Fino a 60 anni or sono gran parte dei cittadini italiani avevano un orto, anche chi abitava in città aveva un pezzetto di terra da coltivare, assegnato dal Comune, in quartieri che spesso si chiamavano proprio ORTI. Gli Italiani, dalla metà del secolo scorso gradualmente “affrancati” dalla faticosa vita contadina e convertiti a quella urbana-industriale, al posto in fabbrica o dietro una scrivania, sembra che oggi sentano, in maniera prepotente, il bisogno di un riavvicinamento alla terra producendo frutta e verdura in proprio, “sporcandosi le mani”. Un ripensamento forse dettato dalla crisi, dall’aver preso coscienza di quanto possa diventare pesante vivere sempre al chiuso, facendo vita sedentaria, respirando aria inquinata, dalla scoperta o dalla riscoperta di quanto una piccola fatica fisica possa essere piacevole e premiata dal miracolo dei frutti della terra. Atteggiamento diverso nei confronti di attività manuali fa registrare una crescita significativa della popolazione che coltiva appezzamenti di terreno in aree urbane di proprietà del Comune per produrre ortaggi.
Oggi nel mondo occidentale la pratica dell’orto è un fenomeno che si sta diffondendo a maccha d’olio e viene sostenuta con enfasi da urbanisti, psicologi, dietologi etc… Così si parla di orti sociali come una delle vie per “riappropriarsi dei non-luoghi spersonalizzati delle città”, per riqualificare aree dismesse impedendo consumo di suolo e preservare aree verdi interstiziali tra quelle edificate, per lo più incolte e destinate all’abbandono e al degrado. Si parla di orti per “rivitalizzare socialmente le metropoli”, rendendoli luoghi condivisi di socializzazione basata sulla convivialità, sul mangiare insieme, dialogare, riposare, giocare a bocce. Orti per evitare l’isolamento e l’incapacità di comunicare propria dei nostri giorni, per stimolare i sensi grazie al contatto con il ciclo di crescita naturale e la creatività del giardinaggio. E ancora orti come partenza e messaggio per impare a mangiare in maniera corretta, inserendo nell’alimentazione un’abbondante varietà di ortaggi freschi e sani, seguendo l’esempio di Michelle Obama che ne ha realizzato uno biologico dentro i giardini della Casa Bianca.
Concludendo, gli orti sarebbero un elemento essenziale per la salute psico-fisica e per migliorare la qualità della vita.
Riflessioni e conclusioni, queste, fatte da fior fior di studiosi in vari settori, che sono assolutamente condivisibili: il tutto per sostenere la valenza e la bontà di un’antica realtà sociale, l’orto, che una volta era considerata una cosa di buon senso, fonte di sussistenza per le famiglie e solo inconsapevolmente era una delle cose che contribuiva a mantenere l’equilibrio tra uomo e natura.
Orti in auge in tempi di crisi: nella foto l’incredibile campo di grano nei giardini del Foro Romano a Roma durante la 2° guerra mondiale quando, per sopperire alla scarsistà di cibo, ogni lembo di terra in città veniva utilizzato come orto di guerra.
Il suo lavoro consiste nel fare pulizia nella sala Murat del comune di Bari; quando è arrivata sul posto ha visto degli scatoloni di cartone accatastati e della carta di giornale sparsa sul pavimento. Combinazione il camion della spazzatura stava passando proprio in quel momento: ha raccolto tutto e l’ha consegnato ai netturbini e, tutta soddisfatta di aver già fatto un lavoro straordinario, è tornata alle pulizie di routine. Apriti cielo! Cartoni e carta da giornale erano “opere d’arte” di un “artista” dei nostri giorni… La notizia fa sorridere, ma in realtà ne è nato un caso con intervento di assessori e assicuratori (speriamo solo che a qualcuno non sia venuto in mente di prendersela con una donna onesta e meticolosa che ha la sola colpa di essere dotata di comune buon senso). Non intendiamo suscitare le ire funeste di qualche appassionato di arte contemporanea, capace di emozionarsi di fronte a sacchi di iuta variamente strappati o colorati, a rottami di ferro casualmente saldati insieme, a costruzioni che assemblano in modo improbabile materiali diversi, dicendo che, se l’opera d’arte fa pensare alla spazzatura, forse l’artista o il critico che lo pompa dovrebbero porsi delle domande molto serie. Ve la immaginate la donna delle pulizie di Leonardo da Vinci che butta nella spazzatura la Gioconda o quella di Michelangelo che rotola nella scarpata una sua scultura? Ma forse questa posizione dipende dalla frequentazione di tanti seri e concreti far da sé le cui opere sono sempre d’immediata e chiarissima lettura: possono piacere o no, essere lineari o arzigogolate, utili o superflue, ma hanno un senso, un’utilità, un’idea alla base che può essere da tutti capita. Anche i far da sé riciclano: usano cestelli di lavatrice per fare tavolini, scolapasta per fare lampade, bobine di cavi elettrici per fare poltrone, dischi musicali per fare orologi, attaccapanni per fare fruttiere, porte per fare testiere da letto ecc. Chiunque capisce l’oggetto nuovo che ha davanti e l’autore non ha la pretesa che quella sua costruzione sia un’opera d’arte. Se dei cartoni e della carta da giornale accatastati non dicono niente, non comunicano, e devono essere tradotti da un mare di parole altrettanto incomprensibili, allora è bene che tornino a essere utili per lo scopo per cui sono nati oppure che siano buttati nella spazzatura. Senza rimpianti.
Questo sapone fatto in casa sembra un dolcetto pronto per essere gustato… In realtà si tratta di piccole saponette colorate e decorate da usare tutti i giorni o da disporre sul bordo della vasca, magari proprio in un barattolo di vetro rubato dalla cucina!
Per realizzare un sapone fatto in casa senza utilizzare la soda, è sufficiente procurarsi delle scaglie di sapone (anche di recupero da sciogliere) o più semplicemente come abbiamo fatto nelle foto di seguito, munirsi di sapone per colate. Il sapone per colate può essere bianco o trasparente, va sciolto semplicemente a bagno maria e poi colato in uno stampo. Naturalmente possiamo colorarlo o farci delle inclusioni (magari con quello trasparente) per renderlo più ricercato.
Un modo facile e veloce che permette di ottenere un ottimo sapone fatto in casa è quello di utilizzare sapone puro alla glicerina, disponibile in commercio in confezioni più o meno grandi, che, a differenza delle saponette già pronte acquistabili nei supermercati, è molto morbido (ricorda la consistenza del burro) e si estrae facilmente dalla confezione. Lo sciogliamo a bagno maria fino a quando non è completamente liquido.
Amalgamiamo alcune gocce di colorante e mescoliamo fino ad ottenere la colorazione desiderata.
Con l’aiuto del cucchiaino riempiamo gli stampi di sapone liquido. Facciamo indurire per una decina di minuti.
Estraiamo le piccole saponette dagli stampi premendo lievemente sul fondo fino a che non entra un po’ d’aria che ne consente il completo distacco.
Decoriamo i dolcetti-saponi con piccole guarnizioni di zucchero. Per attaccarle alla saponetta utilizziamo una goccia di sapone ancora liquido. Il nostro sapone fatto in casa fa bella mostra di sé in contenitori di vetro trasperenti. Possiamo anche regalare le mini saponette ai nostri amici rifinendo le confezioni con nastrini e stoffe colorate.
Montare una mensola non è un lavoro difficile, ma occorre farlo con precisione.
Ci sono vari tipi di supporti a scomparsa per il montaggio dei ripiani a giorno che assicurano un risultato estetico migliore rispetto ai sostegni visibili; inoltre, lo spazio da lasciare in altezza tra un ripiano e l’altro si riduce e anche la posa di ripiani sfalsati in larghezza è facilitata, permettendo un miglior sfruttamento della parete. In base allo spessore della parete possiamo utilizzare coppie di tasselli mensola o supporti metallici in cui sono ricavate le due protuberanze che penetrano nel ripiano. Il diametro dei tasselli va scelto in base al peso che dovranno sostenere e che determina lo sbalzo e lo spessore del ripiano.
Come montare una mensola – è utile sapere che…
Le mensole per l’installazione a scomparsa esistono di diversi spessori e profondità: se i tasselli non sono compresi nella confezione bisogna tener conto di queste misure e osservare il diametro dei fori sul retro per scegliere quelle giuste, vendute a coppie.
L’installazione
Ripiani spessi 4-5 cm possono adottare supporti con una piastra provvista di due sporgenze, da fissare al muro con tasselli a espansione di diametro contenuto: ideali per murature di spessore ridotto.
Sfiliamo il supporto metallico dal ripiano e appoggiamolo a parete per marcare, con una matita grassa, i punti esatti in cui effettuare i fori. La livella a bolla ci aiuta nell’allineamento.
Praticando i fori nella parete, è bene che il trapano disponga dell’accessorio per l’aspirazione delle polveri. Il foro dev’essere un paio di millimetri più profondo della lunghezza del tassello.
Solitamente nella confezione sono presenti anche i tasselli di nylon. Le alette laterali ne bloccano la rotazione durante l’avvitatura e il collare fa rimanere il tassello a filo, impedendogli di penetrare nella muratura.
Inserito anche l’ultimo tassello, appoggiamo il supporto e iniziamo a fissarlo con un paio di viti, una in alto da un lato e una in basso dall’altro, senza tirare a fondo: abbiamo così le mani libere per inserire le altre.
Il ripiano va semplicemente inserito sui supporti e spinto a parete: lo spessore del supporto scompare all’interno di un incavo sul dorso del ripiano. Per stabilizzarlo, si inseriscono due viti da sotto che premono sui supporti.
I tasselli a scomparsa
I tasselli a scomparsa sono di acciaio zincato e confezionati a coppie: si tratta di un tassello a espansione maggiorato che forma corpo unico con una barra, a sezione esagonale, la quale deve inserirsi in sedi calibrate ricavate nel profilo posteriore del ripiano. Il profilo esagonale permette la totale espansione della barra, facendola ruotare con una chiave a forchetta, fino a quando il collare tra le parti interna ed esterna della barra stessa rimane a filo muro. Si possono fissare ripiani profondi da 9 a 23 cm e spessi da 2,5 cm in su.
Prepariamo delle saponette fai da te senza soda, colorate e profumate da regalare ai nostri amici
Per realizzare saponette fai da te si possono utilizzare due tecniche: la tecnica a freddo, nella quale gli ingredienti vengono lavorati senza essere scaldati, e la tecnica a caldo, nella quale gli ingredienti vengono sciolti a bagnomaria.
Scelta delle essenze in base ai tipi di pelle
Pelle normale
Bergamotto, Camomilla, Lavanda, Rosa
Pelle secca
Arancio, Gelsomino, Geranio, Mirra, Sandalo, Ylang-Ylang
Pelle grassa
Cipresso, Limone, Menta, Mirto, Patchouli
Pelle matura
Carota, Rosa
Pelle impura
Achillea, Cedro, Camomilla blu, Galbano, Rosa
Saponette fai da te con la tecnica a freddo
Prepariamo dentro un catino un impasto con 250 g di scaglie di sapone, 1 cucchiaino di essenza di lavanda, 3 cucchiaini di olio di mandorle, 1-2 cucchiaini di colore alimentare e 5 cucchiai di acqua calda. Impastiamo fino ad ottenere un composto di colore omogeneo.Mettiamo l’impasto tra due fogli di plastica trasparente (in alternativa anche la carta forno va bene) e stendiamo l’impasto con l’aiuto di un mattarello fino ad ottenere un composto dell’altezza di 1-2 centimetri. Con gli stampi per biscotti ricaviamo le saponette dalle forme più svariate o tagliamo l’impasto a rettangoli.
Le saponette fai da te vanno riposte su un vassoio e lasciate asciugare per 24 ore.
Saponette fai da te con la tecnica a caldo
Versiamo 100 g di scaglie di sapone alla glicerina in un recipiente di vetro a bagnomaria su fuoco basso e rimestiamo fino allo scioglimento. Aggiungiamo mezzo cucchiaino di colorante alimentare diluito con un cucchiaio di acqua e qualche goccia di olio essenziale ed eventualmente fiori secchi. Togliamo il recipiente dal fuoco e versiamo il composto direttamente in uno stampo ben pulito e unto con un po’ di olio essenziale. Lasciamo riposare la forma di sapone per circa 24 ore. Estraiamola e tagliamo tante saponette fai da te. Prima di utilizzarle dovremo attendere che si siano ben solidificate lasciandole tre settimane circa in scatole di latta.
Antiaderente facile da girare e pulito. Abbiamo fatto due fori nella parte inferiore per poter spremere facilmente lo stampo in silicone dalla scatola di legno. Non disturbarti per la rimozione.
Con prodotti di legno di alta qualità, silicone di qualità alimentare. Non tossico e sicuro senza rischi.
Anti-polvere e nocivi. Abbiamo fornito un coperchio di legno per coprire il vostro sapone per essere contaminato da parassiti e polvere quando il sapone è congelato. Sapone fai da te mostrerà la vostra forma più bella.
Vieni con 2 pezzi quarto round-foglia di trifoglio stampi in silicone e porta sapone in legno. È possibile effettuare due più piccoli sapone carina fai da te e mettere sul supporto per l'uso quotidiano.
Può essere lo strumento più interessante e pratico o giocattolo. Si può fare questo con i vostri figli per formare la capacità del bambino di praticare e di pensiero. Anche è possibile trascorrere del tempo significativo con la vostra famiglia durante il fine settimana.
Uova di Pasqua decorate con una tecnica semplice e divertente per creare in pochi minuti uova marmorizzate dalle tonalità accese e brillanti o uova giocose decorate con i fumetti per i più piccoli
Diamo il via ai lavoretti di Pasqua! Per queste uova di Pasqua decorate utilizziamo i colori Marabu Easy Marble che sono adatti per marmorizzare plastica, polistirolo, carta, legno, metallo, cartapesta ecc…
Per cominciare riempiamo d’acqua un contenitore, ad esempio un vasetto grande dello yogurt.
Con l’apposito contagocce facciamo cadere sulla superficie dell’acqua alcune gocce di colore di due/tre tonalità diverse (ne sono disponibili addirittura 20) e mescoliamo velocemente con uno stecchino.
Infilziamo l’oggetto da decorare su uno stuzzicadenti e immergiamolo completamente nell’acqua, procedendo con lentezza e gradualità; estraiamolo quindi molto rapidamente e lasciamolo asciugare.
Prima di immergere altri oggetti, rimuoviamo con un foglio di carta la pellicola di colore rimasta sull’acqua. Con questa tecnica possiamo decorare uova pasquali, palline di Natale, candele, biglietti di auguri…
Uova di Pasqua decorate con découpage
Un’altra idea che vi suggeriamo per decorare le uova di Pasqua in compagnia dei vostri bambini, è quella del découpage. In questo caso abbiamo utilizzato dei ritagli di carta presi da pagine di fumetti (tipo quelle del Topolino).
Possiamo utilizzare uova vere svutotate, o più semplicemente quelle di polistirolo o legno che possiamo acquistare già pronte per la decorazione nei centri bricolage e nei supermercati nel periodo pasquale. Ritagliamo le vignette ed incolliamole sulle uova. Per incollarle utilizziamo una soluzione di acqua e colla vinilica (3 parti di colla vinilica e 1 parte di acqua). Una volta asciutto rifiniamo il lavoro con un paio di mani di vernice da découpage che rende la decorazione lucida e impermeabilizza la superficie.
Uova di Pasqua con i bottoni
Infine vi suggeriamo un’idea facile e veloce per le vostre uova di Pasqua decorate. Incolliamo dei bottoni colorati sulla superficie. Dotiamo le uova di cordino per appenderle.
Ecco altre utili guide passo-passo per realizzare lavoretti di pasqua:
I sistemi ad energia eolica di piccola taglia, detti minieolici, si adattano all’ambito residenziale per trasformare l’energia cinetica del vento in energia elettrica, attraverso generatori: una tecnologia che fino a oggi è rimasta “all’ombra” del fotovoltaico, ma in determinate zone del territorio potrebbe essere addirittura più conveniente
Le turbine eoliche (o aerogeneratori) che forniscono energia eolica, derivano sostanzialmente dai mulini a vento: il gruppo generatore è posto alla sommità di un palo che più si trova in alto e più è esposto alle correnti d’aria. Nella fascia destinata all’installazione residenziale rientrano impianti eolici fino a 20 kW di potenza e con altezze inferiori a 30 metri (niente paura, ne bastano molti di meno); il costo di un impianto minieolico varia, in media, tra 3.500 e 5.000 euro per ogni kW di potenza installata, tenendo presente che è più oneroso un impianto da 4-5 kW rispetto ad uno superiore a 10 kW.
Non necessariamente il palo di supporto dev’essere innalzato da terra, anche un tetto ben esposto può ospitare un generatore eolico. Entro i 20 kW non è neppure necessaria la VIA (Valutazione di Impatto Ambientale), anche se occorre accertarsene presso il proprio Comune. Ma, mentre il sole splende più o meno su tutti e con una discreta frequenza, il vento non è altrettanto democratico e costante, per cui si tratta di una scelta non sempre attuabile: bisogna che il punto d’installazione sia esposto a venti con velocità tra 5 e 20 m/sec (15-60 km/h), considerando le velocità intermedie come quelle ottimali per il miglior rendimento.
Oltre velocità di 13-14 m/sec, infatti, un impianto di piccola taglia non produce una quantità di energia superiore, in quanto viene “frenato” dai sistemi di sicurezza che proteggono il rotore da eccessive sollecitazioni, arrivando anche a fermarlo temporaneamente in caso di venti molto intensi.
Si tratta di una tecnologia affidabile, pulita, che assicura una produzione di energia già con venti deboli e un recupero dell’investimento in pochi anni, se i sopralluoghi e le verifiche preliminari soddisfano i requisiti.
Detrazioni e incentivi energia eolica
Le detrazioni riferite alla riqualificazione energetica valgono anche per gli impianti eolici: 50% della spesa, incluse le prestazioni, da detrarre dall’Irpef in 10 anni fino al 30 giugno, data oltre la quale la percentuale di spesa detraibile si abbasserà al 36%.
Per gli impianti di energia eolica tra 1 e 20 kW di potenza, ovvero la fascia che interessa il residenziale, il Gse ha stabilito una tariffa incentivante di 0,291 €/kWh per 20 anni, contro i 0,30 €/kWh per 15 anni in vigore con il precedente decreto. I costi di gestione dei piccoli impianti (1-3 kW) non renderebbero appetibile l’installazione, che diventa interessante per impianti superiori a 10 kW, con possibilità di ritorni economici del 10-12% annuo.
Le aree rosse e arancio sono le più battute dai venti.
Il fatto che l’Italia sia una penisola farebbe pensare ad un territorio facilmente esposto ai venti, ma le mappe eoliche sembrano attestare il contrario. Tuttavia, queste mappe hanno un valore puramente indicativo, in quanto nel dettaglio di una stessa zona possono coesistere zone a ventosità molto diversa, per altitudine o per ostacoli paesaggistici alle correnti d’aria: l’unico modo per avere dati concreti riguardanti il sito in cui si ha idea di installare generatori eolici rimane quello di affidarsi ad una perizia anemometrica o, se ci si trova abbastanza vicini ad una stazione meteo, farsi dare indicazioni in base ai valori in loro possesso. Accedendo al sito AtlaEolico si può trovare una mappa simile a questa, dove è possibile attivare uno zoom ed avere informazioni più attendibili.
Le diverse tipologie di generatori e di installazione
Ad asse orizzontale
Le pale (solitamente tre) sono unite a un mozzo collegato ad un albero che trasmette il movimento al generatore elettrico. In alcuni casi è presente un moltiplicatore che ha il compito di far girare più velocemente il generatore rispetto alle pale.
Questi elementi sono racchiusi in un contenitore, detto navicella, montato su un perno che permette all’insieme di ruotare per seguire la direzione del vento, operazione facilitata da un’aletta verticale posta in coda (timone) che fa muovere la navicella in direzione del vento. In caso di vento troppo forte un sistema di sicurezza disattiva il generatore.
Ad asse verticale
Consiste in una struttura molto più longilinea, prende il vento da qualsiasi direzione soffi ed è più semplice anche a livello costruttivo, con meno parti mobili. La minore invasività, non soltanto in larghezza, ma anche in altezza (possono bastare strutture alte 6 metri) li rende preferibili per installazioni in zone abitative, anche se per il momento hanno un costo superiore rispetto a quelli ad asse orizzontale e risultano meno efficienti; quest’ultimo aspetto è compensato dal fatto che, con la loro struttura, possono tollerare anche venti forti, perciò funzionare anche quando quelli ad asse orizzontale verrebbero disattivati dal sistema di sicurezza. Inoltre, anche la rumorosità di funzionamento è inferiore agli impianti ad asse orizzontale, praticamente irrilevante.
Energia eolica: impianti “stand alone” o “grid connect”
Nel primo caso si tratta di impianti “a isola”: l’energia prodotta dal generatore eolico viene immagazzinata in batterie di accumulo. Un sistema di regolazione provvede a mantenere in carica le batterie e a regolarne la tensione in base al carico scelto dall’utente, mentre un inverter a rapporto fisso può alimentare i carichi domestici.
Nel secondo, l’energia viene immessa direttamente in rete e conteggiata tramite un contatore, in accordo con il Gse come avviene per il fotovoltaico (scambio sul posto). Esiste un’opzione ibrida che utilizza entrambi i sistemi, anche affiancati ad altri (solare, fotovoltaico ecc), con circuiti di scambio.
Energia eolica dal mulino a vento ad oggi
Già intorno al 3000 a.C., in Persia (Iran), i mulini a vento venivano utilizzati per azionare le macine e, in seguito, anche per prelevare acqua dai pozzi: l’energia eolica veniva trasformata in energia meccanica.
Oggi si punta ad utilizzare l’azione del vento per produrre energia elettrica in modo assolutamente ecologico, ma non dimentichiamo che l’energia eolica ha accompagnato la storia dell’uomo gonfiando le vele delle imbarcazioni che hanno portato alla scoperta di nuovi mondi, nonché di prodotti alimentari, e non, che utilizziamo ogni giorno.
Una valida alternativa alla realizzazione del cappotto viene dal moderno intonaco termoisolante fibrorinforzato, a basso peso specifico, traspirante e resistente al fuoco.
L’intonaco termoisolante è caratterizzato da eccellenti doti di coibentazione che gli vengono attribuite da una ridotta conducibilità termica. Questa proprietà è data dalla particolare formulazione che prevede l’aggiunta al legante (che può essere a base calce o base cemento) di elementi quali sughero, argilla e, all’uso, polveri diatomeiche e vetro espanso. Così composto, l’intonaco termoisolante acquisisce anche altre qualità, come l’elevata riduzione della trasmissione dei rumori, la scarsa e in qualche caso nulla reazione al fuoco, e ancora la traspirabilità, l’ecosostenibilità e l’imputrescenza. Essendo applicabile indifferentemente all’interno e all’esterno delle costruzioni, l’intonaco termoisolante si pone come possibile alternativa all’applicazione di un cappotto convenzionale con pannelli isolanti.
Quest’ultimo, tuttavia, mantiene il primato per quel che riguarda il potere isolante, anche perché per l’intonaco termico non si consiglia di superare i 6 cm di spessore, qualcosa di più applicando una rete di sostegno. In tutti i casi, il termointonaco è più semplice e veloce nella stesura; si presta maggiormente all’applicazione negli edifici storici e di pregio; aderisce integralmente alle strutture sottostanti; non è attaccabile dalle muffe e non ne consente la formazione sulle sottostrutture; ha un’elevata resistenza al fuoco; è solido e resistente; permette di correggere eventuali irregolarità delle pareti, adeguando anche inclinazioni non volute in senso verticale o orizzontale, frequenti negli edifici storici.
L’applicazione dell’intonaco termico può essere fatta contemporaneamente all’esterno e all’interno dell’abitazione, per incrementare ulteriormente il beneficio ottenibile. La traspirabilità, inoltre, lo indica come soluzione ideale nel caso di costruzioni con problemi di umidità, anche di notevole portata.
Gli strati da sovrapporre alla struttura muraria iniziano con il primer aggrappante (1), seguono l’intonaco termoisolante (2), il rasante (3), la finitura (4).
La formulazione
Argilla: inerte naturale poroso, leggero, traspirante, con buona inerzia termica.
Polvere diatomeica: elevato grado di porosità, 85% del suo volume.
L’applicazione
Il lavoro compiuto nasconde perfettamente lo spessore del materiale aggiuntivo. Nel contorno degli infissi è possibile attenuare leggermente gli spessori andando a sormontare il telaio quanto basta, senza avvicinarsi eccessivamente alla battuta delle ante apribili, cosa che risulterebbe antiestetica.
I sacchi di termointonaco sono miscelati all’acqua all’interno dell’intonacatrice, la macchina che viene utilizzata per distribuire il prodotto sulla parete. Si inizia dal basso, seguendo ripetuti percorsi orizzontali da una fascia all’altra.
La parificazione della superficie avviene usando la staggia, tenuta in modo che appoggi sulle fasce laterali e tirata verso l’alto facendola ondeggiare lateralmente per favorire la distribuzione uniforme dell’intonaco e la rimozione di quello in esubero.
Il rasante si applica per uniformare la superficie, sia per quel che riguarda la granulosità, sia per il riempimento di eventuali avvallamenti e imperfezioni, onde ottenere una parete liscia e piana. Il rasante si applica, si tira e poi si liscia con una grossa manara.
Se la finitura scelta è in pasta, la stesura va fatta con manara. Lo strato deve essere molto uniforme, ma solitamente non è un problema osservare questa regola, dovendo limitare lo spessore a pochi millimetri. La superficie si uniforma con movimenti rotatori della manara tenuta perfettamente in piano, con mano leggera.
“Le devastazioni del nostro paesaggio sono l’opera di una perversa alleanza tra forze diverse dell’imprenditoria, della finanza, della politica e delle mafie. Ma ne sono responsabili anche architetti, ingegneri e urbanisti.” Questo il grido di allarme, molto condivisibile, del professor Salvatore Settis, archeologo e storico dell’arte, nella sua lectio magistralis dal titolo “L’etica dell’architetto e il restauro del paesaggio”.
A Milano, nelle zone Fiera e Garibaldi, per esempio, è sotto gli occhi di tutti la cementificazione in atto, di cui non si capisce l’utilità pratica ed estetica. Sfigurata da discutibili grattacieli e condomini finiti o da ultimare, per la maggior parte spettralmente vuoti, sembra una città oltraggiata dall’arroganza di chi non è in grado di apprezzare l’armonia dell’architettura del passato.
Il professor Settis prosegue tirando in ballo l’etica, che dovrebbe essere il filo conduttore di qualsiasi professione e, in maniera particolare, per gli architetti, che possono incidere così pesantemente sull’estetica del territorio e sulla salute delle persone. Settis dice, infatti, che, come per la professione medica era nato già nel 400 a.C. il giuramento di Ippocrate, anche per gli architetti dovrebbe esserci un giuramento che riporti all’etica contenuta nel trattato “De architectura” di Vitruvio (architetto del primo secolo a.C.). Perfette per un codice etico di oggi le sue parole: “La scienza dell’architetto richiede l’apporto di molte discipline e di conoscenze relative a svariati campi. Egli dev’essere in grado di giudicare i prodotti di ogni altra arte. La sua competenza nasce da due componenti: quella pratica, che è la costruzione, e quella teorica… Solo chi padroneggia sia la pratica sia la teoria è dotato di tutte le armi necessarie e può conseguire pieno successo…”. Si parla poi di “rispetto per la storia e per i contesti” e di “attenzione per la salute”.
Con l’esperienza e le innovazioni di oggi l’architettura dovrebbe essere solo di prim’ordine e nessuno, se il codice etico di chi progetta fosse quello di Vitruvio, avrebbe costruito abitazioni a un passo dalle discariche in Campania o, come a Milano, sopra un gigantesco deposito illegale di scorie cancerogene. Per fortuna inizia a farsi strada una corrente di architetti “obiettori dal consumo di nuovo suolo”, che da mesi sta ricercando una strada collettiva per dissuadere i committenti di nuove villette indirizzandoli verso il recupero dell’esistente.
A proposito di recupero dell’esistente, su questo numero lo speciale è dedicato proprio alla riqualificazione energetica delle abitazioni, un intervento di cui moltissimi edifici avrebbero bisogno. I vantaggi sono indubbi: dal piacere di vivere in una casa ben isolata dal caldo e dal freddo, un vero nido, a quello di aver contribuito al miglioramento delle case già esistenti, al merito di aver dato una spinta all’economia rimettendo in moto l’edilizia senza costruire.
Un moderno sistema cappotto con rivestimento in pietra per una ristrutturazione “rispettosa del contesto”.
Il rapporto del Censis (l’istituto di ricerca socio-economica nato nel 1964, oggi fondazione) sulla situazione sociale del Paese relativo al 2013 ha stupito molto perché, oltre alle percentuali strettamente legate alle abitudini che riguardano la vita materiale, ha fatto considerazioni che investono il benessere, o meglio il malessere, psicologico di noi Italiani. Infatti ci ha definiti “una società sciapa e infelice in cerca di connettività”. Bisogna purtroppo ammettere che questa diagnosi spietata corrisponde alla realtà e che questa infelicità e incapacità di connettersi con il prossimo è determinata dal nostro essere “una società caratterizzata da individualismo, egoismo particolaristico, resistenza a mettere insieme esistenze e obiettivi, gusto per la contrapposizione emotiva, scarsa immedesimazione nell’interesse collettivo e nelle istituzioni”. Oltre al desiderio di superare questa fase (“la crisi antropologica prodotta da queste propensioni sembra aver raggiunto il suo apice ed è destinata a un progressivo superamento” prosegue il Censis), ci sono già tante eccezioni, isole in cui la situazione non è così, perché regole e valori sono diversi. La bella foto a fianco con alcuni ragazzi di San Patrignano, la comunità che accoglie gratuitamente persone con problemi di tossicodipendenza ed emarginazione, ne è un esempio che ci rincuora e dovrebbe farci riflettere. Anche i giovani di San Patrignano hanno dovuto e voluto voltar pagina, dopo un periodo critico della loro vita, e lo hanno fatto integrandosi in una collettività con regole di vita di civile convivenza, nel rispetto di se stessi, degli altri e dell’ambiente di lavoro, imparando ad apprezzare le piccole grandi cose, a gioire dei successi e a rialzarsi dopo gli errori, a condividere e a confrontarsi con gli altri. è una realtà davvero sorprendente dalla quale emerge come un progetto portato avanti con amore e determinazione, sostenuto dalla generosità di persone illuminate, possa cambiare la vita di tanti individui. Da pagina 8 pubblichiamo un servizio dedicato alla falegnameria di San Patrignano dove si realizzano mobili anche recuperando il legno delle barrique, le botti per l’invecchiamento del vino. Ma i lavori che si insegnano sono davvero tantissimi: si fanno i formaggi e i salumi, si alleva il bestiame, si modella il cuoio, si lavora il ferro, si tesse, si cucina, ecc… www.sanpatrignano.org/it/formazione. Tanti laboratori dove i ragazzi ospiti, apprendendo un mestiere, imparano il gusto per le cose belle, ritrovano se stessi attraverso il confronto e il dialogo continuo con i loro compagni, restituiscono senso alle giornate e possono coltivare aspirazioni e speranze. Un esempio encomiabile e forse una ricetta che potrebbe guarire anche una società sciapa, infelice e in cerca di connettività come la nostra.