Utile e versatile, la gamma Bosch PMF consente di lavorare in piena libertà
La versatilità è uno degli ingredienti che più sono richiesti nel mondo del fai da te. Talvolta questa caratteristica non si sposa con altre quali efficacia, potenza, professionalità. Questo non è il caso della gamma Bosch PMF che si colloca a pieno titolo nella categoria utensili multifunzione e dove spicca per le soluzioni innovative adottate, che ne esaltano l’efficacia e, in molti casi,possono agire dove altri utensili non sarebbero in grado.
La gamma è composta da tre utensili multifunzione:
Bosch PMF 250 CES
Bosch PMF 190 E
Bosch PMF 10,8 LI (a batteria)
Gli utensili, dalla forma allungata, sono estremamente leggeri e possono essere impugnati con una mano, per lavori delicati, oppure saldamente con due, per quelli più gravosi o di precisione. Grazie alla modalità di lavoro (gli utensili vibrano, non ruotano) non si sviluppano forze di torsione, né effetto giroscopico, né forza motrice al contatto con i materiali, né tantomeno proiezione di schegge ad alta velocità. Per completare un quadro che mostra già una grande libertà d’azione, il PMF 250 CES e il PMF 190 E sono stati affiancati da un quasi identico modello alimentato a batteria. Il PMF 10,8 Li pesa solo 0,9 kg ed ha la batteria estraibile, al litio, da 1,3 Ah; la durata è notevole grazie al nuovo sistema Eco-Electronic che riduce la velocità al minimo quando l’utensile non è sotto sforzo, risparmiando fino al 50% di carica, riducendo le vibrazioni e migliorando la precisione. Sull’impugnatura c’è l’indicatore di carica e la rotella di regolazione della velocità (da 5.000 a 20.000 oscillazioni al minuto su un angolo di ±1,4°, 2,8° totali) per la massima efficacia in relazione al materiale da lavorare. Più informazioni sulla gamma Bosch PMF
Bosch Pmf, un utilizzo a 360°
La conformazione della lama permette di lavorare a filo muro senza impedimenti. Il sistema Eco-Electronic spinge i giri al massimo non appena viene esercitata pressione sull’accessorio. La vibrazione della lama, al contrario della rotazione, non proietta ad alta velocità polvere e detriti che si formano lavorando sulla muratura. In più, come accessorio opzionale, c’è l’adattatore per aspirazione.
Con la spatola si rimuove facilmente il vecchio cordone di silicone. La vibrazione consente di avanzare velocemente senza impuntamenti anche nei punti di contatto più stretti fra i sanitari (1). Nel caso del parquet non è raro che problemi si manifestino anche a distanza di mesi dalla posa, dopo l’assestamento del legno. In pochi minuti si rimedia a errori di calcolo anche a posa avvenuta (2).
Tutti gli hobbisti, anche i più esperti, hanno più volte “sognato” di poter fare aperture quadre nel legno in modo rapido e preciso. Il Bosch PMF permette di tagliare nello spessore senza prefori. Le panchine lungo il viale, il cancello, la recinzione sono sempre esposti agli agenti atmosferici; anche senza alimentazione elettrica si interviene rapidamente con una passata di carta abrasiva.
Editoriale tratto da Far da sé n.451 di Giugno 2015
Editoriale Far da sé Autore: Nicla de Carolis
Musica per le nostre orecchie le parole che il Presidente del Consiglio, in visita in Alto Adige, ha pronunciato parlando della scuola di questa regione dove quasi tutto è perfetto. «Copieremo il modello di formazione duale del Sudtirolo», ha annunciato il premier dopo la visita della Stahlbau Pichler, azienda di Bolzano specializzata nella lavorazione dell’acciaio che ha collaborato alla realizzazione di nove padiglioni dell’Expo e ad altre numerose strutture e facciate di edifici modernissimi progettati dalle nostre archistar (www.stahlbaupichler.com). «Qui in Alto Adige la disoccupazione giovanile è il 12%, solo un quarto di quella nazionale e un sesto, oppure addirittura un settimo, di quella di alcune Regioni del sud». «Non vogliamo cancellare l’istruzione classica, ma puntare sull’alternanza scuola-lavoro». Forse qualcuno di voi ricorderà quando, già nel 2010, col nostro progetto MANUALITà, UN GIOCO DA RAGAZZI (progetto volto a diffondere la manualità creando laboratori per bambini e ragazzi dalle elementari alle medie con l’obiettivo di aprire nuovi orizzonti e magari anche prospettive lavorative, vedi il servizio da pag 54), ci ispiravamo alle scuole dell’Alto Adige dove, contrariamente al resto d’Italia, non solo le “applicazioni tecniche” restano ben presenti nei programmi di studio, ma ogni scuola è dotata di laboratori attrezzatissimi. Qui i ragazzi, seguiti da insegnanti preparati, si possono cimentare a costruire, assemblare, capire come si fa e come funziona e, grazie a ciò, riescono ad avere un panorama più vasto riguardo a quello che faranno da adulti. Il loro orizzonte non si limita a lavori come l’avvocato, l’impiegato di banca o un qualsiasi altro impiego nel terziario dietro a una scrivania, davanti a un computer (in questi campi, si sa, è molto difficile trovare un’occupazione), ma si estende alle tante attività che includono l’uso del saper fare con le mani. Dagli infiniti lavori della moda a quelli della produzione e della cucina di cibo buono, alla produzione di mobili di legno massello e alle centinaia di altre eccellenze del nostro made in Italy che tutto il mondo vuol comprare. è importante che finalmente la politica capisca quello che è il vero potenziale economico della nostra Nazione, è importante che capisca come questa ricchezza non si possa disperdere in nome di una globalizzazione e di una concorrenza che può vederci solo perdenti. Le nostre capacità e tradizioni nell’ambito dell’artigianato specializzato e del lusso, arricchite dalle innovazioni tecnologiche, devono essere insegnate e tramandate ai giovani. è importante che la politica si attivi per abbattere il modello culturale che vuole i lavori fatti con mente e mani inferiori rispetto a quelli “intellettuali”. Quindi, in questo caso, onore a Renzi che, con il suo confortante proclama, sembra voglia ridare dignità ai lavori manuali. Per i risultati concreti, ovviamente, bisognerà aspettare…
Nel cuore del Monferrato si costruiscono botti in rovere come vuole la tradizione per arricchire vini e liquori con aromi che acciaio e vetroresina non possono dare
Capire come costruire una botte di legno (rovere) offre spunti interessantissimi sulle tecniche di lavorazione del legno e rappresenta un’attività le cui radici vanno ricercate sin nei tempi più remoti. L’uomo, fin dai tempi di Noè, produce vino e cerca di conservarlo a lungo nelle migliori condizioni e anche di migliorarne il gusto. Di tutti i contenitori possibili, le botti di legno sono quelle che meglio aiutano le complesse reazioni chimiche alla base della maturazione del vino.
Come costruire una botte di legno a regola d’arte
Le barrique prodotte dalla Fabbrica Botti Gamba sono il frutto di una solida tradizione e di una lunga ricerca dei migliori legni di rovere. Si producono con capacità da 114 a 700 litri: i piccoli volumi sono giustificati dal più efficace scambio di sostanze e ossigeno tra vino e legno. La produzione di vini barricati richiede un continuo avvicendamento delle botti: l’invecchiamento dura da sei mesi a due anni e in questo periodo il legno trasmette al vino tutti i suoi aromi, tanto da esaurirsi nel giro di due-tre cicli. Considerato che le botti devono essere rinnovate periodicamente e non possono essere sostituite da contenitori in altri materiali, come acciaio e vetroresina, la produzione non accusa cali.
Perché è opportuno utilizzare botti di legno
L’invecchiamento in barrique è stato ideato per favorire la maturazione del vino tramite l’ossigeno che permea attraverso i pori del legno e la cessione di sostanze aromatiche da parte delle doghe di rovere, opportunamente tostato per rilasciare quelle fragranze delle quali è così ricco il vino barricato. Importantissima è la scelta del legname, che la Botti Gamba ricerca in specifiche foreste francesi.
Il ruolo del “merrandier”
Fondamentale è anche la capacità del “merrandier”, il legnaiolo, di ottenere tavole dai tronchi di rovere centenari, esclusivamente a spacco, per non interrompere la fibra del legno ed evitare trasudamenti di vino dalla botte. La tostatura, insieme alla provenienza del legno e alla stagionatura, rappresenta una fase importante del processo di produzione. È in questo stadio che si producono le vaniglie e molti degli aromi di frutta che si percepiscono all’olfatto e al palato. Essa comporta il riscaldamento dell’interno della barrique con un braciere per circa 40 minuti, necessari sia a fissare la curvatura della doga sia a degradare il patrimonio fenolico del legno. La rifilatura delle doghe, con la loro tipica forma a doppio trapezio, è opera di esperti bottai che sanno dare alle tavole le giuste inclinazioni per ottenere contenitori a tenuta stagna. l’esperienza viene affiancata dalla tecnologia che, con l’uso di speciali macchine accelera i processi di incisione e rifinitura con risultati qualitativi più costanti e aderenti alle esigenze della moderna enologia.
Per realizzare una botte di legno si parte dal fondo
Le assi che compongono il fondo sono maschiate, secondo le più recenti metodologie, per incastrarsi tra loro e rimanere solidamente unite durante le fasi di lavorazione. Il bottaio le sceglie in base alla misura mettendo le più corte all’esterno in modo da non sprecare il prezioso rovere nei punti dove lo scarto è maggiore.
Una macchina idraulica serra le tavole insieme fino a compenetrare le maschiature, premendo contemporaneamente dall’alto con un telaio che mantiene la planarità del pannello.
Un proiettore laser disegna sulle tavole un cerchio di luce per aiutare il mastro bottaio a centrare il pannello lasciando le parti difettose delle tavole nello scarto. Con un colpo di punzone di segna il centro, seguendo un apposito punto luninoso, come riferimento per le successive lavorazioni.
La catasta di pannelli di rovere viene avviata a un’altra macchina che ne leviga la superficie.
Il pannello si monta sul mandrino di questa speciale fresatrice ad asse verticale centrandolo rispetto alla bulinatura praticata in precedenza. La macchina è munita di molti pressori a molla che bloccano ogni singola asse al piano girevole senza permettere che le giunte si allentino.
Sul lato opposto della macchina è presente una fresa che taglia via il legno fino a lasciare un disco perfetto con il bordo intagliato a V. Il perimetro del fondo è destinato a incastrarsi nella capruggine, cioè l’intaglio praticato nelle estremità della botte, e a essere serrato solidamente dalla pressione dei cerchi.
Le doghe sono costituite da selezionato legno di rovere francese
Il legno da cui la Fabbrica Botti Gamba trae le doghe per le sue creazioni è ottenuto da due sole specie di rovere provenienti da ristrette aree di poche regioni francesi. Il legname viene attentamente selezionato dal produttore che seziona le doghe esclusivamente a spacco per non fendere le fibre. Il legno viene lasciato a stagionare all’aperto per anni affinché la pioggia, il sole, la neve e il gelo portino a compimento l’eliminazione delle componenti fenoliche e la maturazione dei tannini del legno. Le doghe grezze sono inserite in una macchina che le intesta e toglie lo strato ossidato.
La forma a doppio trapezio si ottiene con la rifilatura delle teste su una levigatrice a nastro con la quale si restringe la tavola alle estremità e si inclinano i fianchi per migliorare l’aderenza. è necessario comunque che le doghe si tocchino in corrispondenza dello spigolo interno. La compressione provocata dai cerchi provvede ad assestare ciascuna doga su quella adiacente garandendo la tenuta stagna.
Dopo la rastrematura, le tavole vengono poste a strati successivi su una pedana la cui larghezza corrisponde allo sviluppo di una barrique. Si alternano doghe larghe e strette fino a trovare una combinazione che copra esattamente la lunghezza in modo da ottenere botti dello stesso diametro.
Non è solo il rovere per il corpo delle barrique a essere curvato: anche i fondi dei tini e delle botti di dimensioni maggiori devono essere bombati verso l’interno per poter resistere alla pressione idrostatica del vino. Questa caratteristica richiede una particolare cura nella curvatura a caldo e nell’unione delle doghe che, a lavoro finito, risultano essere un settore di un’enorme sfera. Ancor più difficile è l’incisione della capruggine e la costruzione del fondo a forma di ellisse, tipica delle grandi botti piemontesi, settore in cui è richiesta una grande esperenza.
I cerchi
I cerchi che serrano le barrique sono ricavati da una piattina di ferro dolce, chiamata moietta, larga generalmente 60 mm per le piccole botti e 90-100 mm per le grandi, e lavorati su una calandra a rulli disassati per conferire loro una forma tronco conica. La giunzione è affidata a una doppia chiodatura eseguita con chiodi di ferro ribaditi a macchina.
Alla chiodatura segue una rifinitura a mano per eliminare tutte le sporgenze dei chiodi sul lato interno del cerchio che potrebbero raschiare sulle doghe e rovinare il legno durante le operazioni di calzatura. Il fabbro pone il chiodo sul foro dell’incudine e lo batte dall’interno del cerchio fino a far deformare localmente la lamiera.
Prima della cerchiatura finale le botti subiscono numerose lavorazioni che potrebbero rovinare la zincatura delle superfici metalliche. Per questo si usa un gran numero di cerchi in ferro “da lavoro”, saldati anziché chiodati, utilizzati per tenere insieme le doghe delle botti durante le operazioni di montaggio, serraggio con le corde, tostatura e levigatura. Solo alla fine vengono estratti con una speciale macchina e sostiuiti, uno alla volta, con i cerchi definitivi.
Come costruire una botte di legno passo dopo passo
Per capire come costruire una botte di legno occorre dire che si comincia da un cerchio su cui si pone un fermo di legno. Una dietro l’altra si appoggiano le doghe all’interno tenendole premute con una mano in modo che non cadano.
Al termine del “giro” si incastra l’ultima doga in maniera da chiudere esattamente lo spazio rimasto sul cerchio. Nel caso la tavola fosse eccedente o scarsa, se ne cerca una di larghezza più adatta.
Si monta un secondo cerchio nel punto più largo della barrique e si pone un bracere acceso all’interno del cono formato dalle doghe. Il calore del fuoco riscalda il legno rendendolo flessibile. Nel frattempo il bottaio bagna l’esterno della botte per inumidire il legno e facilitare la piegatura. Poi si avvolge una corda d’acciaio sulla base più larga e, con un verricello, si chiudono le doghe fino a ottenere una forma simmetrica. Si termina calzando un altro cerchio sull’estremità inferiore.
Il legno di quercia della barrique è il responsabile dei sapori e delle fragranze che assume il vino dopo l’invecchiamento. Lo sviluppo del sapore di vaniglia e del bouquet avviene con la tostatura del legno, in parte durante la curvatura delle doghe, in parte con un riscaldamento delle botti già assemblate.
Il riscaldamento avviene con braceri posti nelle barrique e alimentati con scarti della lavorazione delle doghe. Il coperchio metallico forato uniforma la trasmissione del calore e la temperatura del legno. Il processo dura circa 40 minuti.
L’assestamento delle barrique avviene in una prima fase a mano per ottimizzare la posizione delle doghe e dei cerchi, (da cui il detto “un colpo al cerchio e uno alla botte”). Poi, con questa speciale pressa, si possono togliere senza sforzo i cerchi da lavoro e calzare quelli definitivi in maniera controllata mantenendo un’esatta centratura del legname.
La rifinitura esterna avviene su uno speciale tornio attrezzato con grossi mandrini che calzano esattamente sul fondo e sulla bocca della barrique. Il braccio non è altro che una grossa levigatrice a nastro che scorre lungo tutta la superficie. L’operazione avviene in due fasi, spostando i cerchi, per raggiungere tutta la superficie della barrique.
Dopo la tostatura l’interno della barrique diventa di un nocciola più o meno intenso. Nella fase successiva una macchina apposita, munita di frese e dischi di taglio, ottiene in un unico passaggio la capruggine (la scanalatura che corre all’interno del bordo della botte) e la parte sporgente, detta pettine.
Il fondo si appoggia nella capruggine dopo aver allentato il cerchio in modo da far aprire leggermente le doghe.
Aiutandosi con un tubo ricurvo si fa salire il fondo fino incastrarlo nella scanalatura. Grazie all’elasticità delle doghe, il fondo scatta e resta bloccato nel suo alloggiamento.
Con un punzone si assesta l’ultimo cerchio in modo da serrare strettamente il fondo tra le doghe e fare in maniera che la chiusura sia stagna.
Sma è stata fondata nel 1960 da quattro esperti imprenditori del settore del mobile, SMA fin dall’inizio si è specializzata nella produzione di camere da letto e di soggiorni. Attualmente produce mobili dal design moderno, avvalendosi delle più avanzate tecnologie e di qualificati designer. La lunga esperienza, unita all’alta specializzazione delle maestranze, consente all’impresa di produrre mobili di alta qualità in un’area di circa 30.000 mq., di cui 20.000 coperti dallo stabilimento e dagli uffici.
L’intero ciclo produttivo viene realizzato all’interno della fabbrica per un maggiore controllo del prodotto. Grazie a questa scelta aziendale i prodotti dell’azienda sono molto apprezzati dal consumatore di fascia medio-alta. La felice ubicazione dell’azienda, situata nel maggiore polo industriale del nord-est italiano, permette di attingere facilmente alle migliori fonti di materie prime e alle novità tecnologiche che il settore propone, così da realizzare un perfetto rapporto qualità/prezzo. SMA è presente nelle principali fiere nazionali e internazionali ed esporta in tutto il mondo.
SMA è una industria a carattere produttivo-commerciale che da oltre 50 anni si impone sul mercato internazionale distinguendosi per il tratto “creativo”. L’obiettivo è di proporre un sistema completo di arredo notte e giorno di gusto contemporaneo. L’utilizzo di materiali naturali quali il legno, la pelle, i tessuti e le vernici atossiche ad acqua, rende i prodotti eco-compatibili e protagonisti di un ambiente che unisce l’eleganza al rigore funzionale. Proprio per la loro raffinatezza, unita alla funzionalità, i mobili SMA vengono richiesti da un pubblico esigente e colto, sensibile al valore estetico, alla cura per il particolare e ai materiali costruttivi. L’intero ciclo produttivo esclusivamente “Made in Italy” vanta della certificazione di qualità UNI EN ISO 9001/2008 e viene realizzato completamente all’interno dell’azienda.
Trapano/Avvitatore con tecnologia Autosense™ 18V Litio – ASD184K
Autosense è il trapano intelligente di BLACK+DECKER: quando avviti si regola automaticamente in base alla vite e alla superficie di lavoro. Vi è inoltre la possibilità, mantenendo premuto il grilletto, di microaffondamenti della vite con scatti da ¼ di giro. Autosense è dotato di un pratico selettore forare/avvitare con indicatore digitale dello stato di carica della batteria.
Seghetto alternativo Autoselect® 620W ad azione pendolare in valigetta – KS901SEK
Un prodotto potente, adatto ad una vasta gamma di applicazioni fai da te. Ottimo sistema di soffiaggio ed aspirazione esterna della polvere, per un ambiente di lavoro sempre pulito. Massima versatilità grazie alla speciale ghiera Autoselect®: selezionando l’icona corrispondente all’applicazione da realizzare l’utensile si regolerà con le più corrette impostazioni di taglio! Sistema di attacco rapido della lama senza accessori e luce LED di lavoro. Possibilità di tagli inclinati a 22,5 e 45°. La speciale lama “a pinna” consente di realizzare tagli dritti e accurati, mentre la protezione antischegge minimizza la fuoriuscita di schegge dalla superficie di lavoro, soprattutto in caso di tagli con alta intensità di pendolarismo.
Cosa include la confezione:
Seghetto alternativo Autoselect® 620W
Lama per taglio legno
Lama “a pinna” per tagli dritti su legno
Protezione antischegge
Valigetta
Caratteristiche tecniche:
Potenza
620W
Velocità a vuoto (corse/min)
1500-3000
Taglio inclinato
0 / 22.5 / 45°
Profondità di taglio – legno
90mm
Profondità di taglio – acciaio
8mm
Profondità di taglio – alluminio
15mm
Lunghezza corsa
19mm
Guarda il video della gamma di seghetti alternativi Black+Decker!
Corrediamo il lavabo vecchio stile di una colonna colorata in plexiglas che regge alcune mensoline portaoggetti
Il lavabo sospeso del bagno di servizio ci ha stancato con la sua aria troppo spartana e vogliamo coprire il sifone e lo scarico con una colonna lavabo fai da te? Un foglio di plexiglas (si scrive con una s non con due) colorato spesso 3 mm, due scarti rettangolari di plexiglas bianco, due listelli di legno, una tavola, due piattine di alluminio e due mensoline di bilaminato ci consentono di modernizzarlo in modo deciso. Lo strumento chiave per la realizzazione della colonna lavabo fai da te è la termopistola che con il suo soffio di aria molto calda ci permette di curvare i fogli di plexiglas.
Misurata l’altezza della parte da rivestire si taglia il plexiglas colorato per ottenere tre pezzi in modo che, messi uno sull’altro e inframmezzati dalle mensole, coprano esattamente la misura. Nel nostro caso il pezzo in basso risulta alto 270, quello di mezzo 100, quello di sopra 280 mm. Come sostegno posteriore del rivestimento e come ausilio nelle operazioni di curvatura prepariamo una struttura di legno fissando due listelli di sezione 20×20 mm a una tavola.
I listelli devono essere alti quanto l’intero rivestimento, mentre la tavola deve essere più bassa per la presenza a parete dei tubi dell’acqua e dello scarico del lavabo. Due piani in laminato, a cui abbiamo rivestito con bordino preincollato i fianchi grezzi, si inseriscono fra i fogli di plexiglas. La parte anteriore, curva, va completata chiudendo da tergo la fessura rimasta con due rettangoli di plexiglas bianco, anche questi curvati alla bisogna.
Colonna lavabo fai da te
Tracciamo sul pannello di plexiglas le linee lungo le quali vanno praticati i tagli. Se non abbiamo una sega circolare con lama adatta alla plastica, possiamo tagliare il plexiglas col cutter passandolo più volte sulle tracce aiutati da una riga metallica.
Il plexiglas, fissato con morsetti su un lato della struttura posteriore, va curvato con attenzione e gradualità scaldandolo con la termopistola passata ripetutamente lungo la linea mediana, sino a che l’estremità libera raggiunge l’altro lato della struttura, cui lo blocchiamo sempre con morsetti per completare e regolarizzare del tutto la piega.
I fogli piegati vanno fissati definitivamente ai lati della struttura posteriore con viti, dopo aver preforato il plexiglas. Sopra la giunzione si applica una piattina di alluminio, con alcune viti, che completa e abbellisce l’intera costruzione.
I piccoli piani intermedi vanno tagliati da un pannello di bilaminato spesso 18 mm e rifiniti lungo le linee di taglio impiallacciando con bordino termoadesivo fatto aderire alla parte grezza con il calore di un ferro da stiro.
Tutte le lavorazioni del plexiglas
La sostanza chimica chiamata PMMA (polimetilmetacrilato) è assai più nota con i nomi commerciali di Plexiglas, Perspex, Lucite, Vitroflex, Limacryl e Resartglass, tanto per citarne qualcuno. Si tratta di un materiale plastico estremamente trasparente (più del vetro stesso) infrangibile e anche biocompatibile, tanto che viene adoperato nella tecnica protesica, come ad esempio per le lenti intraoculari, la ricostruzione ossea e le otturazioni dentarie. è disponibile in lastre di vario spessore e anche in tubi.
Spesse lastre satinate diventano le ante di un armadio, i pannelli di una ringhiera o di un paravento, la chiusura di una nicchia o di uno sgabuzzino. Una lastra con i bordi lucidi può diventare un elegante vassoio con la semplice applicazione delle maniglie e di due angolari in alluminio. Ma con il plexiglas si possono costruire lampade da giardino, fioriere, portafoto, contenitori e tanti altri oggetti, visto che il materiale si lascia lavorare con grande docilità, anche se con qualche precauzione.
L’unica caratteristica negativa del plexiglas è rappresentata dalla superficie sensibile ai graffi e alle abrasioni, tanto che le lastre vengono rivestite con fogli protettivi autoadesivi per preservarne la lucentezza. Questa protezione della lastra va rimossa solo a lavoro ultimato, escluse le eventuali piegature a caldo, per le quali la pellicola protettiva va tolta preventivamente.
Gli utensili idonei per lavorare il plexiglas
Il plexiglas può essere facilmente lavorato con gli utensili usati per il legno o il metallo e curvato a caldo con un semplice phon, dato che si rammollisce oltre i 100 °C. Quando viene sottoposto a urti violenti o a repentini sbalzi di temperatura tende a scheggiarsi. Durante i tagli è necessario quindi utilizzare lame taglienti che non mettano in vibrazione il pezzo.
Abrasivi in pasta e polish, da usare a mano o con la cuffia d’agnello, servono per lucidare le superfici rifinite a raschietto, ma ancora opache.
La pistola ad aria calda raggiunge le temperature necessarie a rammollire il plexiglas fino a permetterne la piegatura.
Raspe, lime, tele abrasive e un raschietto affilato, utilizzati in questo ordine, eliminano tutti i segni del taglio preparando la superficie per la lucidatura finale.
Una sega da banco attrezzata con una lama al widia a dentatura fine permette di tagliare il plexiglas in modo preciso.
Incollature solidissime con gli adesivi acrilici. Il nastro adesivo serve per preservare dallo sporco le parti adiacenti all’unione.
La sega a pettine ha la dentatura abbastanza fine per tagliare rapidamente il plexiglas senza scheggiarlo. Bisogna avanzare con mano leggera per evitare che lo spigolo di uscita venga strappato dai denti della lama. Per migliorare la qualità del taglio si può utilizzare una coppia di tavolette strette esattamente lungo la linea di taglio da un paio di morsetti, in modo da avere un riferimento certo durante l’avanzamento.
Il taglio lungo una linea curva si può eseguire con lame sottili, sia a mano sia con il seghetto alternativo. In questo caso si adoperano apposite lame per materiali plastici o quelle per metalli a dentatura fine. Le forti vibrazioni impresse dal movimento dell’utensile possono rompere le lastre, quindi è necessario fissare il pezzo con morsetti o tasselli di legno.
La fresatura può servire sia a modellare e profilare, sia a eliminare gli eccessi di adesivo solidificato. Il plexiglas si lavora come il legno e bisogna avere l’accortezza di avanzare con passate leggere, procedendo in modo lento, ma costante, senza fermarsi a lama in movimento pena la “bruciatura” della superficie. La lavorazione ad alte velocità sovente produce un forte odore di acrilato, per cui è consigliabile operare in luoghi aperti o ben ventilati.
Un foro ne
l plexiglas rimane in vista anche nel punto più profondo. Per ottenere superfici levigate è necessario affilare accuratamente la punta elicoidale con una particolare attenzione alla lunghezza dei taglienti, che deve essere identica per evitare solchi spiralati, e agli angoli di spoglia, inferiori a quelli per i metalli per evitare che la punta affondi troppo velocemente nella plastica strappando le pareti dei fori. La realizzazione di pezzi in plexiglas di spessore sottile viene semplificata dalla perforazione simultanea di più lastre sovrapposte. L’avanzamento della punta deve essere regolare e lento: è preferibile usare un trapano a colonna.
Per aprire un grande foro in una lastra di plexiglas di grosso spessore è necessaria una sega a tazza a profilo continuo, preferibile a quelle con la lama intercambiabile interrotta. L’asportazione del truciolo mano a mano che si affonda nel materiale diventa più difficoltosa: è opportuno raffreddare con acqua per evitare di raggiungere il punto di fusione, attorno ai 150 °C, e causare il grippaggio dell’utensile.
La superficie del plexiglas dopo il taglio risulta opaca e rigata. Per renderla di nuovo lucida e trasparente bisogna utilizzare tele abrasive sempre più fini per poi terminare il lavoro con una politrice, una spazzola formata da numerosi dischi di tela cuciti insieme. Sulla superficie della spazzola viene stesa una piccola quantità di abrasivo in pasta che elimina in modo rapido i sottili solchi lasciati dalle tele. Si può ottenere una lucidatura perfetta con abrasivi liquidi da passare con l’aiuto di uno straccio pulito.
Lo spigolo è la parte meno regolare delle lastre e può risultare scheggiato dal taglio. Particelle taglienti si eliminano con un raschietto provvisto di intagli dai bordi affilati. Con il lato liscio si regolarizza la parte centrale della lastra e si eliminano i sobbalzi che renderebbero irregolare l’azione dell’altro lato della lama. Passando sul bordo della lastra la parte a V del raschietto si asportano simmetricamente le sbavature su entrambi gli spigoli. Con più passate si ottiene uno smusso profondo utile a rendere più sicuro il bordo. Con la tela abrasiva si riescono a ottenere spigoli arrotondati.
Il plexiglas rammollisce se portato a temperature oltre i 100 °C. È quindi sufficiente un potente asciugacapelli o una pistola ad aria calda per modificare la forma della lastra: bisogna usare con cautela queste ultime dato che il polimero bolle a 200 °C e si rischia di rovinare la trasparenza del pezzo. Con l’aiuto di un oggetto dalla forma regolare, come un tondo di legno levigato, si piega il foglio riscaldato mantenendolo in posizione fino a che non si sia raffreddato.
Acquista gli utensili per realizzare questa costruzione
Una composizione a moduli di due colori che può cambiare aspetto e proporsi in più configurazioni per essere utilizzata in modo differente a seconda delle esigenze estetiche e pratiche.
Questo tavolo modulare è l’esempio classico di come il fai da te risulti fondamentale per ottenere esattamente ciò che si vuole. Proviamo a immaginare il tavolino da salotto non come un complemento d’arredo stabile e definito, ma come un insieme di parti che, scomposte e ricomposte, ci permettano di avere una struttura di altezza, larghezza e forma variabile, fino a sdoppiarla per avere due elementi anziché uno solo, a nostro piacimento e misura.
Il tavolo modulare fai da te si sviluppa dalla replica in serie di un modulo base di MDF, una sorta di scatola che misura 520x520x130 mm, aperta da un lato per contenere giornali, telecomandi, DVD o altri oggetti simili. Non è il caso di avventurarsi in incastri o spinature, l’assemblaggio delle parti con colla e chiodini si rivela più che sufficiente allo scopo.
Per realizzare il tavolo modulare possono bastare 4 moduli, ma un quinto ci amplia ulteriormente il numero delle configurazioni possibili: non sono vincolati in alcun modo, vengono semplicemente affiancati e sovrapposti di volta in volta. Solo nel caso si voglia ottenere un ampio piano come quello visibile in questa foto bisogna per forza unirli per avvitatura. L’idea di rifinire i moduli con due tonalità di colore contrastanti, in linea con gli arredi, amplifica la versatilità di questo tavolo modulare: una stessa forma assume un aspetto differente a seconda della sequenza cromatica orizzontale e verticale. Ma, ovviamente, si può scegliere qualsiasi altra finitura.
Possibili combinazioni del tavolo modulare fai da te
Una composizione apparentemente casuale dà origine a diversi piani d’appoggio posti su più livelli.
Il quinto modulo fornisce diverse possibilità di allestimento, sia come forme componibili sia come accostamento dei colori; le aperture possono rimanere tutte rivolte verso il divano, se si vuole un profilo esterno più lineare, o in parte anche sugli altri lati.
Utilizzando solo 4 moduli si può scegliere se formare un tavolino unico…
… o due indipendenti: l’alternanza dei colori dà movimento.
Cosa occorre per costruire un tavolino modulare fai da te:
MDF da 12 mm: 2 pezzi (A) da 520×520 mm, 2 (B) da 106×520 mm, (C) da 106×496 mm.
carta vetrata
chiodini 1,4×35 mm
colla vinilica
cementite
smalto in due colori
Solo per il tavolo quadrato: un pannello di MDF (D) da 12x800x800 mm; viti Ø 4×20 mm
La costruzione di un singolo modulo
Per disporre di una guida di montaggio sicura appoggiamo uno dei pannelli A sul piano di lavoro e incastriamolo tra due listelli che avvitiamo provvisoriamente al piano stesso.
Sfiliamo il pannello e fissiamo ai due listelli i lati B con morsetti, ben appoggiati al piano di lavoro; stendiamo un filo di colla sul bordo superiore e appoggiamovi, ben allineato, uno dei pannelli, sul quale abbiamo preinserito i chiodini lungo il perimetro, su tre lati, in corrispondenza di una linea tracciata a matita a 6 mm dal bordo.
Conficchiamo i chiodini mantenendoli in verticale, così che rimangano perfettamente al centro dello spessore dei lati.
Resta da collegare il lato C per completare il perimetro: stendiamo la colla sul bordo superiore, poi solleviamo un poco la struttura e incastriamo il pezzo tra i lati B, controllando l’allineamento. Premiamo l’insieme sul piano.
Stabilizziamo l’incollaggio con una coppia di chiodini, poi eliminiamo la colla in eccesso con un panno umido.
Capovolgiamo la struttura e, sempre mantenendola tra i listelli guida, completiamo il modulo con l’altro pannello A, anch’esso incollato e inchiodato.
Estraiamo dalle guide il modulo completato e rinforziamo il collegamento dei lati al dorso con un chiodino per parte che attraversi B e vada a conficcarsi nello spessore di C.
Con una passata di levigatrice uniformiamo tutti i bordi di collegamento tra le parti, eliminando eventuali scalini.
Stendiamo dapprima una mano di fondo, carteggiamo e applichiamo due mani di smalto. Il rullino ci permette una finitura uniforme e di stendere la finitura anche sulle facce interne. La faccia esterna del pannello inferiore va lasciata grezza, per evitare che, impilando i moduli, possano incollarsi.
Disposizione a tavolino con una sola gamba
Per questa configurazione occorrono 5 moduli: uno fa da base, in posizione centrale, gli altri 4 sono disposti a correre, con un’apertura su ciascun lato, alternando i colori. Tra base e piano viene inserito il pannello D di collegamento, al quale vanno avvitati i moduli affinché il tavolino risulti stabile.
Sul pannello, in posizione centrale, tracciamo il perimetro del modulo di base; più all’interno di 6 mm dalla tracciatura riportiamo le linee di riferimento per inserire le viti. Teniamo questa faccia rivolta verso l’alto, appoggiamo il pannello sul modulo base e, aiutandoci con il metro, centriamolo esattamente su di esso. Inseriamo le viti da sopra.
Componiamo il piano a terra, con la faccia grezza rivolta in alto: tracciamo due diagonali e, con questo riferimento, centriamo il pannello con la base avvitata, facendo coincidere i suoi angoli con le diagonali.
Inseriamo una vite al centro di ciascun angolo, più due in posizione centrale su ciascun lato.
Disposizione a scala asimmetrica
L’MDF ha un certo peso, per cui i moduli risultano abbastanza stabili per semplice appoggio anche se si realizzano composizioni sfalsate. Possiamo iniziare disponendo due moduli ben allineati (1), con le aperture rivolte all’interno per avere un perimetro chiuso; su questi centriamo un terzo modulo affiancato da un quarto che rimane a sbalzo sui precedenti (2), questa volta con le feritoie rivolte all’esterno, su un lato a scelta. Il modulo a sbalzo risulterebbe abbastanza precario, ma la sovrapposizione di un quinto modulo, centrato sui precedenti (3), ha un peso sufficiente a restituirgli stabilità. Qui i moduli risultano sfalsati lateralmente, ma allineati verso l’esterno: nulla toglie che si possa ridurre lo sbalzo laterale sfalsando i moduli anche sugli altri lati, ottenendo una struttura ancor più complessa e originale.
Combinazioni verticali
Essendo i lati B e C racchiusi tra i pannelli A, ciascun modulo risulta esattamente alto 1/4 della larghezza (106+12+12=130): questo ci permette di ottenere una struttura uniforme composta da 4 moduli sovrapposti affiancati a un quinto disposto in verticale, utilizzabile come portalibri o portariviste.
Quattro moduli impilati formano un cubo perfetto: l’unica variante geometrica è data dalla posizione delle aperture, in linea o sfalsate.
Mentre la configurazione precedente ha un’altezza ideale per la collocazione a lato del divano, quella composta da tre soli moduli si presta meglio per essere posizionata frontalmente.
Eccentrica, ma d’effetto, la disposizione dei moduli sfalsati di 45° a salire: il risultato è una forma alquanto spigolosa, dove però i moduli dello stesso colore risultano allineati.
Editoriale tratto da Rifare Casa n.39 di Maggio-Giugno 2015
Autore: Nicla de Carolis
Ansiosi di poter finalmente vedere le meravigliose soluzioni dell’EXPO 2015, studiate per la sostenibilità ambientale e coerenti con lo spirito dell’importante progetto Nutrire il pianeta, Energia per la vita (andiamo in stampa prima dell’inaugurazione), parliamo di due progetti già realizzati che, all’insegna della sostenibilità, producono risultati concreti davvero interessanti. La prima è la Fattoria della Piana, cooperativa di allevatori per la produzione lattiero-casearia nata nel 1936, una delle più grandi realtà del settore in Calabria con i suoi formaggi freschi e stagionati prodotti sia con tecnologie all’avanguardia sia con secolari ricette di caseificazione. Questa azienda ha ricevuto il premio Sviluppo Sostenibile 2013, scontrandosi con importanti multinazionali, per la sua centrale di produzione biogas che le consente di essere energeticamente autonoma (con una potenza elettrica generata di 998 kW) e totalmente ecosostenibile. Il biogas si ottiene con la fermentazione di letame e liquame, provenienti dalle stalle, unitamente al siero residuo delle lavorazioni del caseificio. I resti della fermentazione diventano poi concime organico per le coltivazioni di foraggi, che alimenteranno gli allevamenti. L’impianto, costato 4 milioni di euro, permette di aiutare le aziende del territorio a smaltire gli scarti alimentari e zootecnici, nonché di ricavare 2 milioni l’anno dalla vendita dei chilowatt eccedenti. Ma non basta… le stalle sono coperte di pannelli fotovoltaici ed è attivo anche un impianto di fitodepurazione, per purificare l’acqua. Un ecosistema completo, un esempio perfetto di economia circolare, incentrata sul riuso e il riciclo che, come vorrebbe il piano strategico dell’Unione Europea per il settennato 2014/2020, dovrebbe farci superare l’attuale economia lineare, basata sulla produzione di scarti (www.fattoriadellapiana.it). Un’altra realizzazione meno complessa, ma altrettanto entusiasmante e, in più, romantica, è quella dell’albergatore brianzolo Andrea Camesasca che ha deciso di recuperare l’antico Molino del Baggero, uno dei tanti della sua zona, situato a Merone in provincia di Como, sul fiume Lambro, trasformandolo in una piccola centrale idroelettrica. Attraverso un moltiplicatore di giri e un alternatore, la ruota del mulino, mossa dall’acqua, genera energia elettrica pulita, per circa 8 kW di potenza che contribuiscono ad alimentare il fabbisogno del suo hotel (www.casadelmulino.com). Realtà sorprendenti, una al sud e l’altra al nord, che dimostrano come, volendo, anche senza clamore, si possano mettere in piedi progetti veramente sostenibili.
Una soluzione innovativa, ma al tempo stesso di chiara ispirazione classica per il rivestimento delle pareti è certamente Elastolith, il mattone flessibile.
Elastolith va a riprodurre fedelmente l’impareggiabile effetto del mattone classico, pur garantendo una serie di vantaggi che lo rendono più duttile del mattone tradizionale. Composto per il 92% di quarzite naturale, strizza un occhio alla sempre crescente richiesta di materiali ecologici e a basso impatto ambientale. Caratteristiche di Elastolith Prodotto di origine olandese con una storia ultraventennale, Elastolith è distribuito in esclusiva in Italia dalla Lavatelli Srl. Si presenta sotto forma di sottili listelli da abbinare ad un adesivo monocomponente e pronto all’uso. E’ disponibile in due varianti, una per utilizzo indoor ed una seconda per utilizzo outdoor. Elastolith è disponibile in varie colorazioni che spaziano da un elegante bianco, a delle più classiche tinte di rosso, includendo anche tonalità di giallo sabbiato ed antracite. Alle colorazioni del mattone si abbinano 4 colorazioni di adesivo per trovare la combinazione giusta per ogni ambiente. Elastolith – Lavatelli
Differenze di Elastolith dal mattone classico
Elastolith si contraddistingue dal mattone classico per facilità ed ampia possibilità di utilizzo dovute ad una serie di caratteristiche insite nel prodotto:
I listelli possiedono un ridotto spessore, il che permette di utilizzare Elastolith in diversi ambienti ed in soluzioni impossibili da realizzare con il mattone classico. Inoltre si limita al minimo la perdita di spazio, specie negli ambienti interni della casa.
Il basso peso è un fattore chiave, dal momento che facilita tutte la fasi del lavoro, dal trasporto alla posa, senza dimenticare che, strutturalmente, va ad incidere in misura minima sulla parete o superficie di posa.
La flessibilità, caratteristica primaria del prodotto, ne permette l’applicazione su superfici curve ed angoli, senza dover acquistare necessariamente i costosi pezzi speciali angolari. Ogni listello si flette fino a formare un angolo massimo di 90°.
La semplicità di posa, anche per i più inesperti, la resistenza, l’ampio ventaglio di possibili utilizzi, i ridotti sprechi, fanno di Elastolith un prodotto unico e rivoluzionario.
Come applicare Elastolith
Il mattone Elastolith, disponibile nella dimensione 210x50mm può essere applicato sia in ambienti interni che esterni, su pareti interne, su muri di partizione in cartongesso, su superfici in pietra o cemento, su sistemi di isolamento a cappotto. La variante per esterni garantisce resistenza alle intemperie, a temperature comprese fra i -35°C ed i +100°C, resistenza ai raggi UV, mentre entrambe le varianti risultano non infiammabili ed autoestinguenti. Classificazione B1 secondo la norma DIN 4102. Per applicare Elastolith occorrono dei semplici accorgimenti e pochi strumenti facili da reperire. L’applicazione è possibile su tutte le superfici sane, pulite, asciutte e livellate, con minima o inesistente capacità di assorbire acqua. L’attrezzatura necessaria consiste in una spatola dentata da 4-5mm, un paio di forbici o un cutter, una livella, un pennellino da 8-12mm e dell’acqua.
Per applicare il prodotto bisogna prendere le misure e predisporre i listelli facendo attenzione ad eventuali angoli, curve od interruzioni, sagomando tutti i listelli da utilizzare.
La prima fase di applicazione prevede la stesura dell’adesivo per un’area non superiore ad 1metro quadro.
Successivamente vanno applicati i listelli facendoli aderire perfettamente alla superficie sottostante e lasciando delle giunture di 8-12mm
Infine si procede con la spianatura delle fughe. E’ sufficiente bagnare a sufficienza il pennellino e passarlo tra i listelli in modo da rimuovere l’adesivo in eccedenza. I bordi dei listelli devono essere ben suturati con l’adesivo. Sarà l’adesivo stesso a fungere da stucco, viene così eliminato un passaggio solitamente necessario con altri prodotti. Si può procedere successivamente con l’applicazione di ulteriori metri quadri fino a terminare il lavoro.
In ultimo, il lavoro va coperto in modo che in fase di asciugatura non entri a contatto con acqua. La tempistica di asciugatura dipende dall’ambiente e dalle condizioni climatiche e può andare da un minimo di tre giorni ad un massimo di una settimana.
Consigli utili Durante l’applicazione di più di 1 metro quadro si consiglia di prelevare i listelli dalle diverse confezioni per ottenere maggiore omogeneità. Si consiglia sempre di pretrattare la superficie con un primer universale. Non conservare ed applicare il prodotto a temperature inferiori ai 5°C. Listelli disponibili in vendita in confezioni da 1 metro quadro, adesivo disponibile in confezioni da 5 kg o 15 kg. L’adesivo necessario per l’applicazione di 1 metro quadro corrisponde a 2,5 kg.