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AR Blue Clean 4.1 Wi-TOUCH | Tanta potenza e massimo controllo

AR Blue Clean 4.1 Wi-TOUCH è un’idropulitrice con doppio gruppo pompa-motore e Wi-Touch System, il sistema tecnologico progettato e brevettato da Annovi Reverberi che consente di modulare le performance direttamente dalla pistola tramite il Power Change, ottenendo così il massimo risultato, risparmiando tempo ed energie

Con l’evoluzione tecnologica, anche uno strumento apparentemente semplice come l’idropulitrice può aumentare sensibilmente le sue prestazioni, la sua versatilità e la semplicità di utilizzo. Tutto questo si può facilmente rilevare sull’AR Blue Clean 4.1 Wi-TOUCH, un’idropulitrice che fa parte della gamma DTS (Dualtech Tecnology System), il sistema tecnologico ad alta pressione brevettato Annovi Reverberi che include due gruppi pompa-motore (2 Power Units) nel dispositivo.

Grazie a questo, le performance sono raddoppiate, la forza e l’estensione del getto sono ottimizzate e la portata può arrivare a 810 l/h, il doppio rispetto a quella media di una idropulitrice home&garden. Il raggio d’azione del getto può raggiungere i 5 metri di distanza, per pulire con facilità anche le superfici molto estese in altezza.

Pressione massima 150 bar; portata massima 810 l/h; potenza assorbita 2,5 kW
 
 
Pistola Wi-TOUCH con prolunga
 
Schiumogeno alta pressione
 
Porta accessori integrato
 
 
Twin Nozzle, per velocizzare la pulizia di ampie superfici
 
In dotazione un tubo ad alta flessibilità lungo 8 m
 
Selettore ergonomico di controllo Wi-TOUCH mode
 
 
Manico telescopico con ganci per appoggiare la lancia orizzontalmente
 
Nel raccordo rapido di ingresso vi è un filtro dell’acqua ispezionabile

WI-TOUCH SYSTEM è l’innovativo sistema di controllo a distanza per idropulitrici progettato e brevettato da Annovi Reverberi che consente, abbinato al sistema tecnologico DTS, di modulare le performance dell’idropulitrice direttamente dalla pistola attraverso il “power change”. Grazie alla leva si controlla il passaggio tra modalità ECO soft cleaning, adatta alla pulizia di veicoli, staccionate, mobili da giardino, tende da sole e superfici delicate, e FAST cleaning, utile per le superfici più estese e per eliminare lo sporco più profondo da pavimentazioni di pietra o cemento, muri, rivestimenti e attrezzature.

Power For All 18V Alliance di Bosch | Nuovi seghetti più facili e performanti

Forte impulso di rinnovamento con due nuovi modelli a batteria Power For All 18V Alliance potenti e semplici nell’utilizzo, con tutte le carte in regola per collocarsi come alternativa ai modelli con motore a 220 V e come elettroutensili di riferimento nelle rispettive gamme Easy e Universal

Nel 1944 nasceva il seghetto alternativo e da allora questo immancabile elettroutensile si è diffuso in ogni laboratorio, entrando a far parte della dotazione di qualsiasi artigiano che lavori con legno, plastica e metalli, ma anche in quella di tutti i fardasé. Utilità, versatilità, sicurezza e facilità di utilizzo sono i motivi del successo del seghetto alternativo, uno degli strumenti più ampiamente diffusi dopo il trapano. Da sempre, i seghetti alternativi Bosch sono stati un punto di riferimento a tutti i livelli, dal settore consumer a quello professionale, e oggi sono al lancio due nuovi modelli alimentati con batterie della famiglia Power For All Alliance, capaci di alzare ulteriormente l’asticella con caratteristiche di primaria importanza.

Pur inserendosi nella gamma Easy e Universal della casa tedesca, infatti, i dati di targa e le potenzialità di queste due nuove macchine sono paritetici rispetto ai modelli più performanti, alimentati con corrente elettrica 220 V, della stessa categoria. EasySaw 18V-70, in pratica si colloca al livello del PST 650, un modello di grande successo, il più venduto in merito al rapporto qualità/prezzo. UniversalSaw 18V-100 si allinea sulle posizioni del PST 700 e del PST 800.

Entrambe le nuove macchine sono alimentate con batterie Power For All 18 V Alliance, compatibili con un grande numero di elettroutensili per il laboratorio, la casa e il giardino. Sono adatte per tagliare il legno nelle sue varie declinazioni, laminato, compensato, OSB, listelli, pallet ecc, ma anche alluminio, metalli e materie plastiche in genere. Il modello EasySaw 18V-70 ha una profondità massima di taglio di 70 mm; UniversalSaw taglia spessori sino a 100 mm.

EasySaw 18V-70

EasySaw 18V-70 è compatto e leggero; con il rivestimento SoftGrip sull’impugnatura e sulla parte frontale consente un’ottima presa; a questo si aggiungono l’interruttore di sblocco e l’interruttore di avviamento che rendono semplice a destrorsi e mancini effettuare i tagli più impegnativi, come quelli smussati, con il piedino inclinato a 45°.
Completano il quadro della grande semplicità di utilizzo che contraddistingue questo modello, l’avvio soft del motore, le vibrazioni notevolmente ridotte, grazie a un sistema di contrappesi, e il miglioramento del sistema di attacco SDS delle lame, ora molto più fluido. Con la funzione soffiatrucioli, durante il taglio rimane sempre perfettamente visibile la marcatura da seguire. Alla base dell’impugnatura una serie di led indicano lo stato di carica della batteria; l’attacco standard per aspiratori permette tagli puliti anche con legni di elevati spessori.
 
 
 

Dati tecnici

  • Numero giri a vuoto 0-2600
  • Profondtà taglio legno 70 mm
  • Profondità taglio alluminio 15 mm
  • Profondità taglio metallo 6 mm
  • Peso senza batteria 1,3 kg
  • Peso con batteria 1,7 kg
  • Dotazione lama (1) T144D

Il seghetto alternativo EasySaw 18V-70 ha un prezzo consigliato per il pubblico di euro 69,99 (senza batteria e caricabatteria)

UniversalSaw 18V-100

Il seghetto alternativo UniversalSaw 18V-100 offre tutti i vantaggi e le peculiarità del modello EasySaw, cui aggiunge la maggiore potenza, che gli permette un più elevato spessore di taglio, ma anche la presenza della funzione pendolo che permette di avanzare meglio e più velocemente proprio con i materiali più spessi.
Inoltre, con questo modello è inclusa una dotazione più ricca, che include 4 accessori. La protezione antitrucioli, uno schermo da applicare frontalmente per convogliare meglio la polvere quando si usa l’aspiratore. L’accessorio CutControl, un grande aiuto per seguire con precisione la marcatura nei tagli rettilinei, mediante un’estensione frontale che funge da collimatore. La protezione antischeggia, per un taglio con bordi senza scheggiature sul lato superiore. La copertura piedino, una protezione da applicare sotto la piastra d’appoggio quando si lavorano superfici molto delicate, evitando in questo modo do rovinarle.
 
 
 

Dati tecnici

  • Numero giri a vuoto 0-2600
  • Profondità taglio legno 100 mm
  • Profondità taglio alluminio 18 mm
  • Profondità taglio metallo 8 mm
  • Peso senza batteria 1,6 kg
  • Peso con batteria 2,0 kg
  • Dotazione lame (2) T144D

Il seghetto alternativo UniversaSaw 18V-100 ha un prezzo consigliato per il pubblico di euro 89,99 (senza batteria e caricabatteria)

Kit per la rigenerazione di filetti Fervi | Per quel bullone che non tiene più

Vediamo come funziona e cosa contiene questa scatola “magica” che permette di rigenerare diverse misure di filetto. La procedura prevede l’allargamento del foro per inserire un inserto filettato che riporta il pezzo in lavorazione allo stato di origine; capace quindi di ricevere l’avvitatura della vite o del bullone che c’erano o di tipo identico

Una delle cose che teme di più chi svolge lavori di manutenzione e riparazione meccanica è il cedimento del filetto femmina, ovviamente non quando si tratti di un dado, ma quando si trovi nello spessore di una parte costituente un oggetto. La soluzione di allargare il foro per filettarlo alla misura superiore impone di aumentare pariteticamente la taglia del bullone e, se anche la manovra fosse consentita dalla conformazione degli accoppiamenti, quasi sempre il risultato non è valido esteticamente.

Come soluzione definitiva per questo genere di problemi, Fervi mette a catalogo una nutrita gamma di kit per la rigenerazione di filetti, capaci di fronteggiare tutte le più frequenti situazioni. Abbiamo provato il Kit riparazione filetti metrici F-Coil art. E010 che contiene 5 set completi per la rigenerazione di altrettante misure di filetto: M5, M6, M8, M10 ed M12.

Per ogni misura ci sono gli utensili necessari per l’intervento; sono una punta per trapano, un maschio, un utensile di montaggio e un attrezzo di rottura, più un certo numero di inserti filettati inox. Per svolgere il lavoro serve un trapano, possibilmente a colonna in modo da forare correttamente, e un giramaschi, non incluso nel kit.

La procedura inizia allargando il foro che presenta il filetto spanato, per eseguire una nuova filettatura di dimensioni maggiori; la fase è propedeutica per poter rigenerare il filetto con l’avvitatura di un inserto che riporta il diametro del foro alla misura originaria, ivi compresa la filettatura metrica. In questo modo il pezzo può ricevere il bullone originale, se non danneggiato, oppure uno identico nuovo.

Tutto ciò che serve per la riparazione

Il Kit riparazione filetti metrici F-Coil E010 è adatto alla rigenerazione delle filettature M5, M6, M8, M10 ed M12. Fornisce 5 punte HSS (Ø 5,2 – 6,3 – 8,3 – 10,4 – 12,4 mm), 5 maschi (M5x0,8 – M6x1,0 – M8x1,25 – M10x1,5 – M12x1,75), 5 utensili di montaggio e 5 attrezzi di rottura di misure adeguate, infine gli inserti filettati inox, che sono 25x nelle misure da M5, M6, M8, M10, e 10x nella misura M12. Attualmente il kit art. E010 è in promozione al prezzo di euro 122,00.

Una procedura semplice e intuitiva

Tempo richiesto: 1 ora

 

  1. Verificare il diametro

    Anche se non si hanno dubbi, è sempre meglio verificare il diametro del filetto che si è spanato.

  2. Allargare il foro

    Sulla base della misura presa, si sceglie la punta del kit con il valore superiore più vicino e si allarga il foro nel pezzo da riparare.

  3. Filettare il foro

    Si filetta il foro appena allargato scegliendo il maschio in dotazione abbinato alla punta utilizzata al passo precedente. Un goccio d’olio aiuta l’azione di filettatura.

  4. Regolare l’arresto di profondità

    Si regola l’arresto di profondità con la chiave a brugola in dotazione, in modo che la parte superiore arrivi perfettamente a filo piano.

  5. Avvitare l’inserto filettato

    Si avvita l’inserto filettato corrispondente alla filettatura eseguita mandandolo a fondo sino allo scontro dell’arresto di profondità.

  6. Rimuovere l’estensione trasversale

    Con l’attrezzo di rottura si rimuove l’estensione trasversale che permette all’inserto di essere posizionato avvitandolo, ma ostruisce su un lato l’imboccatura dell’inserto; si ottiene così la totale pervietà, necessaria per il libero accesso della vite.

Carrello per camper fai da te

Utilissimo per i trasporti giornalieri quando si è nell’area attrezzata, il carrello per camper fai da te si ripiega per occupare il minimo spazio per la sistemazione nel gavone

La combinazione di persona fardasé e di “camperista” è una di quelle più esplosive. I camperisti, infatti, costretti a svolgere innumerevoli mansioni di natura ordinaria e, spesso, straordinaria, sono fortemente inclini alla manualità e hanno sempre nuovi motivi per mettersi all’opera con invenzioni pratiche e funzionali. A dimostrarci questo teorema è Luciano Mazzucco, che ci presenta il suo progetto di un carrello per camper fai da te per trasportare, dal veicolo al punto di scarico del campeggio, la tanica delle acque scure.

È una manovra da fare una volta al giorno; si tratta di spostare una tanica, da tenere orizzontale, pesante circa 15-16 kg, per un tratto di strada variabile (dipende da dove è posteggiato il van rispetto al punto di scarico del campeggio). Il progetto prevede la costruzione di un carrello per camper fai da te che sia leggero, interamente ripieghevole (sul camper lo spazio non è mai sufficiente), con ruote grandi abbastanza per non fare fatica nei terreni accidentati e ghiaiosi e, soprattutto, che permetta di trasportare la tanica orizzontale.

Ingegnoso e in perfetto stile fardasé il sistema di ripiegamento delle ruote, che coinvolge l’asse, e quello delle staffe di contenimento della tanica; entrambi riducono al minimo l’ingombro del carrello per riporlo nel gavone dopo l’uso. Singolare il sistema di giunzione del telaio, fatto con tubi a sezione rettangolare di alluminio, attuato con listelli di legno e viti.

Uno spezzone di barra filettata si fora trasversalmente due volte: la prima, all’estremità, per il passaggio di una vite che la incerniera alla traversa di alluminio; il secondo foro, più piccolo, va fatto dopo aver avvitato, sino al contatto con la traversa, un dado e serve per inserire un chiodo da ribattere per bloccare il dado sul posto.
Con la sagomatura data al terminale della traversa d’alluminio si ottiene un asse che può ruotare attorno alla vite, ma vincolato fra due scontri: la sua posizione rispetto alla traversa può essere in linea (angolo di 180°) oppure chiusa ad angolo retto (90°).
Per tenere ferma la ruota in posizione di lavoro si usa un elastico da tirare fra una piastrina con gancio, fissata all’asse, e un piatto di alluminio sagomato in modo che anche questo pezzo sia contestualmente costretto alla posizione eretta; la sua funzione è di contenimento della tanica.

Giunzioni di testa con viti e legno

Si fa un foro passante il tubolare 1, di diametro sufficiente per il passaggio della vite; poi, sul lato esterno lo si allarga, per far passare il cacciavite. La vite a testa piatta che si inserisce nel tubolare 1 va a mordere il legno inserito a forza all’interno del tubolare 2, da unire. Inserendosi, la vite provoca un’espansione sufficiente al bloccaggio dell’insieme.
 

Più robusto così

Un pannello di plastica rigida, tagliato di identica misura rispetto al telaio, si avvita ai tubolari sottostanti, ottenendo grossi vantaggi in termini di robustezza, rigidità e solidità delle giunzioni del carrello. Le misure di questo pannello si stabiliscono con certezza a telaio allestito.

Progetto di Luciano Mazzucco

Fascino di pietra e mattoni vs facilità di cartongesso

Tratto da “Far da sé n.526 – Agosto/Settembre 2022″

Autore: Nicla de Carolis

Le prime costruzioni in pietra risalgono a circa due milioni di anni fa, erette dall’Homo abilis nell’Africa orientale; la storia della muratura in laterizio è invece molto più recente, si parla del 5000 a. C. con gli Assiro-Babilonesi e poi gli Etruschi, i Greci e i Romani ovviamente. Gli esempi del passato ci fanno venire i brividi quanto a imponenza delle costruzioni, se si considera che non c’era nessun aiuto in termini di energia e si poteva contare solo sulla forza umana e degli animali. Ma lo stupore deriva anche dalla progettazione ingegneristica e dall’estetica.
Certo non si dovevano ottimizzare i tempi dei cantieri, la manodopera era abbondante e prima del consumismo, che prevede l’obsolescenza programmata del prodotto anche in edilizia, tutto era progettato e costruito per durare il più possibile. Anche solo analizzando case modeste e più recenti (‘800 e inizio ‘900) realizzate
in mattoni pieni o in sassi raccolti per liberare i terreni agricoli, ci si rende conto di come questi edifici abbiano mantenuto intatto il loro fascino elegante pur nella semplicità di struttura e materiali.
Ma venendo alla realtà di oggi nessuno penserebbe più di utilizzare questi materiali, in particolare progettando una ristrutturazione di un appartamento, per fare una tramezza o rifare un bagno. Il sistema preferito è quello a secco con lastre in cartongesso e profilati, pezzi facili da trasportare, impianti che corrono tra le lastre senza dover fare tracce, superfici già lisce con poche fasi di rifinitura, possibilità di mettere all’interno del sandwich un isolante, un lavoro che sporca meno di quello con malta e mattoni.
Quindi nel dossier da pag. 12 troverete tutte le indicazioni per affrontare questa tecnica costruttiva a secco, ottima nella maggior parte dei casi e alla portata di un fardasé. Ma la creatività di chi fa da sé non può certo prescindere dall’utilizzare una muratura tradizionale, dal conoscere caratteristiche, tipi, usi di laterizi e blocchetti in gasbeton, di malte per unirli e intonacarli, di come si realizzano le scanalature per le guaine elettriche. Tante informazioni utili per chi non le sa e un ripasso per chi è quasi un muratore/cartongessista provetto!

Vaso fai da te in ferro con pareti trapezoidali assemblato con ribattini

Diverse le varianti possibili per la realizzazione di questo vaso fai da te in ferro, sia per l’utilizzo o meno di attrezzature elettriche, sia per il sistema di giunzione, che si può fare anche con rivetti o saldatura ad arco; possibili varianti anche per la presenza o meno dei piedini sferici e per la finitura ferro antico oppure effetto Corten

Come spesso succede, la costruzione di un oggetto può essere eseguita in diversi modi; nel caso di questo vaso fai da te in ferro, sin dai primi momenti della marcatura e del taglio dei pannelli di lamiera, si possono seguire strade differenti, usando utensili manuali o elettrici per i tagli e la smerigliatura dei bordi, mentre in seguito, per il fissaggio dei pezzi, si possono usare sistemi di fissaggio meccanici oppure usare una saldatrice. Il progetto, quindi è aperto alla fattibilità da parte di tutti, sia chi è attratto dalla lavorazione del ferro, ma non è ancora molto attrezzato con macchine specifiche, sia chi ha un laboratorio fornitissimo per queste lavorazioni. Vedremo come possono essere utili anche attrezzi comuni, capaci pure loro di velocizzare il lavoro.

Come sempre, il progetto che proponiamo è sostanzialmente uno spunto che offre ampie possibilità di personalizzazione, modificandone le dimensioni, ma anche la forma. Per la realizzazione è necessario tagliare la lamiera e l’angolare, aprire qualche foro, fare le giunzioni dei pezzi, con tutte le possibili varianti di procedura. Oltre a immancabili utensili come pinze, metro, squadra, martello e qualche morsetto, di seguito elenchiamo gli strumenti necessari a seconda della modalità operativa scelta.

– Tagliare con strumenti manuali

Il taglio della lamiera si può eseguire con le cesoie, con le quali si fa molta fatica, o con una roditrice che taglia lamiere fino a 1,5 mm di spessore, asportando un truciolo largo un paio di millimetri, senza slabbrare minimamente i due bordi del taglio. Per tagliare i segmenti di angolare si usa un archetto per metalli.

– Tagliare con strumenti elettrici

Premesso che esistono anche costose cesoie e roditrici elettriche, per le lamiere il fardasé preferirà usare una smerigliatrice angolare con disco da taglio sottile, oppure, nel caso di pezzi che presentino curvature, un seghetto alternativo con lama per metalli. Per i segmenti di angolare va benissimo la smerigliatrice angolare nella configurazione indicata.

– Regolarizzazione dei bordi

Per perfezionare i bordi dopo i vari tagli, si può usare una lima da ferro, come strumento manuale, oppure la smerigliatrice angolare, montando un disco da sbavo per gli angolari di ferro e uno da levigatura per i bordi della lamiera. Bisogna tenere conto che alcuni bordi dei pannelli non risulteranno visibili al termine del lavoro, ma quello superiore e inferiore di ogni pannello sì, quindi vanno rifiniti bene.

– Foratura

Per eseguire i fori si utilizza un comune trapano elettrico con punte da ferro di adeguata sezione, facendo una punzonatura preventiva con bulino, esattamente in ogni punto in cui se ne deve eseguire uno.

– Giunzione

Per tenere insieme i pezzi si possono usare ribattini, rivetti o saldatura. Per applicare i ribattini serve una mazzetta da 1 kg da mettere sotto, oltre al martello. Per i rivetti a strappo serve la rivettatrice, mentre per l’unione con saldatura ci vuole la saldatrice ad arco.

La tecnica costruttiva

Per tagliare la lamiera riducendo al minimo gli scarti, basta tracciare sul foglio i trapezi sistemandoli rivolti uno in su e l’altro in giù. Importante è che le figure siano tutte uguali, quindi conviene disegnare su un foglio di carta o di cartoncino un trapezio e ritagliarlo per riportarlo più volte sulla lamiera. La lunghezza degli angolari corrisponde a quella dei lati inclinati del trapezio. Nel prenderne le misure sul disegno, è possibile tracciare sul profilato la linea di taglio sbieca, già secondo il fuori squadra imposto dal lato inclinato del trapezio.

In corrispondenza di ogni angolo dei trapezi e di ogni estremità dei profilati, va aperto un foro per i ribattini o per i rivetti, mentre per la saldatura non serve forare in questi punti. Nel progetto sviluppiamo con maggiori dettagli la prima delle due modalità di giunzione, per stimolare alla costruzione con i metalli anche chi non è ancora attrezzato per saldare.

Tempo richiesto: 1 giorno

  1. Disegniamo i trapezi sulla lamiera

    Per il minore spreco di materiale e tempo, sulla lastra di lamiera disegniamo i trapezi rovesciati, l’uno rispetto all’altro, e con i lati inclinati combacianti. In questo caso va tenuto conto di quanto mangia la lama del seghetto alternativo o il disco della smerigliatrice angolare, nel caso si fosse deciso di usare quella.

  2. Forare la lamiera

    La foratura per l’applicazione dei ribattini o dei rivetti può essere fatta con maggior precisione se si usa un trapano a colonna, ma in questo frangente, l’importante è fare il foro nel punto giusto, quindi si può usare anche un trapano a mano, segnando con il bulino il centro del foro, dopo la marcatura, in modo che la punta non scivoli di lato.
    lavorare ferro

  3. Tagliare i segmenti di angolare

    I segmenti di angolare sono soltanto quattro, quindi il taglio si può effettuare senza fatica anche con un seghetto da ferro. Per andare diritti conviene marcare la linea di taglio con la squadra a cappello, usando una penna per tracciare.

  4. Tracciare i punti per eseguire i fori

    Unendo provvisoriamente un pannello con l’angolare, con la penna per tracciare si marcano su quest’ultimo i punti in cui eseguire i fori corrispondenti, per il passaggio dei ribattini o dei rivetti. Se si decide si saldare le parti, questa fase non è necessaria.
    forare ferro

  5. Inserire il ribattino

    Il ribattino va inserito dalla parte che resterà visibile del manufatto, perché la testa tonda risulta ovviamente più bella esteticamente, rispetto all’estremità che si deve ribattere con il martello, deformandola per attuare il fissaggio delle due parti in questione.

  6. Procurarsi una barretta di ferro pieno per facilitare l’uso del martello

    Mano a mano che il vaso fai da te prende forma, montando i vari pezzi, diviene più difficile muovere liberamente il martello per deformare i ribattini, quindi ci si procura una barretta di ferro pieno per ottenere lo scopo. Gli angolari, lasciati più lunghi nella parte bassa del vaso, possono fungere da piedini, per una versione meno elaborata del manufatto.
    vaso fai da te in ferro

  7. Adeguare le estremità degli angolari

    Le estremità degli angolari vanno adeguate (se non sono state già tagliate con l’inclinazione giusta) al profilo del pannello del vaso fai da te. Lo si fa con la smerigliatrice angolare, togliendo quello che cresce con un disco da taglio e perfezionando poi i lembi mettendo sulla macchina un platorello per levigatura e un disco abrasivo per metalli.
    vaso fai da te in ferro

  8. Applicare il fondo e le sfere

    Il fondo del vaso fai da te è realizzato tagliando un pannello di legno multistrato marino di misura. Lo spessore di 20 mm, almeno, è sufficiente per applicare lateralmente due piccoli tirafondi per ogni lato, previa foratura della lamiera ed esecuzione del preforo nel legno. Le sfere, acquistate presso un centro fai da te, vanno forate, se non lo sono già, e avvitate al pannello di legno di fondo.
    vaso fai da te in ferro

  9. Arricchire il bordo superiore del vaso con una lamiera di ottone

    Con alcuni scarti di lamiera di ottone si realizza un arricchimento del vaso fai da te da applicare sul bordo superiore. Decisa una sagoma, la si riporta sul foglio di ottone e si ritaglia con seghetto alternativo, rifinendo i bordi con la smerigliatrice angolare.

  10. Fissare gli abbellimenti estetici

    Essendo abbellimenti estetici senza funzioni meccaniche o strutturali, il fissaggio delle decorazioni si esegue con adesivo di montaggio adatto alla permanenza in esterni. Nel caso sia deciso il trattamento del vaso con vernice trasparente, conviene applicare le decorazioni dopo le fasi di verniciatura.

L’unione con saldatura offre anche altri spunti per la decorazione

Una decorazione alternativa, consigliabile soprattutto se si è decisa l’unione dei pezzi con saldatura, è quella che si esegue attorcigliando su loro stessi 3 grossi fili di acciaio e piegando il cordone ottenuto per fargli seguire il bordo superiore del vaso fai da te.

Il cordone, come del resto le pareti trapezoidali di acciaio del vaso sè giuntato con singoli punti di saldatura, più che sufficienti a tenere insieme “saldamente” il manufatto.

Quando la ruggine ti fa bello…

Forse non tutti sanno che l’acciaio Corten è stato brevettato nel 1933 e il suo nome è l’acronimo inglese delle sue principali caratteristiche: resistenza alla corrosione (CORrosion) e resistenza meccanica (TENsile). La resistenza alla corrosione deriva dalla sua particolare reazione di ossidazione che avviene in superficie, ma non avanza negli strati sottostanti. È molto utilizzato in architettura, soprattutto in esterni, per le sue caratteristiche meccaniche, l’alta resistenza alla corrosione e le particolari tonalità cromatiche, che sono molto ricercate.

IRONic è un sistema idrodiluibile composto da un prodotto di fondo (IRONic Fondo) e una finitura ossidante (IRONic Liquido Antichizzante).

L’applicazione di IRONic Liquido Antichizzante su IRONic Fondo produce un’ossidazione del tutto identica a quanto rilevabile su una superficie ferrosa esposta alla naturale corrosione da parte degli agenti atmosferici.

Parete in vetrocemento fai da te | Come realizzarla

Una parete in vetrocemento è realizzata con vetromattoni impermeabili, isolanti, resistenti al fuoco, riciclabili al 100%, atossici, durevoli e facili da pulire

Una parete in vetrocemento può essere la soluzione in molti casi: per separare alcuni ambienti dal resto della casa con divisori che, utilizzando altri materiali, diventerebbero una barriera alla penetrazione della luce naturale; per esempio per dare luce a un ingresso o un corridoio delimitati da strutture cieche che rischiano di richiedere un’illuminazione artificiale anche in pieno giorno; o per isolare in un ambiente molto grande una zona dal resto dello spazio, pur mantenendola in comunicazione con esso.

Grazie al vetrocemento non occorre preoccuparsi della posizione delle finestre; nessuna zona sarà soggetta a una riduzione di luce. 

Ma la versatilità di questo materiale offre interessanti spunti di arredamento (benché esistano valide alternative al vetrocemento). Esistono infatti pezzi allungati, curvi, ad arco; il vetro cemento può costituire una porzione di copertura per dar luce alla zona sottostante, può essere il basamento di un’isola da cucina, magari retroilluminata, può sostituire una parte di muratura esterna per dar luce a un vano scale; con inserti colorati può rendere più moderna e originale qualsiasi struttura.

parete in vetrocemento

Quando si tratta di grandi superfici o di una parete in vetrocemento, si effettua la posa con l’ausilio di malte idonee, con una granulometria che consenta di colmare anche minime discontinuità, pur con un basso apporto di acqua.

Tra file orizzontali e verticali è bene annegare nella malta tondini di ferro ad aderenza migliorata. Un vetromattone 20x20x8 cm ha un peso di circa 2,5 kg: bisogna accertarsi che il supporto tolleri il peso complessivo della struttura.

Montaggio vetrocemento

Il primo corso va posato con estrema precisione in ordine al livellamento e alla linearità. I mattoncini in vetrocemento vanno collocati a 1 cm di distanza uno dall’altro.
Si riempiono le commessure con malta di cemento, facendola penetrare per bene. Uno strato di cemento va steso anche sul profilo superiore dei mattoncini in vetro.
Sulle teste si colloca il primo tondino orizzontale dell’armatura affondandolo nel cemento.
Si prosegue nella costruzione inserendo anche i tondini verticali tra le mattonelle che irrigidiscono l’insieme.
In prossimità del profilato di chiusura a soffitto, si riempie lo spazio vuoto con malta cementizia. Le tracce di malta sui mattoni in vetrocemento e gli eccessi vanno rimossi prima che il materiale indurisca.
Per poter concludere il lavoro bisogna aspettare diversi giorni, affinché la malta asciughi; poi con lo stucco riempifughe si occludono tutte le commessure tra le mattonelle con un frattazzo, premendo bene il materiale per farlo penetrare a fondo.
parete in vetrocemento
Prima della completa asciugatura si passa su tutta la superficie una spugna umida, sciacquata con frequenza in acqua pulita. La stessa spugna può servire per lisciare le fughe.
parete in vetrocemento
Un pezzetto di legno consente di spianare zone mal rifinite pareggiando le commessure.

Forme e colori dei mattoni di vetro

Le caratteristiche dei mattoni in vetro permettono di risolvere particolari esigenze d’illuminazione per vani scale, gabbie di ascensori, corridoi o altri ambienti ove occorra beneficiare di un’illuminazione naturale salvaguardando la privacy.

Normalmente lo spessore è di 80 mm, ma si arriva a 160 mm. Esistono profili perimetrali metallizzati, stondature, forme trapezoidali, versioni di vetro pieno con la forma di un mattone tradizionale di laterizio, disegni in rilievo completano la vasta gamma di colorazioni e offrono nuovi spunti all’architettura contemporanea. 

Vetrocemento colorato

Gli effetti visivi e luminosi che si possono ottenere sono assolutamente unici e affascinanti e variano continuamente da progetto a progetto.

Levigatura del legno | Approfondimento tecnico

La levigatura del legno è una lavorazione fondamentale, spesso imprescindibile, per trattare e rifinire al meglio questo materiale. Può essere effettuata manualmente o con l’utilizzo di macchine elettriche. Analizziamone in dettaglio tutti gli aspetti

La levigatura del legno è l’asportazione meccanica, mediante strumento abrasivo, di un certo quantitativo di materiale dalla superficie del pezzo. Le motivazioni per cui è necessario fare questo lavoro sono diverse: per regolarizzare la superficie, per ripulire i bordi dopo un’operazione di taglio, per togliere uno strato ammalorato, per rimuovere una finitura, per sagomare, per smussare, per adattare ecc. Molto variabile anche l’entità del lavoro: da una rapida passata, per esempio per smussare uno spigolo vivo, si può arrivare a lavorare per giorni, nel caso di una lunga staccionata di legno.

Se tante sono le occasioni per eseguire la levigatura del legno, ancor di più possono essere gli strumenti utilizzabili e le modalità in cui tali strumenti possono essere adoperati. Concorrono a determinare le scelte parametri come il tipo di legno su cui si deve lavorare, l’aspetto che deve avere la parte dopo il “trattamento”, l’estensione della zona, la sua conformazione e lo spessore da asportare. Come dire: ogni caso è un caso a sé, e va valutato in modo da non fare danni (a togliere c’è sempre tempo, aggiungere è più difficile) ma, nello stesso tempo, fare con celerità (non velocità) e, soprattutto, senza troppa fatica. Sì, perché levigare il legno è sempre stata un’operazione faticosa e noiosa; sicuramente una di quelle meno apprezzate dagli amanti del fai da te e anche dai professionisti.

Dall’avvento degli elettroutensili sono state sviluppate macchine sempre più sofisticate, specifiche nello svolgimento della levigatura del legno, capaci di alleviare enormemente il lavoro manuale che gli artigiani erano costretti a svolgere; si potrebbe stilare un elenco lunghissimo di macchine diverse per modalità di lavoro, a conferma di quanto differenti possano essere le necessità e le situazioni che si presentano. Tuttavia, rimane sempre ampio margine operativo per il lavoro totalmente manuale.

Sono tantissimi i casi in cui la sensibilità dell’uomo, in particolare ciò che avverte sotto le dita, fa ancora la differenza nella qualità del risultato finale, rispetto al lavoro delle macchine. Mediamente si parla di casi speciali, particolarmente delicati, dove vanno assecondati e non rimossi spigoli, angoli e rilievi sagomati, oppure quando, anche se le superfici sono piane, se si è giunti alle fasi finali di certe finiture accurate.

Tutti i sistemi, sia quello manuale, sia quello affidato a una macchina, hanno modo di essere “regolati” in quanto a aggressività dell’azione. Nella maggioranza dei casi la scelta si opera utilizzando l’elemento abrasivo più idoneo, ovvero con una capacità erosiva proporzionata all’azione da svolgere. L’elemento abrasivo, nel caso delle macchine, è quasi sempre la carta abrasiva, mentre nel lavoro a mano si usano molto anche le pagliette d’acciaio, le spugne abrasive ecc.

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La carta abrasiva

Sicuramente, il componente più utilizzato per la levigatura del legno, sia nel sistema manuale, sia in quello elettrico, è la carta abrasiva, disponibile in vari formati (quadrata, rettangolare, rotonda, a delta, in rotolo, ad anello ecc) e con diverse caratteristiche della superficie attiva e del suo supporto. La superficie attiva è connotata da una granulosità variabile nelle dimensioni; più è grossolana, maggiore è la capacità di asportazione di materiale. La granulometria si identifica con una serie di valori standard che parte da 40 (la più aggressiva) e sale sino a oltre la 1000 (la più fine e delicata). Il supporto che regge la “grana” può essere di carta, tela, sintetico compatto o spugnoso.

Come levigare il legno: sistema a mano

Il foglio abrasivo (che sia di carta, tela o sintetico) può essere utilizzato a mano, anche senza nessun ausilio, semplicemente piegandone un pezzo su sé stesso, in modo da avere una presa migliore. Questa modalità si utilizza spesso quando il lavoro è delicato e ci si trova a dover seguire forme complesse, con nicchie e rilievi, dalle quali si deve asportare uno strato minimo, senza alterare la sagomatura originaria. In altri casi, per un’azione a mano, ma più incisiva, ci si aiuta con il cosiddetto “tacco” o tampone, un blocco che può essere di legno, di plastica o di gomma, intorno al quale si avvolge il foglio abrasivo, per fare più forza e aumentare la superficie di levigatura. Specifichiamo che, per i normali utilizzi, la levigatura del legno a mano è praticamente l’unico modo per utilizzare i fogli abrasivi a grammatura finissima, dalla 400 in su.

Tampone

Oltre a quelli di fortuna, realizzati con pezzi di scarto, si trovano in commercio tamponi e tacchi di varie forma, a seconda della situazione contingente, tutti orientati a mantenere un più saldo appiglio per la mano e bloccare in posizione l’elemento abrasivo. Questo può essere carta oppure spugna abrasiva. Il sistema di bloccaggio può essere a graffe, a molla, a velkro.

I tamponi che presentano una base d’appoggio soffice, per esempio per la presenza di uno strato di schiuma, sono quelli che meglio si adattano alle superfici con rotondità e rilievi, potendosi deformare, almeno un minimo, e “copiare” meglio la forma dell’oggetto.

Spugna abrasiva

Anche in questo caso sono disponibili più forme e, talvolta lo strumento diventa un ibrido fra un tampone e una spugna, essendo composto da una parte più rigida (quella che si impugna) e una con la spugna vera e propria, sotto la quale sta l’abrasivo. Nella maggior parte dei casi, la forma è quella di un parallelepipedo, ricoperto su 4 delle 6 facce da materiale abrasivo, che può anche essere di due gradi differenti di granulosità. In questo modo, se si capisce che serve un’azione più energica si passa con la parte più aggressiva o viceversa.

Panno abrasivo

Il panno abrasivo è composto da un reticolo molto resistente, i cui filamenti possono avere maggiore o minore sezione, quindi il panno risultare nell’insieme più o meno fitto. La conseguenza è quella di disporre di una proporzionale capacità abrasiva sui materiali.

Il pregio del panno è quello di risultare soffice, offrire una buona presa per l’uso a mano, essere meno “intasabile” della carta abrasiva (e della spugna). Il fatto che sia più soffice degli strumenti precedenti è garanzia di riuscire a seguire meglio le curvature, lavorando anche con tutta la superficie della mano.

Lana d’acciaio

La lana o paglietta d’acciaio è una matassa di fili che possono avere diverse sezioni contrassegnate da una serie di zeri: maggiore è il numero degli zeri e più è sottile il singolo filo, con conseguente finezza dell’abrasione, che dal triplo zero in poi è davvero molto leggera. Parlando di grana, tanto per usare un termine affine agli altri sistemi di levigatura del legno, quella della 0000 è talmente fine da poter essere impiegata quando sia necessario ottenere la massima levigatura di una superficie, al fine di applicare la tecnica della lucidatura a spirito e gommalacca.

Macchine elettriche

La funzione della macchina elettrica è quella di muovere la carta abrasiva al posto nostro; le modalità d’azione possono essere diverse: ruotandola, facendole percorrere un’orbita, facendole fare tutti e due i movimenti insieme oppure trascinandola in una direzione.

Per questo, esistono levigatrici rotative, orbitali, levigatrici rotoorbitali e levigatrici a nastro. Le rotative e quelle a nastro sono disponibili sia come macchine da portare a mano, sia come macchine stazionarie. In tutti questi casi, la grammatura utilizzabile va dalla 40 alla 320. Solitamente, quando si dispone della 40, 80, 120 e 180 si ha già tutto quanto possa servire nel 95% delle evenienze.

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Levigatrice rotativa

È comunemente chiamata levigatrice ed è la più semplice in quanto la piastra di cui dispone effettua soltanto il movimento rotatorio; per questo motivo, la piastra è di forma rotonda e su di essa si applica, di solito per adesione con velcro, un foglio abrasivo di identico diametro.

Ha una capacità di asportazione elevata: a parità di grammatura, molto maggiore rispetto alla levigatrice orbitale, ma superiore anche alla levigatrice rotoorbitale. Il modello da condurre a mano è adatto quasi esclusivamente alle superfici piane e non si presta all’utilizzo su oggetti di medio-piccole dimensioni. Al contrario, il modello stazionario è utilissimo per la conformazione e squadratura di piccoli pezzi di legno, a fini costruttivi e di modellismo, oppure per la conformazione delle estremità di listelli e tavolette.

Levigatrice orbitale

Dispone di una piastra che può avere forma rettangolare, quadrata o a delta e, di conseguenza, ha medesime dimensioni e forma la carta abrasiva, che può essere fissata con velcro oppure con mollette incorporate nella piastra stessa (non quella a delta).

Il movimento orbitale è dato da un particolare ingranaggio posto fra albero primario e piastra della levigatrice, che non fa ruotare la piastra, ma le fa compiere un’orbita oscillando attorno all’asse verticale; l’orbita ha un diametro di pochi millimetri, ma è più che sufficiente a determinare l’azione abrasiva, in virtù della velocità alla quale avviene l’oscillazione e, come sempre, relativamente alla grammatura scelta.

Tale sistema rende la levigatrice orbitale la più delicata fra tutte, ma anche la più semplice da utilizzare per levigare il legno e la più sicura: con questo strumento è praticamente impossibile riuscire a ferirsi. Si utilizza in tantissimi frangenti e solitamente se ne possiede più di una, con piastre di forme diverse: quella rettangolare, magari di grosse dimensioni, permette di trattare ampie superfici piane; quella a delta, con la prolunga anteriore o meno, è utile per arrivare nei punti più difficili (angoli, fra le stecche di una persiana ecc).

Levigatrice rotoorbitale

La sua piastra può essere soltanto di forma rotonda, perché aggiunge all’azione orbitale anche quella rotativa, con un mix che va un po’ gestito. Rispetto alla rotativa pura c’è una differenza sostanziale: nel meccanismo d’azione della levigatrice rotoorbitale il moto rotativo è assoggettato a una sorta di “frizione”; tant’è vero che si avvia progressivamente e ci mette alcuni secondi per raggiungere il massimo dei giri.

Questo fatto rappresenta il vantaggio di questa particolare macchina perché gestendo la pressione sul pezzo i giri scendono e si innesca un mix virtuoso fra l’azione rotativa e quella orbitale, che offre come risultato la migliore superficie rispetto a tutte le altre levigatrici (sempre a parità di grammatura della carta). Il lato negativo è che bisogna imparare a calibrare questa pressione: solitamente si tende a schiacciare troppo, nella convinzione di ottenere una maggiore efficacia.

Levigatrice a nastro

È la levigatrice che potenzialmente ha la maggiore capacità di asportazione. Il suo lato negativo è quello di generare striature rettilinee nel pezzo, quindi non è ideale quando si ricerca una buona rifinitura. Il fatto è che, quando si devono coprire ampie superfici piane, non c’è nulla di più efficace di una levigatrice a nastro manuale, il cosiddetto carrarmato, doverosamente condotta con due mani, data la forza con cui bisogna contrastare l’effetto di trascinamento in avanti che il suo nastro abrasivo sviluppa a contatto della superficie.

La macchina può essere anche fissata in posizione rovesciata (con il nastro rivolto in alto) sul banco da lavoro, diventando una sorta di stazionaria. Una vera e propria stazionaria dispone di un nastro più lungo, cosa che ne accresce l’efficacia (e la durata) e, solitamente può lavorare in orizzontale e in verticale, per meglio adattarsi alle necessità. Spesso alla levigatrice a nastro stazionaria ne è abbinata una rotativa, che sfrutta lo stesso motore elettrico.

Si rivela molto utile anche una particolare levigatrice a nastro manuale, di dimensioni ridotte, che dispone di un nastro molto stretto, sviluppato soprattutto in lunghezza; ha il meccanismo di trascinamento molto sottile nella sua parte estesa in avanti, in modo da poter lavorare in spazi in cui una normale levigatrice non potrebbe.

Scelta dello strumento

Quando si effettua una levigatura legno per regolarizzare o sverniciare una superficie ampia e piana si utilizza preferibilmente una macchina elettrica come la levigatrice orbitale, rotoorbitale o carrarmato, a seconda dei casi, montando carta a grana grossa. Dopo la posa di un parquet in legno massello con posa inchiodata, avvitata o incollata, per regolarizzare la superficie che può presentare piccoli scalini, si usa una levigatrice rotativa con platorello di diametro che sia almeno 150-180 mm.

La stessa situazione si presenta anche quando si uniscono con la colla tavole o listelli, per ottenere un piano più ampio; ma in questo caso, le irregolarità che sussistono dopo l’essiccazione dell’adesivo, si rimuovono con una levigatrice orbitale o rotoorbitale: la prima se abbiamo tempo o preferiamo non correre alcun rischio, la seconda se abbiamo dimestichezza con lo strumento e vogliamo fare presto.

La dimestichezza con tutti questi strumenti è fondamentale quando si approcciano superfici non piane. Riducendo l’area di contatto fra abrasivo e pezzo, l’azione erosiva aumenta enormemente e, soprattutto approcciando spigoli e piccoli rilievi, la possibilità di portare via troppo materiale è altissima: basta una piccola distrazione.

Per questo, sulle superfici con decise curvature si preferisce lavorare a mano oppure con strumenti elettrici poco aggressivi, magari pensati proprio per queste situazioni, ovvero studiati in modo che la loro superficie attiva sia in grado di adattarsi il più possibile alla forma del pezzo. Ovviamente, anche per le superfici tonde ci sono i casi in cui si deve agire energicamente, soprattutto quando quello che si vuole è proprio rimuovere molto materiale per eliminare asperità o ampie zone in surplus. Tutti i pezzi di piccole dimensioni si levigano a mano oppure con una macchina stazionaria.

Tagliato un ripiano, la levigatura legno la si effettua con un’orbitale (carta vetro n. 120) con cui, con la dovuta attenzione, si smussano leggermente gli spigoli; si stende una prima mano di impregnante o di una vernice a piacere e, una volta essiccata, si leviga ancora con una carta vetrata più fine (a questo punto potrebbe essere una 180). Per ottenere una superficie molto liscia è necessario dare altre mani di vernice, leggermente più diluite, ogni volta intercalate dalla levigatura con grana ancora più fine oppure con paglietta d’acciaio 000.

Carta vetrata usata a mano, spugna abrasiva o paglietta d’acciaio sono strumenti utilizzati anche per la lisciatura dei manufatti torniti. È una fase che si svolge terminata l’azione con le sgorbie e che precede la finitura con le cere, pure queste abrasive in varia misura e lucidanti.

A mano o a macchina per una levigatura legno efficace

Sia i supporti abrasivi, sia gli strumenti che consentono di manovrarli, durante l’utilizzo sono soggetti a fortissime sollecitazioni; questo comporta il rapido consumo e, nei casi di scarsa qualità, il distacco delle particelle abrasive, con prematura obsolescenza dell’abrasivo. Quindi non si tratta soltanto di scegliere lo strumento giusto e la grana più indicata per la levigatura da eseguire, ma anche di imparare a conoscere la qualità dei prodotti di consumo, in modo da non perdere tempo prezioso durante la sessione di lavoro.

A insegnarci questa regola sono i professionisti stessi, che possono essere anche “sorpresi” a utilizzare un elettroutensile non top di gamma, ma in fatto di prodotti per la levigatura del legno, non lesinano affatto. Non è solo questione di usare abrasivi più aggressivi allo scopo di fare presto, al contrario, la necessità è quella di puntare sulla qualità per tutti i livelli di potere abrasivo, proprio per ottenere risultati certi in ogni frangente, sia in termini di velocità di asportazione sia di uniformità della superficie ottenuta al termine del lavoro.

Tavoletta portabicchieri fai da te per gustarsi il vino nel déhor

Portiamo in tavola il vino e quattro flûte con una mano, tenendo soltanto la bottiglia con un portabicchieri fai da te in legno, applicato sul collo

Un portabicchieri fai da te sul collo della bottiglia che riceve i gambi di quattro flûte collocati in altrettanti intagli, oltre che essere pratica per il trasporto è anche un’idea simpatica per offrire un buon bicchiere all’aperto, seduti sul terrazzo o sotto una pergola: con una sola mano si porta tutto, la bottiglia rimane abbastanza riparata dal sole e i bicchieri, rivolti all’ingiù, non raccolgono petali e foglioline che possono cadere dalle piante attorno.

La costruzione del portabicchieri fai da te è minimale, ma richiede l’utilizzo di almeno 3 elettroutensili, più un eventuale quarto, per la decorazione dell’esempio di questa pagina, e di un banchetto ripieghevole. Avendo scelto tutti elettroutensili a batteria, il progetto può essere realizzato comodamente in qualsiasi luogo: in garage, in terrazzo o all’aperto. Le operazioni (comuni a tutte le lavorazioni del fai da te legno) sono:

  • taglio: per ridurre a forma quadrata la tavoletta e per aprire le sedi di inserimento dei bicchieri;
  • foratura: per l’esecuzione di 5 fori in tutto, uno al centro più grande, per il collo della bottiglia, più i 4 verso gli angoli, utili per stabilizzare i gambi dei flûte;
  • levigatura: necessaria per regolarizzare gli spigoli dopo i tagli e rendere la superficie del legno morbida e vellutata al tatto.

Per la decorazione si possono avere infinite idee; per coerenza con gli altri strumenti, abbiamo usato una pistola a caldo a batteria, che non pone vincoli di alimentazione elettrica. Infine, il banchetto scelto è molto utile in casi come questo, perché ha il piano di lavoro separato in due pezzi che fungono da morsa per falegnami, consentendo di tenere ferma la tavoletta nelle operazioni di taglio e di levigatura, mentre nelle forature abbiamo preferito usare strettoi che tenessero la tavoletta bloccata al piano, con interposti alcuni pezzi di scarto in corrispondenza dell’uscita della punta Forstner. Questo permette di ottenere un bordo di uscita pulito e regolare, senza sbrecciature.

Per la tavoletta si può utilizzare indifferentemente legno massello o lamellare; si tenga conto che in queste realizzazioni la bellezza è molto importante, quindi un legno nobile e duro, con una bella fibratura, è sicuramente indicato, ma si può anche realizzare appositamente un lamellare messo insieme incollando listelli di specie legnose diverse. Il vantaggio del legno duro consiste nel fatto che i fori e gli intagli risultano molto più lisci e precisi. Nella realizzazione del portabicchieri fai da te la precisione non è solo necessaria perché la tavoletta è destinata a rimanere in vista sul tavolo, ma anche per una questione di equilibrio che dipende dalla precisa posizione dei fori e degli intagli.

L’ampio foro centrale (diametro 32 mm) per il passaggio del collo della bottiglia richiede una punta Forstner da montare sul trapano. Ideale sarebbe forare con il trapano a colonna che garantisce precisione e verticalità nella direzione; ma con un po’ di accortezza si può fare a mano libera, gestendo attentamente la posizione del trapano durante l’azione.

Gli altri quattro fori e le scanalature da fare successivamente partendo dagli angoli della tavoletta, servono per il posizionamento dei flûte capovolti, che restano appesi alla tavoletta per il piedistallo. La misura di questi fori, più larghi delle scanalature di 3-4 mm, è stabilita sulla base della sezione del gambo dei bicchieri, che vi devono entrare con un buon margine di libertà. Queste considerazioni sono da farsi prima di iniziare la costruzione del portabicchieri fai da te, dopo avere anche rilevato il diametro dei bicchieri, che talvolta sono di dimensioni generose e potrebbero richiedere l’utilizzo di una tavoletta quadrata con lato maggiore di 250 mm. Beh, ora basta parole. Gli amici sono in arrivo? Appendiamo i flûte…

Note di costruzione

Spesso, quando si effettua un foro passante sul legno, la punta del trapano, fuoriuscendo dalla parte opposta crea delle scheggiature che danneggiano la superficie posteriore. Si risolve brillantemente il problema collocando sotto il legno da forare un listello o un altro pezzo di scarto in corrispondenza del foro da eseguire. Questo inserimento, tra l’altro, protegge anche il piano di lavoro che verrebbe inevitabilmente raggiunto dalla punta.

Tempo richiesto: 2 ore

  1. Recuperare una tavola

    La tavola di recupero per il portabicchieri fai da te ha forma rettangolare e spessore 18 mm; con il seghetto la tagliamo su un lato, facendola diventare quadrata, con lati 250×250 mm.
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  2. Forare il centro della tavoletta

    Al centro della tavoletta facciamo un foro passante di Ø 32 mm. Allo scopo montiamo sul trapano una punta Forstner di tale diametro.
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  3. Segnare i fori da effettuare

    Tracciamo le diagonali della tavoletta e vi segniamo i fori da effettuare, tutti alla medesima distanza, circa 70 mm dal rispettivo angolo.

  4. Effettuare i 4 fori

    Pur essendo di soli 12 mm di diametro, per fare questi 4 fori usiamo ancora una Forstner, perché lascia il foro più pulito rispetto alla punta da legno.

  5. Tagliare dall’angolo fino ai fori

    Dopo aver tracciato 2 linee parallele a distanza di 4 mm circa dalle diagonali, tagliamo via la parte in mezzo seguendo le linee fino ai fori.
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  6. Lisciare le superfici e i bordi della tavoletta

    Lisciamo a dovere le superfici e i bordi della tavoletta montando la piastra a delta sull’utensile multifunzione; usiamo abrasivo a grana fine.
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  7. Decorare il portabicchieri fai da te

    Per abbellire il portabicchieri fai da te possiamo applicare decorazioni varie sulla faccia superiore della tavoletta, come nastri colorati di tessuto, fissati con la pistola per colla a caldo.

Case in legno già apprezzate da Leonardo, Gropius, Einstein…

Tratto da “Rifare Casa n.82 – Luglio/Agosto 2022″

Autore: Nicla de Carolis

Leonardo da Vinci, genio e anticipatore in tanti campi, nel 1494 progettò la Casa Mutabile in legno per il parco della duchessa Isabella Sforza, realizzata con componenti prefabbricati e montati insieme. Un modo di costruire molto simile al sistema attuale e un esempio di come l’idea base della casa prefabbricata sia semplicemente geniale! Tanti  i nomi di quelli che negli anni contribuirono a dare ulteriore impulso alla cosa; da citare in particolare Walter Gropius, fondatore nel 1919 della Bauhaus la più famosa scuola di architettura tedesca. Anche Gropius credeva nelle case prefabbricate in legno e le migliorò tanto che il suo cliente più famoso fu addirittura Albert Einstein. Al di là di questi famosi estimatori del passato, la bontà del sistema costruttivo è indubbio oggi, ancor più di ieri e lo pone all’avanguardia in termini di sostenibilità.

L’emergenza climatica con l’aumento delle temperature, scientificamente determinata dalle emissioni di CO2 dell’attività umana, è sotto gli occhi anche dei più scettici. Quindi, l’attenzione a tutto ciò che può ridurre l’uso di energia generata con i combustibili fossili, responsabili in larga parte di questo fenomeno, oggi è senz’altro maggiore. Certo non vogliamo sostenere un ulteriore consumo di suolo con la costruzione di nuovi edifici ma, in caso di demolizione e ricostruzione, di ampliamento o sopraelevazione, i sistemi in legno si rivelano la soluzione più ecologica. Parlare di sostenibilità anche in edilizia significa analizzare un edificio a tutto tondo, partendo dalle materie prime fino ad arrivare alla sua demolizione, non è quindi valutare solo i consumi energetici per viverlo non considerando tutto quello che succede prima e dopo la sua costruzione. Il legno è una materia prima che cresce e si sviluppa spontaneamente grazie a sole e acqua piovana senza l’intervento dell’uomo; le risorse necessarie per produrre un pannello X-lam riguardano esclusivamente il settore taglio, trasporto, e controllo del materiale. I materiali per l’edilizia tradizionale hanno necessità di pesanti lavori di estrazione, selezione e lavaggio, trasformazione e cottura in altoforni o simili, per non parlare del ferro e dell’acciaio che per la loro lavorazione detengono il primato dell’impatto ambientale.

Al di là della sostenibilità, che comunque riguarda tutti, i vantaggi pratici per chi sceglie i sistemi prefabbricati in legno sono davvero notevoli: questi edifici riescono a coniugare risparmio e benessere abitativo, ma non voglio anticiparvi tutte le informazioni del caso, che troverete nell’ampio dossier da pagina 32.