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La politica che vorremmo

Torniamo alla concretezza del saper fare con le proprie mani

Quest’anno Almanacco Far da Sé arriva nelle case degli abbonati e nelle edicole nei giorni in cui si svolgono le elezioni politiche (o poco prima o poco dopo). Avremo ascoltato fiumi di parole, mari di promesse, oceani di recriminazioni e scaricabarile. Ma siamo pronti a scommettere che in questo assordante teatrino nessuno avrà avuto il coraggio di dire poche parole chiare per impegnarsi per una scuola seria, anche faticosa, in cui i giovani imparino a diventare cittadini autentici con un vero mestiere tra le mani.

“Chi ha un livello di istruzione più alto ha più consapevolezza della realtà che lo circonda e può confrontarsi meglio con gli altri… Studiare a lungo, specie all’interno di percorsi scolastici di qualità, è il modo più efficace per trovare lavoro… Un aumento del livello educativo della popolazione fa salire la competitività del Paese… Ogni anno di istruzione in più equivale a un aumento della retribuzione futura di circa il 9 per cento, è uno dei migliori investimenti che si possono fare… Pensiamo sia importante puntare sulle materie scientifiche e tecnologiche, su cui l’Italia evidenzia un ritardo rispetto agli altri Paesi”. Abbiamo ripreso alcune frasi di un’intervista a John Elkann, presidente della Fiat e vicepresidente della Fondazione Agnelli, rilasciata a Panorama, per dire che queste idee devono diventare sempre più condivise, che su questi concetti si imposta il rinnovamento del nostro Paese.

Non sappiamo quale classe politica si sceglieranno gli Italiani in questa tornata elettorale, ma ci auguriamo che ci sia qualche “onorevole” capace di porre al centro della sua azione il grande “onore” che sta in due mani che lavorano, che progettano, che costruiscono, che riparano, fino a comprendere che questo onore si insegna nella scuola a cominciare dall’asilo. Basta davvero con l’esaltazione delle chiacchiere, del virtuale, dell’apparire: torniamo alla concretezza del saper fare con le proprie mani, puntiamo ad una formazione integrale dei nostri giovani per renderli più attrezzati ad affrontare il mondo del lavoro.

Meglio far da sé

Fare per il piacere di creare, piuttosto che acquistare o dipendere dagli altri

Quando nel nostro vocabolario viene a mancare la parola che possa definire con esattezza qualche cosa, prima o poi si conia un neologismo, le cui fortune sono più legate alla necessità di definire una nuova abitudine che alla proprietà della parola o dell’insieme di parole adottato per la circostanza.

La nuova abitudine, o meglio, il principio che sta esplodendo in Italia è il così detto far da sé.

E’ in ritardo di qualche decina d’anni rispetto al bricolage francese, che letteralmente significa raccogliere ed utilizzare anche le briciole, oppure il do-it-yourself, ossia il fatelo voi stessi degli anglosassoni. Ma forse il termine più felice rimane quello tedesco, il selbst, che significa semplicemente “ da sè ”, sottintendendo il verbo fare.

La faccenda delle denominazioni nuove, dei neologismi, è spesso delicata, per evitare espressioni brutte o volgari, o semplicemente antipatiche ed impositive. Questo problema tocca adesso agli uomini che amano far da sé. Bisogna definire ufficialmente questa attività. Qui in redazione la faccenda del neologismo è stata dibattuta per circa un anno. E dopo un anno di discussioni la risposta definitiva è: far da sé. Il far da sé è semplicemente un principio, una regola, ma non un principio astratto: fare per il piacere di creare, piuttosto che semplicemente acquistare o dipendere dagli altri. Il far da sé significa attrezzarsi per essere sempre più autosufficienti, riscoprire le nostre abilità di progettisti e di realizzatori.

Valorizzare il nostro impegno. Essere liberi, indipendenti, creare cose a misura d’uomo, a nostra misura, a nostro piacere, a nostro gusto e preferenza. Non dipendere dalla moda o dai gusti degli altri, che sono quasi sempre gusti interessati di chi desidera sfruttare i nostri entusiasmi.

Ma bisogna crederci. E noi nel far da sé ci crediamo, al punto di farne la nostra bandiera, la nostra testata. Guardiamoci un attimo indietro: la prima rivista per il far da sé è nata in Italia nel lontano 1926 o giù di lì. Si chiamava Sistema I, giornale degli Ingegnosi. Poi, nel dopoguerra, fu la volta di Sistema A.

Due riviste che non tutti ricordano, perché furono spazzate via dall’ondata del consumismo, che imponeva di vergognarsi di far da sé. Ma dopo l’onda, viene la risacca, E il consumismo si ridimensiona. Viva il far da sé.

(agosto 1976)

Recuperare la manualità, intervista a Oliviero Toscani

Intervista a Oliviero Toscani

“Solo chi usa le mani, solo chi lavora, ha mani belle”

Oliviero Toscani, il celebre fotografo, non vive sugli allori. Anche se le sue opere sono esposte nei più grandi musei del mondo, rimane fedele allo spirito artigianale che lo anima. Vive in Toscana dove produce vino, olio d´oliva e alleva cavalli. La sua attenzione ai temi del lavoro manuale è nota. Nonostante i mille impegni ha ritagliato uno spazio anche per noi, che lo sentiamo vicino negli intenti e nella moderna visione del mondo del lavoro.

Perché un grande fotografo si interessa al problema della manualità perduta?
Ho fatto il fotografo, come mio padre e, come lui, ho cominciato a lavorare a dieci-dodici anni. Allora il lavoro dell’artigiano rappresentava il massimo della libertà. Oggi è cambiato tutto, la manualità sta andando perduta, tutti vogliono lavorare in cravatta davanti a un computer e l’artigianato, vanto e spina dorsale dell’Italia, sta scomparendo.

Ci sono soluzioni?
Dobbiamo ricominciare a usare le mani, solamente così la creatività potrà esprimersi al suo meglio. Dobbiamo insegnare ai nostri figli la manualità. E’ il migliore investimento che possiamo fare e il miglior antidoto contro l’omologazione del computer, quella che sviluppa il polpastrello dell’indice e lascia spesso inerte, insieme con le mani, anche il cervello.

Ma il suo lavoro è più di natura artistica
Non c’è differenza tra l’artista e l’artigiano. Ambedue trattano la materia e la trasformano. L’artista è un’estensione dell’artigiano perché la base del lavoro manuale è indispensabile per tutti gli artisti, è la sorgente della creazione delle forme e dei colori.

Perché è tanto affascinato dal lavoro manuale?
Ho un rispetto infinito per chi sa costruire con le mani. Mi piacciono le mani capaci di chi è abituato a toccare le cose, le unghie sporche di terra del contadino, le mani callose del muratore, le dita abili della sarta, quelle odorose di tempera e di acquaragia del pittore e dell’imbianchino, le mani muscolose dello scultore, quelle del fornaio, quelle del cuoco, quelle del violinista. Chiunque ha consuetudine con le cose materiali ha mani espressive, di una bellezza che non ha niente a che vedere con le cure dell’estetista. Le mani che, al contrario, denunciano volutamente il loro non uso, mi allontanano: le mani delle donne che si fanno crescere le unghie per far capire che non lavano i piatti, le mani degli impiegati che esibiscono l’unghia del mignolo lunghissima e appuntita, quelle ricoperte da troppi anelli. Le mani parlano della volgarità delle persone in modo inequivocabile. Solo chi usa le mani, solo chi lavora, ha mani belle. Il lavoro manuale dà anche una gioia sensuale che è difficile ritrovare nelle tecniche attuali e le mani raccontano la soddisfazione di chi sa creare usandole.

Perché il lavoro manuale è stato così dimenticato?
Sembra incredibile che il lavoro manuale sia stato così screditato negli anni recenti. E’ un altro sintomo del degrado di una società che si affida alla multimedialità e virtualità come fossero i marchi riconoscibili della modernità. Il degrado ha spostato l’attenzione dall’aspetto educativo dell’imparare a usare le mani allo sfruttamento e, lentamente ma inesorabilmente, si è proceduto a minare l’immagine del lavoro manuale, a screditarlo, perfino di fronte al più insulso e degradante lavoro d’ufficio.

Il  progetto “Manualità un gioco da ragazzi” si occupa di riportare nelle scuole il lavoro manuale, cosa ne pensa?
Ne penso bene. La modernità e il progresso oggi si misurano in tv, dove si canta e si balla, non certo in un campo o nella bottega di un artigiano. Ci vorrebbe addirittura un’università del lavoro manuale che gli ridia quella dignità che, non si sa come, sembra aver perduto. Ci vorrebbero operai, falegnami e meccanici, fornai e barbieri che insegnassero l’abilità manuale in corsi appositi, ci vorrebbero maestri che insegnino a usare le mani ai bambini dell’asilo.

Isolamento con termointonaco

L’alternativa al cappotto costituito da lastre isolanti consiste in un’intonacatura con prodotti speciali. Questa soluzione è valida se l’abitazione si trova in una zona dove gli inverni sono piuttosto miti, ma il caldo estivo si fa sentire, o qualora si renda consigliabile migliorare un grado di isolamento esistente, ma non ottimale.

I termointonaci sono intonaci premiscelati ben diversi da quelli tradizionali: sono rinforzati con fibre che assicurano al manufatto finale un’elevata stabilità meccanica ed una resistenza agli urti che nessun rivestimento a lastre può garantire. Le fibre consentono altresì l’applicazione di spessori più consistenti, eventualmente inserendo reti portaintonaco per una stabilità maggiore.

Trattandosi di un rivestimento compatto e non formato dalla composizione di lastre, è esclusa la possibilità di piccole imperfezioni; inoltre, se le pareti non sono perfettamente a piombo o presentano irregolarità, possono essere livellate senza interventi preliminari, mentre la posa delle lastre richiede una superficie di partenza planare.
Per finire, il termointonaco permette una traspirazione migliore rispetto alle lastre.

La bassa conduttività termica di queste malte premiscelate è conferita dai prodotti di base che le compongono, come sughero, perlite, perle di polistirene, argilla, silice, che presentano appunto questa caratteristica. Come sempre, è importante la valutazione del supporto e la scelta della malta più idonea al caso specifico: lo stesso prodotto, su diversi supporti, può dare risultati completamente diversi in termini di riduzione della trasmittanza termica.

Diversi i termointonaci tra cui scegliere:

Isomalto knaufIsolmanto è una particolare miscela di calce idraulica, con aggiunta di perle di polistirolo espanso, ed additivi che favoriscono la ritenzione di acqua, l’aderenza, la plasticità e l’impermeabilità delle superfici.
Knauf

Bio-Termointonaco_pack

A base di pura calce naturale, poroso, altamente traspirante, antibatterico e fungicida.
Il composto premiscelato contiene pozzolana, sabbietta silicea lavata di diversa granulosità e calcare dolomitico.
Kerakoll

Sacco-EvolutionDiathonite® è un composto fibrorinforzato a base di sughero e argilla, materiali assolutamente naturali. In particolare il sughero è atossico, inalterabile, impermeabile, traspirante, resistente, inerte dal punto di vista termico; l’argilla dà consistenza all’impasto ed essendo inerte e porosa ha un ottimo coefficiente termico.
Diasen

Sacchi_Termointonaci

Entrambi i prodotti sono composti da vetro espanso riciclato. Quello a base cemento è idoneo sia per nuove costruzioni sia per ristrutturazioni; l’altro, a base di calce idraulica naturale, è ideale nel recupero di edifici storici. Laterlite

VOLCALITEVolcalite è a base di calce idraulica naturale (B Fluid X/A), perlite e silice espansa, si applica esclusivamente a macchina per poi livellarla in parete tramite una staggia; se lo spessore necessario supera i 3-4 cm vanno applicati più strati di prodotto attendendo l’asciugatura tra uno strato e l’altro. Dopo maturazione l’intonaco va rifinito con un prodotto rasante e successiva finitura minerale o con pittura traspirante.
HD System

Il futuro nei mestieri artigianali che creano il bello e il buono

Una corriente di pensiero che rivaluta i lavori manuali e artigianali

Inizia a farsi sentire con una certa vivacità la corrente di pensiero che rivaluta i lavori manuali e artigianali come possibile contrasto e superamento della globalizzazione e della crisi ad essa collegata. Soprattutto noi Italiani, che non possiamo competere con la quantità a prezzi stracciati (… ma chi se ne importa…) dovremmo prendere coscienza del buon gusto che abbiamo innato grazie ad una tradizione di bello millenaria e della nostra capacità di fare in tutti settori dell’artigianato.

L’eccellenza italiana spazia dall’artigianato orafo all’alta sartoria, alla pelletteria, alla lavorazione del vetro e del legno, senza parlare della produzione alimentare con vini, formaggi e tutto l’immaginabile di quanto c’è di buono sulla migliore delle tavole. Quindi si fa strada la teoria secondo cui i giovani dovrebbero essere indirizzati verso questi mestieri presentandoli loro come attività che in tutte le loro declinazioni hanno come obiettivo la ricerca della bellezza, dell’esclusivo, dell’accattivante.

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Ci fa piacere non essere più soli nel sostenere la rivalutazione della manualità dopo decenni di denigrazioni ed esclusioni totali dai programmi scolastici dell’obbligo (esclusione ancora in atto). Mi sembrerebbe giusto aprire l’orizzonte ai ragazzi anche su altre possibili forme di studi e preparazioni che prevedano la teoria, ma anche una parte pratica che possa diventare subito un lavoro di cui c’è richiesta; teniamo conto che le imprese artigiane, di cui è costituito per la quasi totalità il tessuto della nostra economia nazionale, faticano a trovare ragazzi disposti a imparare un mestiere e che i disoccupati “titolati” sono tantissimi. Imparare a fare buon vino, a realizzare mobili su misura con legno vero fatti per durare o bei gioielli sono mestieri creativi, ad alta professionalizzazione, portatori di eccellenze per il “made in Italy” .

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Come abbiamo già avuto modo di dire su queste pagine, nel 2011 la nostra casa editrice ha iniziato a lavorare al progetto “MANUALITÀ UN GIOCO DA RAGAZZI”, un’iniziativa per insegnare e far scoprire ai più piccoli il piacere di fare qualcosa con le proprie mani. Coinvolgendo animatori volontari, nostri lettori, genitori e nonni siamo riusciti a creare ben 20 laboratori in cui un migliaio di bambini possono imparare a conoscere i materiali e gli utensili, a realizzare oggetti ed esprimere la loro creatività. La loro partecipazione e il loro entusiasmo sono andati ben oltre le nostre più rosee previsioni e ci gratificano per aver portato un piccolo contributo ad un progetto che potrebbe essere molto importante per il futuro del nostro Paese.

Ma che ne sanno del fai da te

Per noi di EDIBRICO, che consideriamo il fai da te un vero stile di vita, è una tortura sentirlo utilizzare per definire solo qualcosa di negativo

  •  “Maroni: “No alle ronde fai-da-te. Non voglio più tollerare che chiunque si svegli alla mattina fa una ronda personale la sera”
  •  “Terrorismo, l’allarme dei servizi in Italia, rischio jihadisti “fai da te”. L’Italia è a rischio jihadisti “fai da te”… “lone terrorist” (terroristi solitari), soggetti che si autopromuovono alla guerra santa (jihad)…”
  •  “Cattolicesimo fai da te che ha trasformato i preti moderni in assistenti sociali e svilito la carità in vuota filantropia”
  •  “Evitare sempre il fai da te. Resistete alla tentazione di investire in Borsa con il fai da te, in caso servitevi di intermediari professionali”
  •  “Stupri, Fini: no alla giustizia fai da te. Il presidente della Camera condanna i raid razzisti e la castrazione chimica”

 Sono solo alcuni titoli e sommari di giornali diversi che rappresentano quanto la locuzione “fai da te” sia oggi di moda proprio come l’orribile “assolutamente sì …assolutamente no”.

Sembra proprio che persone colte e preparate come dovrebbero essere i politici, i giornalisti, gli opinionisti non riescano a fare lo sforzo di trovare nel nostro vastissimo vocabolario i termini appropriati per definire ciò che è fatto da dilettanti, senza competenza e senza organizzazione, senza l’autorevolezza necessaria. Tutto è iniziato con il tormentone della pubblicità di un’agenzia di viaggi “…ahiaihiahi, turista fai da te? no Alpitour?”dove si vedeva uno sfigato che, non avendo scelto il viaggio organizzato, si trovava a piedi al bordo di una strada. E fin qui la cosa era accettabile, ma ora l’uso che si sta facendo di questa locuzione è veramente fuori luogo.

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Per noi di EDIBRICO, che consideriamo il fai da te un vero stile di vita, è una tortura sentirlo utilizzare per definire solo qualcosa di negativo.

“fai da te: il fare da sé lavori di manutenzione, di riparazione, di produzione di oggetti di uso domestico, senza ricorrere ad operai o tecnici specializzati”. Questa è la definizione che ne dà il vocabolario. Aggiungerei che è una salutare attività per mente e corpo, una via per staccarsi dal branco, per non essere passivi, per liberare e far crescere la creatività e la capacità manuale. Di negativo mi sembra che non ci sia proprio niente, c’è semmai qualcosa di concreto e sano che, in quanto tale, forse, non può essere capito e preso in considerazione da chi vive di parole e,a volte, di apparenze e superficialità.

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Consumatore sarà lei…

Chi ama il fai da te è sicuramente più immune dal consumismo becero

Considero la parola consumatore un vero insulto, una parola che ci identifica esclusivamente come soggetti in grado di consumare beni economici. In sostanza dei tubi digerenti da riempire, degli ingranaggi che devono girare per far andare la macchina economica, la produzione.

E sempre, quando nel corso di dibattiti, la sento pronunciare da politici di destra o di sinistra, da giornalisti, da professori, da sindacalisti, mi domando perché anche la loro sensibilità non sia offesa e non si rifiutino di utilizzarla.

Sono quindi rimasta piacevolmente sorpresa leggendo le parole di Luca Zaia, ministro delle politiche agricole: “Faccio una battaglia no-global, contro le multinazionali, perché non possiamo allevare consumatori invece di cittadini. La nostra società sta dando un esempio deleterio non solo ai giovani, ma anche agli immigrati. Dobbiamo tornare a conoscere l’educazione civica, a rispettare le regole, a puntare sulla formazione, ai valori della terra….”.

Penso che sia proprio arrivato il momento di metterci in discussione e rifiutare a voce alta l’idea che solo il consumismo possa essere la panacea dei nostri giorni: una droga che riempie il vuoto di valori. Non possiamo accettare di essere masse omogeneizzate, senza idee, senza aspirazioni, ma con la mano sempre sul portafoglio, pronte a subire passivamente la creazione di nuovi falsi bisogni che ci vengono dal mercato.

Chi ama il fai da te è sicuramente più immune dal consumismo becero, perché tra il desiderare un bene ed acquistarlo c’é una mediazione culturale, un’analisi, propria della forma mentis del bricoleur. C’è la voglia e la capacità di recuperare e dare nuova vita agli oggetti con la manualità e la creatività di cui erano capaci le generazioni che ci hanno preceduto.

E, se anche questa crisi economica potrà significare meno benessere materiale, speriamo che ci aiuti a riscoprire gratificazioni più profonde: la voglia di apprendere e di fare, il sentirsi realizzati e bravi per un lavoro svolto quotidianamente con serietà e piacere e mille altre cose che di sicuro non ci identificano come consumatori, ma come individui vivaci e pensanti.

Pensiero Far da se: sognare aiuta a fare

Dobbiamo essere capaci di vedere nelle cose o nelle avversità quella luce che ancora permette di sognare

“A me pare semplicemente di sognare. Questo voglio dire a tutti, non solo a chi ha perso qualcosa, non solo a chi cerca ancora qualcosa: sognate, sognate sempre, la vita vi seguirà”.
Magiche parole pronunciate da Alex Zanardi (celebre pilota di Formula Uno che perse le gambe in un terribile schianto) in un’intervista, dopo aver conquistato la medaglia d’oro con la sua “hand-bike” alle Paraolimpiadi. E gli fa eco Annalisa Minetti, non vedente (già finalista al concorso Miss Italia e vincitrice del festival di Sanremo), dopo aver stabilito il record mondiale nei 1500 metri: “Ho dimostrato che tutto è possibile, che con l’impegno e la determinazione la vita può essere meravigliosa nonostante tutto”.
Ma quante altre persone potremmo citare, più o meno famose, che affrontano le difficoltà con questa grinta e prendono, letteralmente, la propria vita per mano costringendola a seguirli dove essi vogliono? Specularmente: quante altre persone potremmo citare, più o meno famose, che invece si arrendono alle prime difficoltà e si fanno “metter sotto”? L’economia, la società, la politica, la religione, il mondo delle cose e quello dei valori vivono un momento difficile in cui, per noi piccoli come per i grandi della terra, può prevalere la rassegnazione. Ma dove sarebbero i vari Zanardi, Minetti, Pistorius, Vergeer, Wright, Dias ecc se avessero consentito a questo sentimento di averla vinta? In una carrozzella, nel buio di una stanza, su un letto…
E invece mostrano al mondo, e soprattutto ai giovani, il loro volto sorridente e capace di guardare oltre l’ostacolo. Perché sognare non è illudersi!
Di solito guardiamo al nostro piccolo mondo di far da sé per sottolineare quanto entusiasmo e quanta determinazione ci siano nel gesto di un nostro lettore che prende quattro assi abbandonate e le trasforma in una culla per il nipotino, che trova un motore gettato in discarica e ci costruisce intorno un tosaerba perfettamente funzionante, che ricicla le bottiglie di plastica per farne meravigliosi mazzi di fiori. Questa volta abbiamo guardato ad altri modelli, ma la sostanza è sempre la stessa: dobbiamo essere capaci di vedere nelle cose o nelle avversità quella luce che ancora permette di sognare.

Moderni soffioni per doccia

MODULI COMPONIBILI
Il modulo doccia di partenza misura 12×12 cm e può essere installato a soffitto come doccia o a muro come getto laterale; è utilizzabile da solo o con più moduli, fino a sei, composti in una griglia. Nelle stesse dimensioni il sistema Axor Starck Shower
propone modulo con manopola/rubinetto, con termostatico e deviatore, con appoggio calamitato per doccetta, a mensola (anche doppia 24×24 cm), con luce e con altoparlante.
 
SOFFIONI PER DOCCIA A SOSPENSIONE
Il soffione a struttura ellittica o cilindrica è sostenuto da cavi sottili d’acciaio inox e quasi impercettibili; il collegamento idrico, a parete o a soffitto, avviene tramite un tubo flessibile. Questa soluzione contemporanea si presenta elegante e leggera ed adotta un soffione ultrasottile del diametro di 300 mm, spesso solo 4 mm, con sistema anticalcare e chiusura anti-sgocciolamento.
 
 
 
CILINDRO CON LUCE
Il soffione d’acciaio Lumière ha un diametro di 300 mm, si installa a soffitto ed il rivestimento di materiale plastico  semitrasparente (h300 mm), disponibile con decori o a righe, incorpora una fonte d’illuminazione a bassa tensione. Con funzione Easy Clean per eliminare il calcare.
 
CON NEBULIZZATORE
Dream-Flat Neb è un soffione da 570×470 mm per installazione in controsoffitto che oltre al getto a pioggia offre anche il piacere di un getto nebulizzato; un dispositivo di scarico incorporato al centro del diffusore riduce al minimo il ristagno d’acqua nel soffione.
 
 
 
CLASSICO MODERNO
Liberty Line è una gamma di rubinetteria che sintetizza tradizione e tecnologia: il soffione Arc è di ottone con braccio curvo orientabile in orizzontale di 180° ha un diametro di 210 mm e dispone del sistema Easy Clean per l’eliminazione del calcare. Finitura cromata, ottone antico, oro o nichel spazzolato.
 
DOCCIA CON GETTI LATERALI
Si può abbinare al piacere di una pioggia verticale anche una serie di getti d’acqua laterali, ampi ed avvolgenti.
I Body Jets hanno grandi dimensioni e si può scegliere tra la versione Cubic Flat, di forma quadra con il lato di 100 mm, o Tondo Flat con il diametro di 100 mm. Gli erogatori sono studiati per offrire prestazioni di alto livello pur limitando il consumo d’acqua.

Griglia appenditutto per la cucina country

Per avere a portata di mano ciò di cui necessitiamo nella nostra cucina country

Questa mensola inusuale non è appoggiata, ma appesa al soffitto per mezzo di quattro catenelle; inoltre non è formata da un piano continuo, ma da un certo numero di barre in legno tondo, a cui possiamo appendere ogni sorta di oggetti con ganci in acciaio in vendita nei negozi di casalinghi o di ferramenta.
Per costruire questa mensola in aggiunta ad una cucina country è sufficiente un trapano montato su colonna ed una sega a pettine per tagliare i travetti portanti e le barre tonde.
I materiali possono essere acquistati già piallati alla sezione desiderata nei centri bricolage.
Tracciamo lungo i due travetti l’asse longitudinale e su questo segniamo i centri dei fori, distanti 150 mm uno dall’altro; i fori, ricavati col trapano e con mecchia regolabile, devono essere ciechi, profondi 20 mm.
Sulle estremità dei travetti, per mezzo di quattro spine, applichiamo dei pomi in legno tornito.

FORI CIECHI

  1. Per praticare i fori ciechi con la punta a mecchia regolata al diametro di 40 mm, occorre montare il trapano sulla colonna e tenere i pezzi ben fermi con uno strettoio.
  2. Prima di inserire nei fori le barre di legno tondo, stendiamo un sottile strato di colla vinilica ad ogni estremità; dopo avere inserito il pezzo eliminiamo la colla eccedente con uno straccio. Procediamo con una mano di colore all’acqua per legno bianco, in modo da dare quel sapore di cucina country al nostro arredo.

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