettricità
  4. Tiriamo la sonda in modo da far penetrare e stendere il cavo di alimentazione lungo il foro interno.
  5. Inseriamo, dall’interno,  la ciabatta nella sede e chiudiamola avvitando le viti di bloccaggio.
  6. Colleghiamo il cavo di alimentazione alla spina tripolare che verra inserita in una presa a muro.
A lavoro ultimato, il tavolino presenta, lungo un bordo, una serie di prese di corrente (sei in questo caso), in cui possiamo inserire le spine di alimentazione di vari apparecchi.
A lavoro ultimato, il tavolino presenta, lungo un bordo, una serie di prese di corrente (sei in questo caso), in cui possiamo inserire le spine di alimentazione di vari apparecchi.

 

Liquore al basilico

Il liquore al basilico è un ottimo digestivo per il dopo pasto… ecco come prepararlo

Liquore al basilico – Le erbe aromatiche si utilizzano in cucina, non solo per insaporire i piatti, ma anche per preparare gustosissimi liquori dal gradevole sapore da sorbire come rimedi naturali per alleviare lievi disturbi digestivi.

Anche con il basilico, notissimo ingrediente base del pesto genovese, si può ottenere un liquore.  Gli ingredienti sono quelli classici di qualsiasi tipo di liquore: zucchero, alcool a 95 gradi, e una bella manciata di foglie di basilico (da 80 a 100).

La semplicità della preparazione del liquore al basilico ci può spingere anche alla coltivazione della pianta: basta un vaso capiente, anche da tenere sul terrazzo. Lo riempiamo di terriccio per vasi e seminiamo il basilico ad aprile, tenendo il vaso in mezza ombra.

Liquore al basilico – la preparazione

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  1. I pochi ingredienti per preparare il liquore al basilico in casa: •1 litro di acqua distillata • 700 g di zucchero • 1 litro di alcool per dolci a 95° • 80 foglie di basilico lavate e ben asciugate.
  2. Mettiamo le foglie di basilico in un recipiente di vetro. Lo colmiamo di acqua distillata calda, ma non bollente e lasciamo le foglie in infusione per un giorno intero.
  3. Ci procuriamo  un vaso di vetro, ben pulito, con chiusura a scatto e guarnizione di gomma. Mettiamo sull’imboccatura del vaso un imbuto con filtro e versiamo l’infuso trattenendo le foglie di basilico.
  4. Aggiungiamo 1 litro di alcool nel vaso di vetro (che deve essere abbastanza capiente da contenere tutti gli ingredienti).
  5. Uniamo all’infuso e all’alcool 700 grammi di zucchero semolato. Chiudiamo ermeticamente lasciando riposare ii preparato in un luogo buio e asciutto per due giorni. Il vaso va agitato ogni tanto.
  6. Trascorsi i due giorni filtriamo il liquore aiutandoci con un apposito filtro di carta (o di tulle) e travasiamo definitivamente il liquido così ottenuto in una bottiglia. Prima di servirlo lasciamo riposare per almeno quattro mesi.

 

Vetro – Tecniche di taglio e lavorazioni

Tagliare, incollare, forare, dipingere… tutto ciò che c’è da sapere sulla lavorazione del vetro

Il taglio del vetro richiede pochi e semplici attrezzi, ma è molto importante la preparazione della zona di lavoro. Abbiamo bisogno di un piano privo di asperità e di avvallamenti che va rivestito da una vecchia coperta o qualsiasi altro materiale che possa garantire un supporto abbastanza morbido e non scivoloso.

Prima di iniziare sgrassiamo per bene la superficie e lubrifichiamo l’attrezzo di taglio con petrolio. Nel caso di vetri stampati si deve operare sempre sulla faccia liscia, appoggiando quella lavorata sul piano. La rotella va tenuta verticale e appoggiata al riscontro di guida, il taglio dev’essere continuo e deciso per incidere in modo uniforme la lastra. Spostandola poi sul bordo del piano e ponendo un listello sotto l’incisione le due parti si separano.

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Cosa serve: Rotella; ventose reggilastra; Punta a lancia; martello; compasso da vetraio; colori specifici; Minitrapano con frese

Forare

lavorare il vetro

Serve una punta a lancia con taglienti in widia montata sul trapano a colonna e fatta ruotare a velocità molto bassa. La punta va lubrificata con qualche goccia di petrolio.

Incollare

incollare il vetro

Esistono colle apposite caratterizzate da un’elevata trasparenza, pronte all’uso o a due componenti da miscelare. Le parti da congiungere vanno prima sgrassate con un solvente.

Dipingere

dipingere sul vetro

I colori si applicano con pennelli morbidi e a punta fine. Esistono anche in gel per decorazioni particolari e alcuni tipi possono essere fissati con il calore, in forno a 200 °C.

Incidere

incisione del vetro

Con un minitrapano provvisto di punte in­­­ widia o diamantate possiamo realizzare incisioni superficiali, seguendo un disegno tracciato in precedenza con una matita vetrografica.

Realizzare un’apertura circolare

tagliare vetro con rotella

  1. Quando dobbiamo realizzare un’apertura circolare in una lastra e il disco interno non serve, conviene tracciare una serie di cerchi concentrici partendo da quello più esterno.
  2. Colleghiamo le incisioni circolari realizzando alcune incisioni radiali . Per tutte queste operazioni appoggiamoci su un supporto morbido e piano.
  3. Spostiamo la lastra fuori dal piano e battiamo delicatamente con il martello iniziando dal centro e spostandoci verso l’anello più esterno. Gli anelli preincisi si frantumano senza interessare la lastra.
  4. Se rimane qualche frammento attaccato ai bordi lo possiamo asportare con una pinza a becchi piatti. Al termine il bordo del disco va rifinito passando una tela abrasiva per eliminare le sbavature.

Ratafià al caffé e vaniglia

Il ratafià è un liquore a base di infusi ed alcol. Lo prepariamo al caffé e vaniglia.

Il ratafià è un liquore tipico della tradizione piemontese ed abruzzese. Solitamente viene prodotto con le amarene, ma proponiamo una variante a base di caffé aromatizzato alla vaniglia. Si serve alla fine dei pasti, preferibilmente ad una temperatura di 8-10°, ma può anche essere consumato a temperatura ambiente.

ingredienti per il ratafià

Per la preparazione del ratafià al caffé servono:

  • 250 g di chicchi di caffè tostati; 
  • una stecca di vaniglia;
  • 1,5 litri d’alcool a 60°;
  • mezzo kg di zucchero.

 

caffe-per-ratafia

  1. Mettiamo il caffè, poco alla volta in un mortaio e lo pestiamo con il pestello fino ad ottenere un trito grossolano. Ripetiamo il passaggio fino ad averlo pestato tutto.

    vaniglia per ratafià

  2. Laviamo ed asciughiamo un grosso vaso con il tappo a chiusura ermetica e vi trasferiamo il caffè. Incidiamo la vaniglia con un coltellino ed apriamo leggermente il baccello in modo che l’aroma possa diffondersi meglio nel liquore.

    ratafia-preparazione

  3. Uniamo la vaniglia al caffè, versiamo l’alcool, chiudiamo il coperchio del barattolo ermeticamente e lasciamo riposare l’infuso per un mese il luogo fresco e buio. Trascorso il tempo di riposo versiamo lo zucchero in una casseruola, uniamo mezzo litro di acqua, portiamo ad ebollizione e cuociamo lo sciroppo per un minuto fino a che lo zucchero si è completamente sciolto.

    filtrare il liquore ratafià

  4. Lasciamo raffreddare lo sciroppo completamente, lo aggiungiamo al liquore, lasciamo riposare il tutto per un altro mese e, al momento opportuno, filtriamo il tutto attraverso un colino a maglie fini. Versiamo in bottiglie da liquore e lo serviamo a temperatura ambiente o possiamo riporlo nel freezer un’oretta prima della degustazione per poterlo consumare fresco.

 

Sistema a pannelli XLAM

Le caratteristiche fisiche e biologiche del legno, associate alle più recenti tecnologie di cui si avvale la prefabbricazione, tracciano la strada da seguire per realizzare edifici rientranti nelle più elevate classi energetiche con costi certi, elevato comfort, ampia possibilità di personalizzazione. Scopriamo il sistema a pannelli Xlam

Il termine XLam nasce prendendo come riferimento la natura dei pannelli, costituiti da tavole di legno massiccio incrociate in modo longitudinale e trasversale. Il legno può essere di abete, larice o pino e l’incollaggio delle tavole incrociate con uno speciale adesivo poliuretanico (senza formaldeide) garantisce un’elevata stabilità dimensionale e ottime proprietà di ripartizione dei carichi. Il peso specifico di 500 kg/mc (contro i 2500 del cemento armato e i 7850 dell’acciaio) ne fa una valida soluzione per ampliamenti e sopraelevazioni.

I pannelli Xlam sono realizzati con legno proveniente da foreste certificate e gestite in modo responsabile e sono composti da almeno tre strati di tavole reciprocamente incollati e incrociati. L’elevata ingegnerizzazione del processo produttivo garantisce montaggi rapidi e di grande precisione, totalmente a secco tramite connessioni meccaniche; il collegamento tra la struttura lignea e le fondazioni di calcestruzzo armato avviene tra piastre speciali e barre filettate d’acciaio o sistemi analoghi.

Gli spessori ridotti garantiscono un forte beneficio in termini di superficie netta fruibile, con un’isolamento termico sei volte superiore a quello dei laterizi pieni e quindici volte superiore rispetto ai conglomerati cementizi. Le dimensioni massime dei pannelli Xlam sono di 13,5×3,5 metri e gli spessori complessivi variano in base al numero di strati: da 57 a 120 mm (3 strati), da 85 a 200 mm (5 strati), da 189 a 252 mm (7 strati) e 297 mm per il tipo a 9 strati. Il numero degli strati è sempre dispari, per controbilanciare i movimenti del legno; con l’aumentare del numero degli strati, aumentano anche la portata e la stabilità del pannello.

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Le pareti vengono già predisposte in azienda con le aperture per porte e finestre previste a progetto e, come avviene per altri sistemi che utilizzano il legno come materiale di base, vengono trasportate in cantiere e movimentate con una gru per procedere all’assemblaggio; il sistema xlam prevede anche la realizzazione di solai e coperture, così da costituire elementi scatolari che si prestano ottimamente alla costruzione di edifici multipiano con elevate qualità antisismiche: al momento l’edificio più alto finora costruito è di 10 piani, ma sono in corso progetti di edifici ancora più alti, utilizzando in modo mirato anche il calcestruzzo nei punti che potrebbero generare flessioni. I pannelli X-Lam possono poi essere completati con qualsiasi finitura interna ed esterna, per cui l’abitazione può apparire esteticamente come frutto di un sistema costruttivo tradizionale.

Anche su ruote…

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