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Il nostro Paese ha bisogno di gente che “faccia”

Ha suscitato un vespaio di polemiche la frase del viceministro al Lavoro Michel Martone che, in un convegno sull’apprendistato, ha dato degli “sfigati” ai giovani che tardano a laurearsi. L’appellativo, forse troppo colorito, ha fatto sì che in molti gridassero allo scandalo e si sentissero offesi, quando invece più utile sarebbe stato discutere seriamente sul perché molti, troppi giovani vivacchiano anni e anni all’università concludendo poco e nulla, forti della protezione colpevole dei genitori a cui piace sentirsi utili garantendo loro sopravvivenza (e dipendenza).

Martone in una successiva intervista a Lilli Gruber ha affermato, tra le altre cose degne di nota: “Preferisco un ragazzo che a 16 anni fa un istituto professionale o, piuttosto, appunto, ha un contratto di apprendistato, che sceglie magari un lavoro manuale e comincia a fare. Il nostro Paese ha un disperato bisogno di gente che “faccia”. E invece, purtroppo, ci sono due milioni di ragazzi che non studiano, non si formano e non lavorano”.

Tutti siamo consapevoli della crisi che attraversa in questi anni il nostro mondo globalizzato e in particolare l’Europa, sappiamo quanti sono i giovani che non riescono ad entrare nel mondo del lavoro, conosciamo la loro delusione quando scoprono che la tanto decantata flessibilità altro non è che precarietà. Ma in quanti accettano di prendere in mano un martello o un pennello per mettersi ad imparare, nella bottega di un falegname o nell’impresa artigianale di un imbianchino, un mestiere? O in quanti pensano invece che basti inondare di curriculum graficamente perfetti ogni realtà produttiva nell’illusione che i “posti di lavoro” nascano magicamente tutte le mattine?

Gianfranco Ravasi, in un articolo apparso su “L’Espresso”, si chiede perché l’opera dell’idraulico, del calzolaio, della badante, del cameriere, nobile come quella richiesta da impieghi più intellettuali che costa però fatica e sudore, venga “automaticamente esclusa dal proprio orizzonte come indegna”.

I giovani che si laureano a trent’anni sono degli sfigati? Forse no, certo dimostrano scarso spirito di iniziativa ed una testardaggine degna di miglior causa: perché ostinarsi ad inseguire una laurea come se fosse un sicuro lasciapassare verso una professione in camicia e cravatta, invece di “sporcarsi le mani” in un lavoro manuale, in un’attività artigianale o commerciale, in un’idea ingegnosa e creativa?

Queste sono le domande che si fanno i far da sé, da sempre abituati a considerare il loro hobby non solo un sano passatempo per scaricare lo stress del lavoro vero, ma anche un intelligente modo di risparmiare e di ottenere utili risultati per sé, per la propria famiglia e per la comunità in
cui vivono.

Sudore e successo…

 Sudore e successo… in quale ordine?

“Non dimenticate mai che la parola successo viene prima di sudore solo nel vocabolario. Nella vita l’ordine è sempre inverso”: con queste parole Andrea Ceccherini, presidente dell’Osservatorio giovani editori ha catturato l’immediato interesse dei quasi 300 giovani delle scuole superiori lombarde riuniti per un incontro promosso, insieme a Intesa Sanpaolo, sui temi del lavoro.

“In Italia si esce dal liceo e dall’università con modeste capacità lavorative. Qui si è sempre sottovalutato il lavoro manuale e si è sempre preferito il posto dietro una scrivania”, spiega Renato Pagliaro, presidente di Mediobanca. E conclude con alcuni inviti decisamente controcorrente ai ragazzi: fare meno vacanze, fare più lavoro manuale, non considerare nulla per dovuto, essere disponibili a lavorare anche nel fine settimana, non avere paura del futuro e fare figli (perché il Paese è vecchio).

Bisognava davvero toccare il fondo, con il mondo messo in crisi dall’economia virtuale e con il nostro Paese anello debole della catena europea, per risentire qualche frase di comune buon senso?

Dov’erano coloro che oggi “predicano” quando facevano tendenza le tre i (inglese, informatica, impresa) che, pur essendo molto importanti nel mondo contemporaneo, non bastano a garantire una formazione integrale della personalità?

Dov’erano, prima ancora, quando dai programmi scolastici venivano cancellate le applicazioni tecniche per far posto a teoriche lezioni sulla struttura dell’atomo o sulla composizione chimica del latte? Dov’erano quando ci veniva propinata la teoria della crescita illimitata e della fede
(uso volutamente questa parola) su internet da cui tutto ci sarebbe venuto gratuitamente?

Ora riscopriamo che “la vita è battaglia e nulla è dovuto” (ancora Andrea Ceccherini). Verrebbe da dire “alla buon’ora!”, ma, forti dei decenni che abbiamo alle spalle in cui con costanza e coerenza abbiamo detto queste semplicissime verità, che oggi fanno tanto scalpore e sembrano addirittura dirompenti, continueremo a fare il nostro lavoro. Continueremo a divulgare tecnologia e saper fare dalle pagine delle nostre riviste e dei nostri libri, ad insegnare come usare le mani per realizzare oggetti concreti, ad educare nuove ed operose generazioni di far da sé pronti a condividere il proprio know-how con la società in cui vivono, a diffondere questo patrimonio di conoscenze ai più giovani (con il nuovissimo progetto “Manualità un gioco da ragazzi”, che coinvolge più di mille ragazzi!) affinché crescano meno imbranati e più capaci di far fronte a situazioni problematiche e difficoltà di ogni genere con inventiva e creatività.

Le citazioni sono tratte da un bell’articolo di Leonard Berberi su “IL CORRIERE DELLA SERA”

Avremo anche noi … un presidente in pittura?

Bello vedere l’uomo più potente del mondo lanciare un messaggio così forte

Sono di oggi 20 gennaio 2013, data in cui chiudiamo questo numero di fai da te, le foto qui a fianco dove si vede il presidente degli Stati Uniti Barack Obama con Michelle, gentile consorte, in abbigliamento casual, con guanti in lattice, barattolo di smalto e pennello che rinnova una libreria. In queste
ore, che precedono l’insediamento e il giuramento per il suo secondo mandato, il presidente ha partecipato alla giornata del volontariato, il “National day of service”, da lui istituita nel 2009, presentandosi con vernici e pennelli in una scuola, per partecipare ai lavori di restauro.
Notizia speciale e confortante per noi di EDIBRICO che portiamo avanti il progetto senza scopo di lucro Manualità, un gioco da ragazzi per diffondere la manualità tra i più giovani, proponendola come un gioco ed una scoperta, ma anche con l’obiettivo di dare una visione più ampia circa le possibili future scelte lavorative e lo facciamo grazie all’aiuto di sponsor, ma soprattutto a quello di volontari, genitori, insegnanti, nonni, parenti ed esperti. E, proprio come negli Stati Uniti, tra le altre cose, insegniamo ai bambini ad imbiancare, decorare e rispettare la scuola (vedi Colora e ama la tua scuola su www.manualitaragazzi.it), ma senza che nessun politico si occupi di questo tema. Al contrario, l’atteggiamento della politica italiana, negli anni, ha contribuito a creare una mentalità per la quale le attività manuali sono qualcosa da cui affrancarsi, prova ne è l’eliminazione dalle materie di insegnamento delle applicazioni tecniche.
Questo nonostante le eccellenze del nostro Paese, dalla moda, al cibo, alle auto, solo per fare qualche esempio, ciò che ci fa unici ed apprezzati nel mondo, siano tutte frutto di sapienti ed antichi lavori artigianali e manuali.
Vedere l’uomo più potente del mondo che, in prima persona, con tanta disinvoltura e convinzione, lancia un messaggio così forte per sostenere l’importanza della manualità e del volontariato, l’amore e il rispetto per ciò che è pubblico, mette in evidenza la differenza con chi governa noi Italiani.
Non riesco ad immaginare uno dei nostri presidenti di turno nei panni di Obama, perché mi sembra troppo evidente in loro la supponenza rispetto al tema, la mancanza di flessibilità e l’incapacità di dare il buon esempio partendo proprio da piccole-grandi cose.
Ma sarebbe bello se qualcosa cambiasse…

Il nostro patrimonio di bellezza, creatività e saper fare

 A Firenze un itinerario che porta a conoscere le “arti applicate”

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A Firenze, città nota a tutti per i musei, le piazze, gli edifici rappresentativi delle “arti maggiori”, c’è anche un itinerario altrettanto affascinante che porta a scoprire le “arti applicate”, cioè l’artigianato artistico. Infatti, in pieno centro, hanno sede più di cento botteghe e ateliers di moda e accessori che ancora oggi producono con sistemi artigianali (www.florenceartfashion.com). Dalle scarpe, ai vestiti, ai profumi, ai gioielli tutto viene realizzato con originalità e particolare cura tecnico-esecutiva, ovvero, elena.fossaa regola d’arte.

Ma, rimanendo in questo campo, a Firenze c’è un’altra meraviglia: è la Scuola del Cuoio (www.scuoladelcuoio.com) creata dopo la seconda guerra mondiale dai Frati Francescani e dalla famiglia Gori, abili artigiani pellai, con l’obiettivo di dare agli orfani della guerra un mezzo per imparare un mestiere con cui guadagnarsi da vivere.

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Sì, una scuola dove si insegna a fare qualcosa con le mani (in un ambiente davvero speciale, il vecchio dormitorio dei frati, all’interno della Basilica di Santa Croce, progettato dal Michelozzo nel 1400, con il soffitto decorato da affreschi della scuola del Ghirlandaio!), dove gli allievi usano utensili che hanno più di 60 anni per realizzare borse e accessori in pelle costosi e di alta classe, molto richiesti in tutto il mondo. Chi ha imparato a fare cose di questo genere difficilmente rimarrà senza lavoro come accade a tanti laureati in legge o in lettere di cui è pieno il nostro Paese.

Le arti applicate in Italia sono una risorsa creativa e reattiva contro l’omologazione del villaggio globale e possono dare un altro orizzonte esistenziale e occupazionale alle giovani generazioni. Un patrimonio di creatività, abilità e bellezza da conoscere e perpetuare dove la manualità è a pieno titolo espressione di attività culturale. Tutti noi Italiani, e in particolare i nostri governanti che negli ultimi 30 anni hanno trascurato l’artigianato a favore dello sviluppo delle grandi industrie, dobbiamo impegnarci affinché il saper fare a regola d’arte venga insegnato e tramandato ai giovani affinché proseguano, con proprie strade espressive e imprenditoriali, la grande tradizione dell’artigianato italiano.

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E´ il momento di darsi da fare

Risvegliamoci dal brutto sogno e riscopriamo noi stessi

Oramai abbiamo consumato e sprecato quasi tutto.
Abbiamo consumato quello che era da consumare, ma anche quello che era da risparmiare, abbiamo sprecato quello che era da sprecare, ma anche quello che era da conservare.
Così la civiltà dei consumi sta finendo di consumare anche se stessa, dopo averci fatto lavorare come disperati per guadagnare di più, per poter comperare anche l’ultimo degli oggetti inutili, ma tanto decorativi, di quelli che danno prestigio, senza i quali uno finisce per sentirsi come nudo, emarginato, squalificato, grazie al lavaggio del cervello che da decenni ci viene praticato sia in forma palese che occulta.
Il nostro gusto è stato travolto, le preferenze convertite, le abitudini sbaragliate. Aggiustare, arrangiare è diventato l’ignominia, mentre solo nel gettar via dopo l’uso sta la vera virtù.
Ma gli Italiani sono arrivati solo all’ultimo fra i privilegiati ammessi a godere le equivoche delizie della civiltà dei consumi.
Pertanto il micidiale innesto ideologico non è ancora penetrato fin sotto la pelle di tutti. Ci sono ancora larghe possibilità di recuperare gli autentici valori delle attività umane.
E’ giunto il momento di darsi da fare. Risvegliamoci da questo brutto sogno e riscopriamo finalmente noi stessi.
Riscopriamo le nostre abilità e le nostre autentiche virtù, le risorse del nostro ingegno ed il nostro saperci arrangiare, perché saper fare non è più una vergogna.
Per fortuna oggi la scienza e la tecnica ci consentono di far bene e con poca fatica. Oggi il costoso utensile professionale è stato affiancato dal più economico e più pratico utensile hobbistico, che ci consente di equipaggiarci con facilità e con più ragionevole spesa e trasformarci in idraulico e in falegname, in ebanista e in muratore, in elettricista e in giardiniere.
E scopriamo che è l’utensile che fa il lavoro, purché guidato da mano consapevole, che le professioni del lavoro manuale stanno diventando sempre meno arti e sempre più mestieri. Ed è facile e divertente fare di ogni mestiere un piacevole hobby.
Certo, al principio ci occorre una guida. Ci vogliono degli specialisti per insegnarci come tanti manufatti si possano realizzare a livello domestico, in un’appassionante attività per il tempo libero. Bisogna scoprire che con passione e ingegno tutto è possibile.
Noi siamo qui per questo.
(novembre 1975)

 

 

Makers, spazio a chi fa

Tecniche tradizionali, creatività, capacità manuali hanno prodotto una varietà di proposte sbalorditiva

Abbiamo già parlato dei makers, un movimento partito dagli Stati Uniti, diffusosi in tutto il mondo, persone che vedono nel concreto “fare” la via per cambiare il futuro. È obbligo, oltre che piacere, andare a curiosare in questi nuovi giardini del do it yourself; vediamo cosa fanno con il computer, con l’elettronica, impariamo la loro capacità di incontrarsi, di confrontarsi, di condividere le scoperte. Per chi vorrà saperne di più, ci sarà un’occasione importante dal 3 al 6 ottobre a Roma. www.makerfairerome.eu/it/.

Quello dei makers è un modo nuovo e interessante di essere far da sé con la riscoperta dell’elettronica facilitata da schede, microcontroller open source come ARDUINO, con l’introduzione delle stampanti 3D, delle fresatrici e macchine per il taglio laser a controllo numerico per realizzare prototipi e oggetti. Abbiamo voglia anche noi di metterci alla prova su questo terreno per poter poi condividere con voi lettori queste innovazioni e far sì che nuove tecniche possano entrare a far parte del sapere pratico-artigianale che sicuramente non vi manca, basta scorrere le pagine di questo numero, che per la prima volta abbiamo interamente dedicato ad alcuni dei vostri progetti. Tecniche tradizionali, creatività, capacità manuali hanno prodotto una varietà di proposte sbalorditiva. Si va dal ponticello sul laghetto del giardino al rivestimento in cartongesso della camera da letto; dalle strepitose Porsche e Harley elettriche per bambino al modellino del mulino a vento; dal recupero e restauro dei vecchi attrezzi contadini alla ringhiera di ferro per il balcone di casa; dalla cabina armadio con materiale di risulta al paranco per sollevare la legna del caminetto e tante, tante altre idee divenute oggetti e macchine funzionali.

Sfogliando il numero, prima di andare in stampa, siamo orgogiosi e quasi increduli di avere lettori tanto bravi e creativi; ci sentiamo sempre più motivati a migliorare i contenuti di questa rivista conservando gelosamente tutto ciò che ci viene dalla nostra unicità, dalla nostra tradizione e dalla nostra cultura, lasciando però, al tempo stesso, la porta aperta al buono delle innovazioni e del cambiamento.

La vera voce del fai da te

Chi si dedica al bricolage, lo fa in modo molto serio, con impegno assoluto

La pubblicità del “…ai ai ai… turista fai da te” è ormai diventata un classico con tanto di ditino alzato a redarguire lo sprovveduto di turno.
A ruota sono venute le pompe di benzina fai da te, un ministro della repubblica parlando di nuove regole sulle adozioni ha detto che era finito il tempo delle adozioni fai da te e, “dulcis in fundo”, una pubblicità a fumetti su certi fondi di investimento che vanno per la maggiore titola in modo esplicito “fai da te o fai sul serio?”.
Come a dire, se non l’avessimo ancora capito, che fai da te è sinonimo di arrangista, di pasticcione, di sprovveduto, di “povero cristo” che deve accontentarsi dei suoi miseri mezzi.
Basta! Lo diciamo con rabbia: è ora di finirla con una simile falsa banalità.
Chi si dedica al bricolage, al fai da te nella più genuina ed originaria accezione del termine, lo fa in modo molto serio, con impegno assoluto, dedicando a questa passione tutto il tempo libero: è per lui, o lei, una fonte di sano divertimento, un mezzo per risparmiare tempo e denaro, una voglia di personale arricchimento culturale. E’ prima di tutto una scelta di autonomia, un modo di uscire dal branco del “grande fratello”, di essere persona, individuo fino in fondo.

Di fronte però a questa moda che nel fai da te vede qualcosa di fatto male, che tende a dare al termine un valore spregiativo non basta una voce: ce ne vogliono tante, capaci per la loro autenticità e sincerità di diventare un coro.

E allora scriveteci, mandateci un fax, una e-mail: diteci cosa pensate di questo malcostume, come vivete la vostra esperienza di bricoleur, come vi percepisce il mondo esterno, perché e come praticate il fai da te.
Proviamo ad uscire, ognuno di noi, dal proprio guscio, dal proprio nido, dalla propria nicchia e, per una volta, a metterci in mostra orgogliosi della nostra passione.

Ne nascerà un’associazione del fai da te, così da sentirci parte di un gruppo capace di scelte controcorrente, uniti dalla stessa passione? Potremo far pesare di più e meglio il nostro parere? Non lo sappiamo. Per ora proviamo a vedere se abbiamo una voce che esprime concetti e idee comuni a tanti. Poi tireremo delle conclusioni…

(gennaio 2001)

Architetto muratore

L’architettura è un’arte che mescola le cose, il far da sé mescola nozioni e discipline per ottenere un risultato originale

Straordinario lavoratore, è indubbiamente l’architetto più famoso nel mondo: Renzo Piano, con più di cento persone che lavorano con lui negli studi di Genova e Parigi, ha lasciato la sua firma in ogni parte del nostro pianeta con grandi opere che possono piacere o non piacere, ma certo non lasciano indifferenti. Ama definirsi una specie di “orologiaiomuratore” e dice di sé: “Non ho mai fatto nient’altro che l’architetto e in un modo molto artigianale. Un po’ come i mastri comacini del Medioevo che giravano per cantieri. Quindi un lavoro legato ai luoghi, alla gente, al terreno, ai materiali”.

“Non bisogna dimenticare che l’architettura è un’arte che mescola le cose: la storia, la geografia, l’antropologia e l’ambiente, la scienza e la società”.

“E’ necessario avere un atteggiamento leggero: non rinunciare a quell’ostinazione che consente di testimoniare le proprie idee e al tempo stesso essere permeabili e capire quelle degli altri” (da un intervista a Panorama).

Come noi. Proviamo a leggere con attenzione queste frasi, a chiudere gli occhi dimenticando che sono riferite all’architettura e all’esperienza unica ed irripetibile di un grande del nostro tempo, a ripensare ai mastri comacini che circa 1400 anni fa, partendo dal Comasco, andavano in giro per l’alta Italia a costruire: proviamo a trasportare il tutto nel nostro mondo di far da sé operosi ed ingegnosi.

Cambiando semplicemente il contesto, non è un po’ come se  si stesse parlando di noi?

Chi meglio dei far da sé sa mescolare tutta una serie di nozioni e di discipline per ottenere un risultato originale?

Chi c’è di più testardo nel difendere le proprie esperienze, ma allo stesso tempo di più svelto nel copiare dagli artigiani, dall’industria, dal vicino rubando i loro segreti?

Chi c’è di più tenacemente legato all’ambiente e alle risorse che offre, facendo del recupero e del riciclo una vera e propria arte, per non dire una religione?

(aprile 2002)

Mani sporche, mani che lavorano

Mani sporche di colla, di segatura, di grasso, di colore, di terra: mani che lavorano, insomma

Quando la scimmia, scesa dagli alberi, imparò a camminare su due piedi, si accorse di avere due mani libere per raccogliere cibo e impugnare strumenti. E’ questa una semplificazione del processo evolutivo che ha portato all’uomo attuale, ma gli scienziati sono concordi nel sostenere che sostanzialmente andò così e che da quelle due mani libere cominciò la crescita e la specializzazione del cervello umano.
Oggi di mani si fa un gran parlare. Di mani pulite si parla per riferirsi ad un’indagine giudiziaria che sta rivoltando come un calzino la vita politica e imprenditoriale del nostro Paese: lavoro meritorio, quello dei giudici che stanno svelando tangentopoli.

Tanto che oggi giornali e TV non parlano quasi d’altro; e la gente esasperata si informa, ma sono evidenti i primi sintomi di stanchezza, di rassegnazione, di nausea.
Vogliamo cambiare argomento e parlare un po’ di mani sporche?
Mani sporche di colla, di segatura, di grasso, di colore, di terra: mani che lavorano, insomma. Va assolutamente e in fretta riscoperta questa grossa fetta di Italiani, che in silenzio lavora giorno dopo giorno le sue ore regolamentari e che poi, una volta a casa, riprende trapano o martello per realizzare, con soddisfazione, quanto è utile per sé e per la famiglia.

È su queste mani, quelle che lavorano, che puntiamo in questo momento di crisi: quando anche tra pulito e sporco è ormai facile fare confusione.

Sono pulite le mani di chi non fa niente, di chi si dà alla bella vita, di chi non fatica. E sono sporche le mani di chi zappa la terra, di chi opera in officina, di chi cura o assiste in ospedale, di chi insegna a scuola, di chi gestisce attività commerciali.

Sono sporche le mani di chi ruba, di chi si approfitta del lavoro altrui, di chi abusa della propria carica per pensare al proprio personale interesse. E sono pulite le mani di chi lavora onestamente, di chi dedica costante impegno alla professione, di chi è sempre pronto a fare la sua parte.

E dunque in questo balletto di mani, pulite che non si sporcano nemmeno a manipolare il più unto dei motori, sporche che non si lavano nemmeno dopo trent’anni di galera, puntiamo sulle mani che lavorano. Anche perché, l’evoluzione insegna, sono queste le mani che potenziano il cervello, che spingono l’uomo verso nuovi progressi.

(maggio 1993)

Un futuro di scrivanie

Io ho diritto alla scrivania: non posso sporcarmi le mani: il lavoro manuale è disonorevole

Europa: 6 milioni di disoccupati. Se aumenta l’automazione saranno ancora di più. I sindacati propongono di diminuire le ore lavorative per aumentare i posti di lavoro. Il diritto ad una scrivania per tutti. Perché non si parla mica di lavoro, ma di “posti” di lavoro. Con i milioni di laureati che sforniamo ogni anno tra poco non ci sarà più nessuno che sappia tenere in mano un cacciavite. Tutti dottori, economisti, ingegneri.

La Fiat se ne è accorta ed agli ingegneri che assume fa fare due mesi di corso retribuito dietro ad un tornio. Avremo dei tornitori con la laurea? Macché: dopo due mesi l’ingegnere si trincea dietro alla scrivania faticosamente conquistata.

Con tanta disoccupazione che c’è in giro ci vogliono quindici giorni di prenotazione per avere a casa l’idraulico per sostituire il vecchio tubo di piombo bucato; dal meccanico per farsi regolare il carburatore ci si prenota come si fa con il cardiochirurgo.

Per non parlare del carrozziere. Perché studiare quindici, venti anni per poi andare a potare le vigne, saldare dei tubi, costruire i mattoni? Questa spaventevole orbita di parcheggio per disoccupati che è la nostra università sforna dei laureati che non vogliono usare le mani per costruire, ma per dirigere, per riempire moduli. La sola aspirazione è per il posto in banca, la direzione dell’industria, la sacrosanta scrivania, il diritto acquisito per studi.
C’è solo una scrivania nel futuro dei giovani. La scrivania o la disoccupazione.

Sui quotidiani appaiono le offerte di lavoro: tornitori o venditori. A parte i venditori, gli agenti, i rappresentanti, perché tanta fame di tornitori, fresatori, rettificatori, gente che possiede un’abilità che oscilla tra l’arte, la tecnica?
L’esperto in idraulica ha mandato suo figlio a laurearsi in ingegneria. Ne è orgoglioso, anche se suo figlio non sa avvitare un tappo. Anche il figlio è orgoglioso e guarda con aria di sufficienza il lavoro di suo padre, molto redditizio, molto sicuro, ma poco qualificante. Ma la sai cambiare la guarnizione di un rubinetto che perde? Io ho diritto alla scrivania: non posso sporcarmi le mani: il lavoro manuale è disonorevole.

Io devo solo passare le carte dopo averci messo il timbro. Se so fare un timbro? Ma ci pensano le macchine, se dovessi occuparmene io non sarebbe decoroso!

(settembre 1979)