Il tornio DML1420 Herald Coronet vanta caratteristiche di alto livello anche per un utilizzo professionale ma, grazie a dimensioni e pesi contenuti, è utilizzabile anche dai neofiti e dagli appassionati
La lavorazione al tornio, oltre a essere utile per la realizzazione di numerosi pezzi di mobili, si può considerare un tratto di congiunzione fra l’attività dell’artigiano e quella dell’artista, per via dell’importante sforzo creativo che richiedono molte realizzazioni. Per questo, sono sempre di più le persone che si avvicinano alla tornitura per passione, spinti dal fascino di questa particolare lavorazione, nonostante, per praticarla, sia necessario acquistare un’attrezzatura specifica. Proprio su questo vogliamo soffermarci in questo articolo, prendendo come spunto la prova che abbiamo fatto di un tornio per legno di ottimo livello, ideale per chi si avvicini a questa pratica, ma adatto anche come punto di arrivo per chi si sia già impadronito della tecnica su un modello entry level e voglia approdare al tornio definitivo.
Il tornio DML1420 Herald Coronet è prodotto da Record Power ed è distribuito in Italia da Gamma Zinken. Grazie all’esperienza decennale di Record Power, questo modello ha in dote tante caratteristiche che si trovano solo su torni professionali molto più grandi. Sotto il profilo costruttivo, in fatto di robustezza, stabilità e precisione delle regolazioni, ci si trova davanti a una macchina senza compromessi. Dispone di testa girevole per la tornitura longitudinale e trasversale, ha un quadro comandi con pulsante di inversione di marcia del motore e regolazione elettronica della velocità con indicatore a display.
Un’ampia gamma di accessori opzionali permette di configurare il tornio DML1420 Herald Coronet per le proprie esigenze e renderlo più adatto alle speciali lavorazioni verso le quali ci si vuole orientare. Tra i particolari di notevole importanza: la possibilità di bloccare la rotazione del mandrino su 24 posizioni fisse, quindi ogni 15° di rotazione; il sistema a tre pulegge fra albero primario e secondario, che consente di avere sempre la massima coppia di trazione in tutta la gamma di velocità (da 95 a 3980 giri al minuto); il pulsante di accensione con sistema di sicurezza.
Tornio DML1420 Herald Coronet nel dettaglio
Rilasciando il serraggio alla base, la testa del tornio DML1420 Herald Coronet si può traslare sul banco di supporto, per fissarla in qualsiasi punto, oppure la si può ruotare orizzontalmente, per esporre il mandrino lateralmente ed effettuare la tornitura trasversale.
Il supporto per l’elemento poggiautensili, in fusione di ghisa, risulta molto robusto e garantisce la totale assenza di flessioni; altrettanto robusti sono i leveraggi per effettuare le regolazioni e portare volta per volta il poggiautensili nella posizione ideale per il lavoro.
La precisione costruttiva e la qualità dei materiali permettono il mantenimento di tolleranze minime: tutto scorre fluido nei movimenti di regolazione, senza laschi di alcun genere.
Aprendo il carter sulla testa, si accede al vano pulegge per effettuare, se necessario, il cambio del rapporto di velocità; per effettuarlo si rilascia la tensione della cinghia di trasmissione, svitando il leveraggio. Accanto alla puleggia più grande, sull’albero secondario, si nota la serie di tacche (da 1 a 24) su cui va ad agire il perno di bloccaggio della rotazione. In pratica, nell’arco di un giro completo, si può fermare il pezzo in una precisa posizione, a passi di 15°.
Il perno si inserisce nelle tacche effettuando un movimento in trazione e rotazione che può avvenire solo intenzionalmente e a motore fermo.
A un’estremità il banco ha conformazione e fori di fissaggio per l’aggiunta di una prolunga, in vendita separatamente, che porta la distanza fra le punte fino a 600 mm. Lo scasso laterale offre continuità al binario per cui la contropunta può scorrere senza impedimenti dal banco sino all’estremità della prolunga.
Il quadro comandi ha un potenziometro con cui si regola la velocità del motore; il display mostra il numero di giri impostato, che dipende da quali pulegge stiano lavorando. Per questo, quando si modifica la velocità di base, spostando la cinghia, bisogna anche impostare il corretto rapporto sul quadro sul valore I, II o III. Il pulsante di accensione è di sicurezza: nel caso mancasse la corrente, al suo ritorno il tornio DML1420 Herald Coronet resta spento.
Il volantino che ruota con l’albero di trasmissione secondario si accoppia mediante la filettatura del perno, quindi risulta rimovibile. La filettatura è sinistrorsa, pertanto non c’è possibilità di rilascio durante la lavorazione. L’attacco del mandrino ha filetto M33x3,5 mm.
Il mandrino si avvita sull’attacco tenendo fermo l’albero con il volantino; per smontarlo, non si deve mai usare il sistema di bloccaggio graduato del mandrino.
Il mandrino va avvitato sino in fondo (il dito indica che la flangia del mandrino deve arrivare allo scontro con quella dell’attacco a vite), quindi si serra il grano laterale per immobilizzarlo.
Finiture di pregio
Il tornio DML1420 Herald Coronet permette di tornire piatti sino a un diametro massimo di 355mm sul bancale e sino a un massino di 600 mm in tornitura trasversale (a sbalzo). Il peso (48 kg), la solidità dei materiali e le speciali gambe di sostegno (opzionali) assicurano la massima stabilità dell’insieme in qualsiasi situazione e la possibilità di ottenere risultati soddisfacenti.
Una buonafinitura non deve soltanto rendere liscio e lucido il manufatto; è altrettanto importante che questo sia protetto per essere maneggiato senza che restino impronte su di esso e, nello stesso tempo, sia esaltata e preservata la fibratura del legno. I prodotti che si usano in questa fase devono penetrare nell’essenza per svolgere un lavoro di protezione in profondità, ma hanno un importante ruolo anche sulla superficie, grazie alla loro azione.
Una volta levigato il manufatto, a motore fermo o impostando un bassissimo numero di giri, si applica uno strato sottile di Mylands Cellulose Sanding Sealer, un isolante a rapida asciugatura che leviga finemente il legno, fornendo la base perfetta per la successiva finitura, che sia a cera o lacca. Meglio dare due mani leggere di questo prodotto, piuttosto che una più pesante. Fra una passata e l’altra, attendendo un minuto per l’essiccazione, si può fare una passata anche con carta abrasiva finissima.
In abbinamento con l’impregnante isolante a base di cellulosa è ideale la crema abrasiva lucidante High Build Friction Polish, sempre a marchio Mylands. È una gommalacca per elevate finiture adatta a tutti i tipi di legno che, grazie a un abrasivo finissimo, agisce rendendo estremamente liscia la superficie. Anche questa si applica a macchina ferma o con regime di rotazione molto basso, per non surriscaldare il legno, poi si lucida ad alta velocità, ma senza calcare, con un panno morbido e pulito. Al termine si applica cera carnauba.
Cuffia di aspirazione a base magnetica
Durante la tornitura si formano trucioli filantie di grosse dimensioni, ma nelle fasi di levigatura, usando paglietta di ferro o carta abrasiva, si solleva una polvere finissima che vola ovunque in tutto il laboratorio. Se si dispone di un aspiratore, consigliamo l’acquisto di un accessorio molto utile applicabile a qualsiasi tornio: si tratta della cuffia di aspirazione con base magnetica, che permette di catturare il prodotto della levigatura, ma anche i trucioli più fini della tornitura, durante il lavoro.
Si collega al tubo flessibile con diametro 100 mm e offre frontalmente una bocca regolabile in ampiezza. Grazie alla base con due potenti magneti, è posizionabile a piacere sul banco del tornio. Il braccio regolabile permette di mettere la cuffia nella posizione più vantaggiosa, senza ingombro per la lavorazione.
Il parquet inchiodato ha un fascino irresistibile, ma è un metodo di posa antico che necessita di pazienza e precisione
Il parquet inchiodato è stato per secoli l’unico sistema possibile per realizzare un pavimento in legno; robuste tavole venivano fissate con chiodi a tavolati o su travature, disposte ortogonalmente a queste, poi si è passati a sottostrutture di listelli fissati ai solai.
La chiodatura delle tavole a una sottostruttura di listelli è il metodo di posa più antico, oggi ormai utilizzato solo quando si usano doghe massicce di spessore consistente, ma è quello che esalta il fascino del parquet.
Da decenni, grazie allo sviluppo di collanti tenaci e di prefiniti di spessore ridotto, la posa del parquet avviene quasi esclusivamente perincollaggio o flottante, in quest’ultimo caso senza alcun fissaggio al sottofondo e ponendo tra questo e il pavimento un materassino fonoisolante.
Dal punto di vista pratico i parquet prefiniti hanno spessori ridotti, costano circa il doppio rispetto alle tavole da inchiodare, ma la loro posa è meno onerosa: circa 15 euro/m2 contro i 35-40 euro/m2 di un parquet inchiodato e rifinito in opera.
Parquet inchiodato – Due tecniche
La posa inchiodata si può realizzare in due modi: su un tavolato, esistente o costituito da pannelli di legno spessi almeno 20 mm e ben stagionati, oppure su “magatelli”, listelli di legno equamente distanziati e perpendicolari alle tavole. A sua volta, la posa su magatelli può avvenire in due modi: annegandoli “a fresco” in un massetto o fissandoli con tasselli sul sottofondo.
La posa parquet inchiodato su magatelli annegati si può effettuare solo nelle nuove costruzioni o in ristrutturazioni molto particolari che contemplino la demolizione dei solai.
Il massetto viene realizzato in due tempi: un primo strato cementizio, dello spessore di circa 4-5 cm, si stende a copertura degli impianti, mentre nello strato successivo vengono annegati i magatelli, che devono presentare una sezione trapezoidale (a coda di rondine) e vanno posati con il lato stretto rivolto in alto in modo che, con l’essiccazione del massetto, rimangano vincolati in esso; elementi che, eventualmente, risultassero malfermi a massetto asciutto, vanno stabilizzati con fissaggi a espansione, ponendo attenzione a non intercettare gli impianti sottostanti. Siccome le tavole trovano un appoggio uniforme, è sufficiente che abbiano uno spessore di 20 mm.
Quando i magatelli vanno tassellati sopra un massettoesistente servono tavole spesse 30 mm, sia per evitare flessioni sia per contenere l’effetto cassa armonica che si produce con il calpestio; la distanza tra i magatelli dev’essere di circa 30 cm, mentre per quelli annegati si può tenere un’interasse anche superiore.
Per poter procedere alla posa inchiodata bisogna che il locale da pavimentare si presenti con pareti già rifinite e asciutte e l’umidità del massetto non dev’essere superiore al 2%. Le doghe, grezze, vanno lasciate soggiornare alcuni giorni nell’ambiente dove andranno posate, in modo che possano assumere lo stesso tasso di umidità del locale e stabilizzarsi.
Posa risolutiva in un caso particolare
Il locale in cui è stato posato il parquet inchiodato è l’appendice di un’abitazione, con ingressi indipendenti da essa: un ripostiglio trasformato in una zona dedicata alla convivialità.
Il pavimento, più basso rispetto al calpestio esterno, era costituito da un massetto lisciato, ma presentava una pendenza intorno al 3-4%: se, per l’utilizzo precedente, il problema era trascurabile, la posa di un qualsiasi rivestimento imponeva la risoluzione dell’inclinazione.
Sono state utilizzate: perline d’abete spesse 32 mm (€ 14/m2), magatelli 80×80 mm (€ 7,10/m) e zoccoli 120×20 mm (€ 8,50/m).
La posa, inclusa la finitura, è costata € 40/m2 (prezzi IVA esclusa). Il parquet inchiodato si è rivelato la soluzione più pratica: l’intercapedine sottostante ha inoltre migliorato l’isolamento, non essendo il massetto separato dal terreno con igloo o simili.
Magatelli fissati su sottofondo
Prima di iniziare il lavoro relativo al parquet inchiodato bisogna verificare le condizioni ambientali. Il cantiere deve presentare un’umidità compresa tra il 45 e il 60%, mentre la temperatura ottimale è 15-25 °C: queste condizioni, se non ci sono, vanno create con le apparecchiature del caso e mantenute per tutta la durata del lavoro. Si inizia determinando la direzione che dovranno avere le doghe e, di conseguenza, disponendo in senso perpendicolare i magatelli che devono risultare perfettamente in bolla, ricorrendo all’occorrenza a spessoramenti sotto di essi.
In base alla lunghezza dei magatelli disponibili, si compongono in bianco le file parallele con uno o più elementi, poi si passa al loro fissaggio. In questa situazione si utilizza il magatello come maschera, forandolo al centro in più punti con un trapano fino a marcare il massetto; poi si sposta il magatello.
Si completano i fori fino alla profondità necessaria per inserire i tasselli nei quali fanno presa le viti che attraversano i magatelli. Le teste delle viti vanno ovviamente incassate nel legno.
La posa dei magatelli viene effettuata in direzione della pendenza, sottoponendo a essi gli spessori necessari a farli risultare in bolla a filo superiore; il loro spessore va calcolato in modo che, sommato a quello delle perline, la pavimentazione risulti a filo inferiore delle soglie degli accessi.
Quando la lunghezza della tavola è superiore al necessario, il taglio si effettua con una troncatrice radiale regolata a 90°.
Viti o chiodi inseriti alla traditora
Stabilito da quale parete partire, si posiziona la prima tavola del parquet inchiodato parallela alla medesima, distanziandola da essa di circa 10-15 mm per assorbire i movimenti del legno con il variare delle condizioni ambientali. A questo scopo si possono utilizzare cunei calibrati o distanziatori specifici che, inseriti nella “femmina” della tavola, permettono l’aggancio di cinghie di trazione a cricchetto, utili per incastrare le tavole a quelle già posate.
La prima tavola va fissata, premendola contro i distanziali, ai magatelli con chiodi o viti inseriti di sbieco (alla traditora) attraverso il maschio, avendo cura di incassarne la testa affinché non interferisca con l’incastro della tavola successiva. Man mano che si avanza, le tavole vanno sfalsate sulle file, ma in modo che le estremità ricadano sempre al centro di un magatello, così che questo offra appoggio alle teste di due tavole consecutive.
Ciascuna tavola del parquet inchiodato va incastrata a fondo nella precedente: allo scopo si utilizza un tacco di legno appoggiato sul dente dell’incastro per batterla con il mazzuolo, poi si utilizzano le cinghie di trazione per mantenerla ben aderente alle altre mentre si inseriscono le viti o i chiodi.
Una passata di fresatrice consente di arrotondate lo spigolo superiore del gradino.
Parquet incollato per lo scalino di accesso
Il parquet inchiodato su magatelli ancorati al pavimento esistente e la correzione della pendenza hanno comportato un innalzamento del calpestio notevole; la porta di accesso laterale, nonostante fosse rialzata rispetto al pavimento, non avrebbe più potuto aprirsi verso l’interno.
Per ovviare all’inconveniente, in un’area di poco superiore a quella interessata dalla sua apertura, si è provveduto a realizzare una porzione di pavimento con tavole incollate, ribassata rispetto al resto del locale.
Questa porzione ha una pianta trapezoidale, decrescente dal lato in cui la porta è incernierata; in parte riduce il dislivello preesistente tra pavimento e soglia e accompagna meglio il passo verso il pavimento rialzato.
Finitura del parquet inchiodato
Dopo la levigatura completa del parquet inchiodato e prima della posa del battiscopa (che va colorato e rifinito prima del montaggio) si applica il colorante nella tonalità desiderata.
Nella scelta ci si basa su una cartella colori che simula l’effetto finale, ma non è sufficiente affidarsi al campione: la colorazione naturale di ciascun legno, la sua struttura, la porosità e una levigatura più o meno fine possono influenzare molto il risultato, per cui è opportuno fare una prova preliminare su più pezzi di scarto dello stesso legno e comporli come se si trattasse di un pezzo di pavimento di circa un metro quadrato. In linea di massima, le diverse tonalità di questi coloranti sono miscelabili tra loro o diluibili con un prodotto trasparente che attenua tonalità troppo marcate, fino a raggiungere quella desiderata. Altresì, se si stima che una sola confezione di prodotto, con le relative correzioni, non sia sufficiente a portare a termine il lavoro, occorre aumentare la quantità a monte ed effettuare una sola volta la miscelazione, pena immancabili differenze.
Il lavoro va svolto iniziando dalla zona del parquet inchiodato più lontana dall’accesso al locale e indietreggiando verso di essa, per evitare di calpestare zone appena trattate. In sostanza si tratta di una mordenzatura, ma trattandosi di una superficie estesa il lavoro dev’essere svolto da due persone: una inizia a colare un po’ di prodotto sulla zona e a distribuirla con spatola piana per vernici e l’ausilio di un tampone a rullo (da strisciare e non rotolare).
L’altra persona, prima che il colore asciughi, agisce con la spazzola rotante ricoperta da una cuffia che aiuta a uniformare l’assorbimento del colore, senza che si formino macchie più scure localizzate.
Ad applicazione conclusa la superficie del parquet inchiodato va lasciata riposare per almeno 12 ore prima di procedere al trattamento finale, consistente in una finitura trasparente all’acqua che può avere aspetto opaco o semiopaco, con resistenza adeguata in base al grado di frequentazione del locale, da stendere a rullo.
A MELOG, il programma radiofonico di Radio 24 condotto da Gianluca Nicoletti, giornalista, fine intellettuale, dotato in più di una rara dimestichezza per i lavori manuali, si è parlato di bricolage con Nicla de Carolis, direttore della rivista FAR DA SÉ e di questo portale. Ma in particolare sono stati analizzati alcuni aspetti del pensiero/stile di vita far da sé oggi più che mai di attualità; i far da sé, creativi del riciclo, sono considerati come i primi fautori, in tempi non sospetti, dell’economia circolare, oggi obiettivo primario, almeno a parole, dei governi mondiali. È infatti insito nel DNA dei far da sé evitare sprechi salvaguardando materiali e attrezzi grazie alla loro manualità e alle capacità tecniche. Ma per saperne di più ecco la puntata di Melog del 17 gennaio 2020.
I parquet galleggianti si possono posare sopra le vecchie piastrelle o direttamente sul massetto di cemento, a patto che la superficie sia in bolla. Vediamo le varie fasi dell’installazione.
In fase di ristrutturazione, uno degli interventi fondamentali riguarda spesso il rifacimento dei pavimenti, che siano essi rovinati, obsoleti o semplicemente non idonei alla nuova impostazione ambientale. Fatta salva la planarità del pavimento esistente e la sua continuità, si può pensare di ricoprirlo, anziché smantellarlo, con un parquet flottante a listoni che non necessita di incollaggi o chiodature: questo tipo di posa viene definita anche “galleggiante”. Un pavimento che presenta vizi o parti mancanti può comunque essere uniformato con malte autolivellanti.
Guarda il video per imparare a posare il parquet flottante
Come montare il parquet galleggiante
I parquet di una volta richiedevano un lavoro complesso che comportava tempi lunghi. Il legno doveva “ambientarsi” nel locale diversi giorni prima di essere inchiodato, poi occorrevano lamatura, stuccatura dei giunti, levigatura e verniciatura. Grazie ai prefiniti, il parquet flottante moderno si posa velocemente ed è immediatamente calpestabile. I listoni non sono vincolati al supporto, il fissaggio è possibile grazie al particolare incastro a dente e canale di cui ciascuna doga dispone. Non dovendo ricorrere né a colla né a chiodi (a parte un eventuale filo di colla vinilica per gli incastri perimetrali), la posa è piuttosto rapida e non occorre attendere il tempo necessario all’asciugatura della colla; si ha inoltre il vantaggio che i listoni possono essere riutilizzati in un secondo momento, se ad esempio si cambia idea sulla collocazione del parquet o sulla disposizione dei listoni oppure, più probabile, se si deve intervenire per sostituire uno o più listoni rovinati da urti accidentali.
I parquet galleggianti devono comunque essere isolato da quello sottostante, di solito stendendo un foglio di nylon ed una guaina bituminosa oppure una lastra di polietilene a cellule chiuse. L’isolamento limita l’umidità risalente dal massetto ed inoltre incrementa l’isolamento acustico, riducendo il rumore da calpestio. I listoni prefiniti sono solitamente composti da un supporto di legno comune stabilizzato e da uno strato superiore di legno nobile, protetto da vernici antigraffio ed impermeabile. è consigliabile scegliere un tipo con spessore della superficie nobile di 3-5 mm, che a distanza di anni può essere rinnovato con una levigatura superficiale. Il tipo di posa parquet flottante preferibile per questi pavimenti è quello detto “a tolda di nave” (noto anche come “a correre” o “a cassero irregolare”) e vede la collocazione dei listoni in maniera sfalsata, in lunghezze differenti, seguendo una disposizione perpendicolare rispetto alla fonte luminosa.
Posa parquet flottante
Tempo richiesto: 1 giorno
Stendere il rotolo in feltro
Sul sottofondo si stende il rotolo in feltro o polietilene, inattaccabile da umidità e insetti. Eventualmente è possibile unire i listelli con un filo di colla spalmata sulla parte inferiore dell’incastro femmina.
Iniziare dall’angolo opposto alla porta
Se le pareti sono diritte si può iniziare dall’angolo opposto alla porta, come per le piastrelle.
Incastrare a fondo le lastre
Gli elementi si incastrano a fondo l’uno nell’altro battendo su un pezzo di listello di scarto, su cui si lascia integro l’incastro maschio o femmina a seconda del bisogno. Se è presente della colla che fuoriesce dai giunti deve essere velocemente rimossa con una spugna imbevuta d’acqua.
Usare il martello per l’ultima della fila
L’ultimo elemento di una fila viene inserito con l’aiuto di un semplice attrezzo ed il martello.
Concludere con uno zoccolino
La luce rimanente a filo muro viene coperta con uno zoccolino.
Le finiture
Quando il pavimento di parquet comunica con uno di altro tipo, ad esempio moquette o piastrelle, si utilizza un profilo di raccordo di legno, metallo o plastica che rende piana ed invisibile la linea di giunzione.
L’Unione Europea ha adottato nuove regole per incoraggiare le aziende ad abbandonare la strategia “dell’obsolescenza programmata del prodotto”, strategia di cui si ha notizia per la prima volta nel 1932 negli Stati Uniti quando fu pensata per risollevare i consumi durante la grande depressione e da allora viene utilizzata nell’economia industriale con lo stesso scopo.
Questo processo, che definisce il ciclo vitale di un prodotto in modo da limitarne la durata a un periodo prefissato, viene realizzato ricorrendo in fase di fabbricazione ad accorgimenti come l’utilizzo di materiali di scarsa qualità, la pianificazione di costi di riparazione superiori rispetto a quelli di acquisto e l’irreperibilità dei pezzi di ricambio. Ci si è resi conto che oggi questa pratica non è più sostenibile e in tutti i settori bisogna invertire la marcia passando dal modello di economia lineare, fondato sullo schema “estrarre, produrre, utilizzare e gettare” per approdare all’economia circolare che vuole la rigenerazione, il recupero e il riciclo.
Questo è solo uno dei punti di un programma più ampio, quello dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU e che ingloba 17 Obiettivi. La sostenibilità, come viene intesa dall’ONU, annovera temi come occupazione, fame, povertà, diritti, istruzione, energia, innovazione e infrastrutture. L’attuazione dell’Agenda richiede un forte coinvolgimento non solo dei governi, ma anche delle imprese, pubbliche e private, delle istituzioni filantropiche, degli operatori dell’informazione e della cultura, nonché dei singoli cittadini.
Tante sono le piccole cose che possiamo fare anche noi individualmente; solo per citarne alcune, ridurre i consumi elettrici nelle attività di tutti i giorni (fare andare a pieno carico lavatrici e lavastoviglie, accendere le luci solo se necessario, evitare quando possibile l’uso dell’ascensore ecc), non sprecare il cibo, fare una giusta raccolta differenziata dei rifiuti. In particolare, tornando a parlare della vita degli “strumenti tecnologici” e della loro riparazione, la direttiva dell’Unione Europea ci viene incontro perché, a proposito dei beni di uso casalingo, rende obbligatorio dare disponibilità per 7 anni dei pezzi di ricambio che costano più di 60 euro e per 5 anni quelli che costano meno, dopo l’uscita di produzione del bene.
Su tutti questi aspetti nessuno ha qualcosa da insegnare a chi fa da sé perché è insito nel suo DNA l’impulso di evitare sprechi salvaguardando materiali e attrezzi; in più, grazie alla sua manualita e alla competenza, aggiusta, recupera e riutilizza.
I far da sé anticipano di 50 anni molti degli obiettivi dell’economia circolare e dell’Agenda 2030. Comunque un ripassino sulla materia comincia in questo numero da pagina 20 con la rubrica RIPARAZIONI DI CASA.
I faretti da incasso rappresentano una fonte di illuminazione moderna, versatile e sicura, considerato il loro basso voltaggio e la scarsa emissione di calore
L’intercapedine necessaria per contenere l’impianto elettrico è di pochi centimetri, pertanto si può costruire un’intelaiatura fissata direttamente alla muratura, alla quale si avvitano le lastre di cartongesso forate per alloggiare i faretti fa incasso.
La controsoffittatura necessaria
In questo modo si realizza una controsoffittatura dotata di numerosi punti luce. L’impianto va preparato diramando i cavi per ogni faretto da incasso dalla fase dal trasformatore.
Nessun problema per il fissaggio dei faretti nel cartongesso, in quanto sono già predisposti per essere bloccati con clip, alette metalliche o anelli di chiusura.
Montaggio faretti da incasso schema elettrico
L’impianto elettrico per i faretti da cartongesso si avvale di collegamenti singoli: i cavi per ogni faretto partono dai morsetti di uscita del trasformatore a sua volta collegato alla rete.
Come si installano dei faretti da soffitto
All’intelaiatura si bloccano i cavi dei collegamenti elettrici per mezzo di chiodini fermafilo, senza ricorrere a canaline.
Prima di fissare i pannelli di cartongesso all’intelaiatura di supporto, si tracciano gli interassi e le giuste distanze tra le sedi per l’alloggiamento dei faretti; si praticano i fori utilizzando una sega a tazza.
Per fissare le lastre da 10-12 mm di spessore si possono utilizzare viti la cui testa va incassata leggermente per essere poi stuccata, insieme alle giunzioni.
Per effettuare i collegamenti elettrici senza difficoltà, conviene lasciar fuoriuscire dal cartongesso una porzione abbondante di cavo, che viene occultata successivamente all’interno del controsoffitto.
Ad ogni accensione l'ambiente verrà illuminato con una luce bianca calda (3000 Kelvin) ed intensa (6 x 250 Lumen)
La forma moderna e il look semplice rendono questi faretti adatti ad ogni arredamento. Sono direzionabili in modo da poter illuminare l'ambiente come si preferisce. In soggiorno, in camera da letto o in corridoio, le lampade creano un'atmosfera piacevole
Dimensioni del prodotto: diametro 86 mm - profondità di installazione 60 mm - foratura del soffitto diametro 68 mm
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Ogni parete ha la propria personalità e specificità. L’esposizione alla luce, l’umidità, la temperatura, il tipo di attività realizzata sono differenti in ogni camera, e possono influire sulle condizioni e la manutenzione delle mura domestiche.
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Ideale per i muri interni di camere da letto e zone living. La sua texture ultra coprente permette di ottenere un risultato estetico perfetto fin dalla prima mano e senza tracce. Un risultato garantito nel tempo, grazie alla sua forza smacchiabile e anti-macchia. Renov’Mur Superlavabile conferisce ai muri un aspetto premium grazie alla sua finitura “effetto seta”.
Questo appendiabiti in legno da parete è realizzato con grucce capovolte disposte a rastrelliera, alle quali si appendono gli indumenti
Con le grucce possiamo dare vita ad un originale e funzionale appendiabiti in legno. Si tratta di realizzare una rastrelliera costituita da grucce allineate e capovolte, collegate rigidamente tra loro e fissate a parete tramite un opportuno supporto. Gli abiti, pertanto, si appendono ai ganci, che ora si trovano rivolti verso il basso.
La struttura
Dobbiamo asportare la barra appendiabiti di legno, togliere il gancio (ma solo a metà di esse), stuccare il foro e carteggiare la superficie.
Togliamo la barra appendiabiti dalle grucce e da metà di esse asportiamo i ganci. Con stucco da legno otturiamo i fori e quindi carteggiamo la superficie.
Prepariamo una sorta di mensola in multistrato spesso 12 mm costituita da un dorso da fissare alla parete con quattro tasselli a espansione e da due fianchi opportunamente sagomati che presentano due incavi: uno sulla punta e uno vicino al bordo posteriore.
La mensola di supporto dell’appendiabiti in legno è costituita da un dorso e da due fianchi adeguatamente sagomati; la quadrettatura è indispensabile per riportare il disegno del fianco sul foglio di multistrato.
I fianchi sono fissati al dorso con una coppia di spine di faggio inserite sulle loro teste. Tutta la superficie del fianco a contatto con la mensola va assicurata con colla vinilica.
Le grucce vengono collegate da due barre filettate inserite in fori predisposti a 50 mm dalle loro estremità e bloccate agli estremi da dadi ciechi.
Ogni elemento dell’appendiabiti è mantenuto in posizione da spezzoni di tubetto d’alluminio che fungono da distanziali, all’interno dei quali passano le barre filettate.
L’insieme delle grucce viene quindi incastrato sulla mensola-supporto inserendo le barre filettate negli appositi incavi degli elementi laterali.
Occorrente appendiabiti in legno
Per la realizzazioned di questo attaccapanni in legno a muro servono:
grucce di legno;
1 foglio di multistrato100x425x12 mm (dorso);
2 fogli di multistrato100x395x12 mm (fianchi);
una barra filettata ø 6x 720 mm (con quattro dadi ciechi);
colla vinilica;
4 tasselli a espansione;
spine ø 8 mm.
Realizzazione attaccapanni legno
Col seghetto per metallo e la guida tagliacornici tagliamo, dal tubetto d’alluminio, gli spezzoni distanziatori da 50 mm.
Per collegare stabilmente le grucce utilizziamo due barre filettate bloccate all’estremità da dadi ciechi. Le barre vengono infilate in fori praticati precedentemente nelle grucce a 50 mm dalle estremità.
La mensola di supporto dell’appendiabiti in legno è costituita da un dorso e da due fianchi adeguatamente sagomati. Fissiamo il dorso alla parete con quattro tasselli a espansione.
Il tassello chimico, quando peso e
trazione applicati all’attacco sono troppo elevati e un comune tassello
non è più sufficiente…
Quando si sente parlare di tassello chimico non bisogna spaventarsi… ma ammettere che esistono casi in cui il lavoro del tassello è particolarmente gravoso… Di solito questo si verifica quando sono molto elevati il peso o la trazione che vengono applicati all’attacco, o quando il supporto non garantisce una consistenza sufficiente a sopportare il carico.
Un buon fai da te deve saper riconoscere queste circostanze e agire di conseguenza utilizzando il tassello chimico. Quando il gioco si fa… “pesante” è necessario che il nostro punto di attacco diventi tutt’uno con il muro, assumendone pertanto analoghe caratteristiche di robustezza e rigidità. Così si comportano i tasselli chimici, il cui funzionamento è basato sull’utilizzo di resine sintetiche.
Il principio di funzionamento dell’ancoraggio chimico
L’ancorante fluido, solitamente contenuto in cartucce per pistola a estrusione, viene inserito nel buco effettuato nel muro mediante un beccuccio. Subito dopo si inserisce nello stesso foro l’accessorio di fissaggio che può essere un bullone, una barra filettata semplice con rondella e dado, oppure che termina con anello, gancio tondo o ad angolo retto, di varie dimensioni. Solidificando, l’ancorante fa presa verso la muratura e blocca fortemente il ferro che avvolge.
Nel caso di mattoni forati si rende necessario limitare la dispersione dell’ancorante inserendo nel buco un tassello a calza o a rete delle precise dimensioni del foro. Il prodotto chimico e l’inserimento dell’asta provocano l’espansione della calza che gonfiando blocca definitivamente in quella posizione tutto l’insieme.
In presenza di bulloni e dadi, questi vanno stretti solo a indurimento concluso dell’ancorante. Uno dei prodotti più conosciuti è certamente il tassello chimico Fischer (guarda l’elenco completo dei prodotti)
Dal foro alla fialetta del tassello chimico
Segnato il punto in cui mettere l’ancorante chimico possiamo provvedere alla foratura. Disponendo di guida di profondità possiamo calibrare la profondità del foro e procedere più liberamente.
La pulizia del foro dalla polvere di cemento è molto importante soprattutto con i tasselli chimici. Utilizziamo uno scovolino facendolo ruotare mentre si estrae.
Avendolo a disposizione, risulta comodo e efficace l’utilizzo di un compressore ad aria. Imbocchiamo la pistola nel foro e ripariamoci gli occhi.
Inserita la fiala nel foro, la rottura avviene con l’inserimento del bullone o della barra che facciamo ruotare piano. Liquido e catalizzatore in granuli si mescolano e induriscono.
Dentro al muro
Il tassello chimico ha una certa versatilità: lo si può
applicare anche in presenza di mattoni forati usando una calza di
contenimento della sostanza chimica, ma consente anche il libero
utilizzo di barre filettate, bulloni e tondino di ferro. L’importante
per il grip è che quest’ultimo presti una superficie di contatto
sufficientemente ruvida.
Anche nel fissaggio al muro delle mappe degli scuri o delle persiane
è indicato l’utilizzo del tassello chimico, in presenza di una parete
sia in mattoni pieni, sia forati.
Esempio di utilizzo del tassello chimico
Montaggio di una ringhiera con tassello chimico
Presentiamo la ringhiera in posizione e riportiamo i fori di
fissaggio a terra mantenendo le piastre al centro del cordolo in
cemento. Utilizziamo un pennarello o, in alternativa, una matita grassa.
In corrispondenza delle tracce pratichiamo i fori utilizzando il
trapano impostato sulla funzione battente e munito di asta di
profondità. Utilizziamo dapprima una punta ø 6 mm e poi una ø 8 mm.
Per una buona presa dell’ancorante dobbiamo ripulire i fori
eliminando la polvere con l’aspiratore. In questo modo avremo la
certezza di un fissaggio sicuro e duraturo da parte del tassello
chimico.
Si inietta il prodotto nei fori effettuati e si inseriscono le barre
filettate da 6 mm, ruotandole per impastarle di ancorante. Abbiamo poco
tempo per un eventuale riposizionamento.
Predisposti tutti i fissaggi (curiamo la verticalità degli spezzoni
di barra filettata), si calza la ringhiera inserendo delicatamente la
piattina forata alla base dei montanti sulle barre filettate.
A indurimento avvenuto possiamo procedere al fissaggio definitivo
inserendo le rondelle sulle barre filettate e avvitando i dadi. Serriamo
a fondo con una chiave a forchetta, senza “tirare” troppo.
Per imparare a lavorare la vetroresina occorre essere ben informati, ecco tutto ciò che bisogna sapere
La costruzione di componenti e oggetti vari in vetroresina (a volte scritta anche staccata vetro resina) per uso modellistico o di particolari di carrozzerie si è imposta già da parecchi anni, grazie alla particolare versatilità di questo materiale e alle ridotte difficoltà di lavorazione che esso comporta.
La realizzazione di un manufatto di questo materiale prevede, solitamente, la sovrapposizione di uno o più strati di tessuto (feltro o filato di vetro) che vengono successivamente impregnati con una particolare resina di tipo poliestere.
Dopo l’indurimento di quest’ultima l’insieme assume consistenza notevole, pur mantenendo ottime doti di elasticità, impermeabilità, resistenza alle vibrazioni e peso ridotto.
Per la riparazione vetroresina si usa la vetroresina stessa!
Cosa serve per lavorare la vetroresina
Per la lavorazione vetroresine lavoriamo in un ambiente ben arieggiato e utilizziamo una buona mascherina che trattenga le esalazioni della resina poliestere.
Materiali per lavorare in sicurezza
Tessuto di fibra di vetro
Vetroresina liquida
Modello del pezzo che si vuole realizzare
Resina poliestere
Pennelli, forbici
Guanti di gomma
Solvente nitro
Carta vetrata
Levigatrice rotorbitale
Fogli vetroresina
Se ti manca qualcosa di questo elenco, ecco alcuni consigli per gli acquisti
Guanto con gomma naturale e velouri fuoco. Il guanto ha una buona resistenza alla temperatura e garantisce un' ottima protezione contro molti acidi e basi.
Importante: non utilizzare quando si lavora a petrolio, Benzina, paraffina e sostanze, quali essenza incluso.
Cotone wollinnen rivestito, maneggevole e robusto, alimentare, certificato di liquidi e sostanze chimiche protezione contro numerosi oli, grassi, alcali e acidi
Adatto per: industria alimentare, pulizia, frigoriferi e lubrificanti, verniciatura/utili per lavorare, Macchina manutenzione
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Lavorazione vetroresina passo dopo passo
Hai bisogno una levigatrice rotorbitale per lavorare la vetroresina? Ecco alcuni consigli per l’acquisto
Adeguata per levigare superfici piane e prepararle alla pittura o verniciatura
Come si lavora la vetroresina? Adattiamo una pezza di sufficiente ampiezza di tessuto o “matt” (così viene chiamato il feltro di filato vetroso) sulla superficie campione (in questo caso lo scafo di una barca per modellismo).
Utilizzando un paio di forbici sagomiamo i fogli di vetroresina asportando le eccedenze sulle superfici curve, che rivestiremo con un paziente lavoro di applicazione di ritagli di tessuto di vetro.
La resina poliestere, prima di essere applicata sulla superficie del tessuto, dev’essere miscelata in proporzioni appropriate con liquido catalizzatore, che accelera il processo di indurimento.
Dopo l’indurimento della resina poliestere, specialmente su forme campione particolari e complesse, dobbiamo lavorare manualmente con la carta vetrata per pareggiare eventuali imperfezioni.
Lavate le superfici con solvente alla nitro per rimuovere la patina appiccicosa, procediamo a una accurata carteggiatura con levigatrice rotorbitale, intervallata da una o più rasate di stucco.
Riparazioni
Questo materiale è particolarmente indicato per riparare manufatti come, per esempio, serbatoi per liquidi e imbarcazioni (1). Viene spesso utilizzata anche sul metallo per ricostruire parti degradate dalla ruggine, specialmente per la carrozzeria dell’auto (2). Quando il danno è di piccola entità si usa spesso stucco al poliestere miscelato con fibre di vetro sfuse: il composto, che ha circa la consistenza del grasso lubrificante, va additivato con l’apposito indurente, mescolato con la spatola e steso sulla superficie (3,4).
Prezzi
I prezzi al commercio dei kit in vetroresina possono variare da 10 euro fino agli oltre 80 euro.