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Sbloccante lubrificante WD-40

Stessa potenzialità ma formato diverso

lubrificante wd-40

Liquido sintetico che, applicato su dadi e bulloni ostinati, ha la capacità di penetrare negli interstizi delle filettature e ammorbidire eventuali incrostazioni di ossido o di pittura facilitando la successiva azione di sbloccaggio.

Una grande idea! Unire lo spruzzo di precisione e la vaporizzazione a largo raggio: due azioni riunite nel nuovo ed esclusivo spray doppia posizione WD-40 da 250 ml.

Nulla è cambiato nella formulazione le cui note potenzialità vanno dalla lubrificazione di meccanismi di precisione allo sbloccaggio di ingranaggi arrugginiti; un vero partner nel fai da te, capace anche di azione detergente, anticorrosiva e idrorepellente.

WD-40 è quindi perfetto per la manutenzione di serrature, mappe e cerniere, di cui agevola movimento e scorrimento, eliminando fastidiosi cigolii e preservandoli dall’umidità, senza lasciare tracce.

SVARIATI IMPIEGHI NEL BRICOLAGE DI CASA

  1. Con il beccuccio inserito direttamente nel cilindro, bastano minime quantità di prodotto per sbloccare la serratura.
  2. Nel caso delle cerniere il prodotto va dato solo dove serve; l’erogatore consente il perfetto e preciso dosaggio.
  3. Nelle guide di una tendina a scorrimento, WD-40 rende fluido il movimento senza macchiare.
  4. Nei meccanismi di precisione WD-40 penetra e si distribuisce mantenendo un film lubrificante e protettivo.

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La levigatrice orbitale

La levigatrice orbitale, elettroutensile di semplice funzionamento

La levigatrice orbitale è un elettroutensile integrale portatile il cui funzionamento è semplice: una “suola” rettangolare, che porta un foglio di carta abrasiva, vibra rapidamente descrivendo piccole orbite, sotto la spinta del motore elettrico.

Questo movimento produce una potente azione levigatrice che può essere più o meno delicata in funzione della rapidità del moto orbitale e della grana dell’abrasivo che viene montato. In alcune levigatrici il foglio di abrasivo viene montato grazie ad una coppia di mollette alle estremità della suola, in altre la suola è dotata di Velcro e su di essa vanno montati gli abrasivi.

Questo sistema permette un velocissimo cambio e posizionamento dell’abrasivo.

Orbitale

La maggior parte dei modelli è dotata di aspirazione del polverino prodotto: sia il foglio abrasivo, sia la suola, presentano dei fori attraverso i quali il polverino viene aspirato e convogliato in un sacchetto o nel contenitore di un aspiratore.

I FOGLI DI ABRASIVO

  1. Fogli normali, disponibili in diverse grane, adatti per la collocazione su levigatrici senza aspirazione e con bloccaggio del foglio a molletta.
  2. Fogli di abrasivo forati adatti ad essere applicati su suole di levigatrici dotate di aspirazione del polverino. Questi abrasivi sono sempre forniti di Velcro sul retro.
  3. Le levigatrici con aspirazione fornite di suola con Velcro, permettono un velocissimo posizionamento del foglio di abrasivo.

LE CARATTERISTICHE

levigatrice orbitale funzionamento

  1. Alcune levigatrici dispongono di una rotella graduata per impostare il regime di rotazione del motore, adeguandolo al materiale e al tipo di levigatura da eseguire.
  2. Molte levigatrici permettono di variare la velocità di orbitazione della suola premendo più o meno a fondo il pulsante di azionamento.
  3. La maggior parte dei modelli senza aspirazione è fornita di sistema di bloccaggio a molletta del foglio di abrasivo.
  4. Nei modelli con aspiratore si innesta sul retro un filtro raccoglitore che va periodicamente svuotato.

Il dilettante e il professionista

Il dilettante è inferiore al professionista nella capacità, nella cultura e nei mezzi, ma gli è superiore nella libertà e ingenuità con cui fa quanto gli dà gioia, ed esprime ciò che per lui è importante, senza gli scrupoli e senza l’ambizione del professionista, senza le sue inibizioni”.
Se non l’avesse già scritta Hermann Hesse, questa frase vorremmo averla scritta noi, tanto magnificamente sintetizza la filosofia del nostro lavoro, l’idea base dell’essere un far da sé.

Perché il bricoleur non è un professionista, non lo è e non vuole esserlo: egli ha già un lavoro e proprio dalla ripetitività di questa occupazione molto spesso fugge o trova momentaneo sollievo nella libera attività manuale.
Il far da sé nella vita è ferroviere, postino, operaio, impiegato, ma anche chirurgo, avvocato, maestro; quando si improvvisa idraulico, falegname, elettricista o fabbro per risolvere qualcuno dei quotidiani problemi che la casa presenta lo fa con entusiasmo, certo che in fondo, comunque vada, il suo pubblico gli riconoscerà impegno e buona volontà.

Libero dall’ansia, poiché la sua prestazione non deve essere monetizzata, poiché non mette in gioco né reputazione né carriera, e nello stesso tempo spinto a far bene perché quel certo lavoro lo fa per sé, per la propria casa, per la propria famiglia, egli certamente rende al massimo conseguendo risultati che talvolta sono preclusi al professionista più esperto.

Certo del professionista egli non ha né i mezzi, né l’esperienza, né le conoscenze teoriche e pratiche: ma a queste carenze sopperisce con quella vena di “ingegnosità” che gli consente di inventare soluzioni assolutamente originali a problemi piccoli e grandi.

Egli si dedica alle attività del far da sé perché gli danno gioia, perché per lui sono importanti: non ha spazio né la voglia di arricchire, né quella di far strada.

Gli basta essere soddisfatto con se stesso, gli basta il bravo di quanti come lui guardano al professionista non con invidia, ma solo con ingenua curiosità, pronti a rubargli un segreto oggi ed uno domani da far ben fruttare.

(febbraio 1989)

Fai da te un balsamo per la mente

L’uso della mani, vero toccasana per la psiche

Siamo tutti in cerca di qualcosa che allevi la pesantezza di questo momento, ricco di notizie deprimenti e povero di speranza, se si esclude lo stupore positivo, anche per i non credenti, dato dall’elezione di un Papa la cui “sobrietà” ripristina la coerenza e l’osservanza del messaggio originale di Gesù Cristo, nato in una stalla.
E così la crisi ci fa anche mettere in discussione tutto ciò che facciamo nel tentativo di ritrovare un equilibrio che ci dia benessere psicologico e materiale. Puntando i riflettori sulle valenze del fai da te sembra proprio che la bontà di questo “fare” vada ben oltre al semplice hobby. Addirittura in un sito di psicologia vediamo scritto:”… se la psicologia è la dottrina dell’anima che studia la morale e l’intelligenza umane, credo che poche cose si avvicinino alla psicologia come l’uso delle proprie mani per costruire utensili, strumenti, risorse e qualsiasi cosa possa essere utile per noi e per gli altri.”
Poi si argomenta dicendo che l’uso delle mani è di per sé un vero toccasana per la psiche: “… i due aggeggi che ci siamo ritrovati alla fine delle braccia, non li abbiamo ricevuti in dotazione per scrivere più velocemente i messaggi su twitter, ma, da quando abbiamo smesso di utilizzarli per aggrapparci di ramo in ramo, per costruire. Questo basta per rinvigorire lo spirito: costruire. Lo sanno bene gli inventori del LEGO e i maggiori guru delle culture occidentali e orientali (un certo Gesù, che per trent’anni della sua vita ha fatto il falegname, vi dice niente?).” Considerazioni forse mai messe a fuoco, ma che corrispondono alla realtà. Riuscire a costruire o montare un mobile, realizzare una decorazione, riparare qualcosa, ci rende sicuri e ci gratifica psicologicamente, ci spinge a migliorarci approfondendo le nostre conoscenze e le nostre capacità. Inoltre il tempo passato con mani e mente impegnate vola in maniera spensierata perché siamo concentrati solo sul raggiungimento dell’obiettivo.
Ma il fai da te è “balsamo” per la mente anche perché fa risparmiare: pensiamo a come “si gode” quando si possono risolvere da soli emergenze o migliorie domestiche, quando si riescono a creare oggetti esclusivi, fatti su misura, quando si fa e si mangia un pane con quegli ingredienti speciali e garantiti che preferiamo; la lista sarebbe davvero lunga. Dunque ci sembra che il fai da te esca da questo esame critico promosso a pieni voti!

Colora e ama la tua scuola

“Colora e ama la tua scuola” è un´iniziativa promossa all´interno del progetto Manualità un gioco da ragazzi che ha coinvolto i bambini della scuola elementare di Gavi (AL).

Guarda il filmato

https://www.youtube.com/watch?v=RekZefvC2Hg?rel=0

Il programma della manifestazione

Venerdì 28 settembre e venerdì 5 ottobre 2012. Scuole elementari comunali di Gavi (AL). Gli alunni della III B hanno sostituito le penne e le matite con colle e adesivi, cutter e seghetti, pennelli e rulli, addirittura con un rullo robot: hanno riposto negli zaini i quaderni e hanno fatto i compiti… sui muri della propria aula.
Due giorni davvero speciali, d’intenso lavoro anche da parte delle insegnanti e dello staff di MANOTeam, per colorare e decorare quella che è stata battezzata subito l’AULAMARE.
A pochi giorni dal fatidico suono della campanella del nuovo anno scolastico, il corpo docente delle scuole di Gavi ha deciso di aderire a “Manualità, un gioco da ragazzi”, l’iniziativa che promuove il fai da te tra i giovanissimi, scegliendo di realizzare il progetto “Colora e ama la tua scuola” e raggiungendo contemporaneamente tre obiettivi:
  • destare nei ragazzi l’entusiasmo di realizzare qualcosa di inusuale con le proprie mani
  • insegnar loro l’uso corretto di utensili, elettroutensili, colle e colori
  • educarli al rispetto degli spazi pubblici e comuni.
Dopo aver protetto gli spazi dell’aula non interessati al lavoro (cattedre, armadi, banchi) con plastiche e nastri adesivi, i ragazzi hanno impugnato rulli, pennelli e anche il nuovissimo Paintroller di BOSCH, subito ribattezzato rullo robot, e hanno tinteggiato le pareti dell’aula prescelta fino all’altezza di un metro e mezzo con un intenso azzurro cangiante.
L’AULAMARE, come hanno previsto i giovani progettisti, ha poi richiesto il popolamento delle pareti con tutti gli elementi del fondo marino: ognuno dei bambini ha scelto i suoi beniamini del mare da rappresentare sulle pareti e ne ha disegnate le sagome sul cartone; le sagome sono state incise, ritagliate e segate con gli utensili di LABOR e poste a parete con l’apposito adesivo MULTI TACK PRITT, che non danneggia la
finitura dei muri ed è di facile rimozione. A questo punto è cominciata la decorazione con i colori di MAX MEYER.
Una lezione di fai da te e di attenzione agli spazi comuni, che è stata ammirata da tutti e coronata da una serie di temi che i bambini hanno scritto ispirandosi all’ambiente marino intorno a loro.
Non solo: dopo queste intense lezioni di manualità, molti dei bambini si sono appassionati e hanno “chiesto” l’immediata iscrizione ai laboratori di fai da te che si terranno nel laboratorio di Gavi a partire dalla fine di ottobre.
“In fondo al mar, in fondo al mar.
Ci divertiamo qua sotto l’acqua
Ah che fort
una vivere insieme
In fondo al mar
In fondo al mar!”
(Granchio Sebastian, dalla Sirenetta di Walt Disney)

L’esempio di Gad

Speriamo sia di esempio per altri

Il 15 maggio scorso Gad Lerner ha partecipato attivamente alla Giornata della manualità organizzata nell’ambito del programma “Manualità, un gioco da ragazzi”, nella bella scuola dei “Vespri” a Milano. Il bravo giornalista è stato accolto dai bambini prima con curiosità e poi con entusiasmo per la sua partecipazione “diligente” e i suoi modi affabili.
Infatti Lerner, pur confessando di non averlo mai fatto in vita sua, senza batter ciglio si è messo il grembiule di plastica e ha aiutato gli alunni a tinteggiare le pareti della palestra, a piantare bulbi e semi nelle aiuole del cortile, a segare e incollare.Queste le parole del giornalista pronunciate alla fine della mattinata: “… voglio ringraziarvi, perché sono io quello che ha imparato qualcosa oggi, di quello che si può fare, davvero: il fatto di andare in televisione non ha nessun titolo di merito perché quando si tratta di prendere un pennello in mano e di fare un lavoro utile e prezioso con gli altri, magari scopri che tu che con le parole vai forte, invece sei un imbranato terribile. E quindi sfatiamo il mito della televisione che non è così importante. È molto più importante quello che fate voi qui ogni giorno…”
Manualità, un gioco da ragazzi (www.bricoyoung.it) è il progetto, di cui abbiamo più volte parlato sulle pagine di questa rivista, partito nel 2011 con la finalità di diffondere il saper fare concreto tra le nuove generazioni, riappropriandosi della manualità che porta con sé tanti stimoli e può significare per i giovani una prospettiva per nuovi lavori di domani, lavori non
inflazionati di cui c’è richiesta, ma a cui spesso i giovani non hanno accesso perché non li conoscono e non hanno la preparazione adatta.

Grazie a questo progetto ci rendiamo conto che la realtà del Paese si distacca molto dai discorsi fumosi, dalla litigiosità, dall’inconcludenza esasperante della nostra politica. Ogni giorno impegnandoci per inseguire il nostro obiettivo entriamo in contatto con gente meravigliosa che ci permette di andare avanti ottenendo risultati importanti. Sono gli animatorivolontari, che con generosità dedicano il loro tempo libero a insegnare ai bambini nei 60 laboratori sparsi in tutta Italia, sono gli insegnanti e i dirigenti delle scuole, i sacerdoti che seguono gli oratori, i presidenti di associazioni che offrono gli spazi e l’assistenza per avviare le nostre sedi, sono le aziende produttrici e partner del progetto che ci sostengono nell’iniziativa finanziariamente e con generose forniture di utensili e materiali. E poi ci sono i bambini che partecipano attivamente e con gioia alle lezioni trasferendo il loro sorprendente entusiasmo anche ai genitori. Il progetto è stato sostenuto anche dalle parole di approvazione e di elogio da parte di personaggi di spicco, scrittori, giornalisti, professori, architetti, imprenditori, tutte cose che ci motivano molto. Ma l’esempio di Gad Lerner, per sua stessa ammissione così lontano dalla concretezza della manualità, è stato qualcosa di speciale, un messaggio davvero importante, un primo tassello per costruire un nuovo modello culturale che ridia alle attività manuali la dignità che meritano. Speriamo che tanti altri lo seguano!

 

Futuro artigiano, intervista a Stefano Micelli

 Il lavoro non si cerca, si crea

Questo è il titolo di un saggio interessante, di facile lettura, che indica con chiarezza una via di crescita mettendo alla base non un ritorno al passato, ma la valorizzazione della manualità e della tradizione del nostro Paese, unita alla tecnologia e alla capacità imprenditoriale. Stupisce favorevolmente il fatto che l’autore sia un intellettuale, nonché giovane docente di Economia e Gestione delle Imprese all’Università Ca’ Foscari di Venezia; il professor Stefano Micelli, anche grazie al lavoro di due anni speso in visite presso piccoli operatori e grandi manifatture, ha potuto argomentare la sua teoria in maniera convincente e documentata.

“Futuro artigiano”, titolo provocatorio per tanti, ma musica per le nostre orecchie, visto che da 40 anni sosteniamo la valenza della manualità e la divulghiamo.
Qual è la sua ricetta innovativa?

La ricetta per il rilancio di un pezzo importante della nostra economia, in particolare di quei settori che etichettiamo come Made in Italy, l’abbiamo sotto il naso. è quel sapere artigiano che rende possibili i successi internazionali delle nostre imprese nel campo della meccanica, della moda, del design e dell’agroalimentare. Questo saper fare artigiano rappresenta il tratto più specifico del nostro modo di fare impresa. Non è tipico solo della piccola impresa; costituisce un ingrediente essenziale anche di quella media impresa che oggi è il vero pilastro del nostro export. In quest’ultimo decennio abbiamo dato qualità manageriale a questo saper fare e abbiamo continuato a esportare nonostante la concorrenza internazionale sempre più agguerrita. Nel libro suggerisco di ripartire proprio da questo saper fare per rilanciare la nostra economia nel mercato a livello globale.

Possiamo dire che l’abilità e la tradizione artigianale italiana vanno considerate, insieme al patrimonio artistico e alla bellezza del territorio, due tra le nostre risorse esclusive, con un grande potenziale ancora da sfruttare per dare un impulso importante alla nostra economia?
Fino a oggi noi abbiamo avuto un approccio al manifatturiero, e all’economia che ne deriva, di tipo molto tradizionale; abbiamo pensato che la modernizzazione del nostro sistema industriale dovesse passare necessariamente attraverso investimenti a sostegno delle economie di scala e delle grandi dimensioni. Oggi ci rendiamo conto che le nuove tecnologie rendono, almeno in parte, queste convinzioni obsolete. Abbiamo in Italia una grandissima tradizione manifatturiera di prodotti su misura, personalizzati, a forte connotazione emotiva e culturale, che possono diventare prodotti molto apprezzati sui mercati a livello internazionale. La nuova borghesia mondiale chiede prodotti come quelli italiani a condizione che riflettano le caratteristiche di cultura e artigianalità di cui siamo depositari.

Quindi questa produzione sarebbe diretta tutta all’esportazione e dall’estero dovrebbe venire la nostra rinascita?
L’Italia ha da sempre valorizzato una forte proiezione internazionale; nell’ultimo decennio, da quando la Cina è entrata nella WTO (World Trade Organization), abbiamo fatto fatica a capire le dinamiche della nuova geografia del mondo. Agganciati a un modello transatlantico, l’asse Europa-Stati Uniti, non ci siamo accreditati a sufficienza come potenza economica nelle aree emergenti del mondo, nei BRICS, ovvero nei Paesi che oggi conoscono le migliori performance a livello internazionale. Proprio in questi Paesi bisogna raccontare l’Italia e la sua storia; se l’Italia ripartirà, sarà perché aggancerà il trend di crescita di questi Paesi.

Quali sono i soggetti che dovrebbero impegnarsi per stimolare e valorizzare il nuovo lavoro artigianale?
Credo che tutti debbano fare la loro parte: il pubblico, semplificando fisco e burocrazia, le associazioni di categoria, offrendo nuovi servizi, le università, garantendo nuovi collegamenti con la ricerca e la formazione. Ciò detto, credo molto a una nuova stagione di start up per imprese che potrebbero cambiare il nostro modello di crescita mescolando in maniera originale nuove tecnologie (in particolare nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione) con abilità artigiane tradizionali. Se noi riusciamo a lanciare questi nuovi modelli “ibridi”, se riusciamo a mettere in moto aziende manifatturiere e di servizi che nascono globali e che sono in grado di sfruttare a pieno le nuove tecnologie, allora potremo veramente contare su una rinascita del comparto e su un traino complessivo a vantaggio di tutta l’economia del Paese.

Come si fa a superare il modello culturale dominante che considera i lavori manuali occupazioni di serie B e continua a produrre giovani con professionalità di cui il mercato del lavoro non ha bisogno?
I nostri giovani li attiriamo scommettendo su vari piani. Un piano è certamente quello economico: dobbiamo essere in grado di dimostrare che dietro a questa economia ci sono delle risorse, c’è del lavoro. Non credo però che basti parlare di lavoro e di risorse. Bisogna essere in grado di tirare via un po’ di polvere dall’immagine del lavoro artigiano. Bisogna comunicarlo e renderlo attraente. Questa attività di rilancio sul piano culturale passa molto attraverso i media, soprattutto quelli di nuova generazione: bisogna inserire questa attività lavorativa nell’immaginario dei giovani e questo richiede impegno e fantasia.

Nel suo libro fa riferimento ai makers americani: quale punto di contatto ci può essere tra il loro fare e l’artigianato italiano?
I makers americani sono un movimento che possiamo chiamare di artigiani tecnologici: artigiani che guardano molto alla tecnologia, soprattutto all’elettronica. Questo fenomeno, diversamente da quanto succede in Italia, ha avuto una grande legittimazione culturale: testate famose come Wired e Make, così come istituzioni prestigiose, hanno sostenuto il movimento. La politica poi si è interessata a queste dinamiche appoggiando tutta un’attività di tipo didattico nelle scuole, per avvicinare le persone alle nuove tecnologie, in particolare alla stampa 3D. Noi in Italia dobbiamo imparare da questo movimento. Soprattutto dobbiamo imparare dalle cose che sono riusciti a mettere in moto in campo culturale.

In Italia si dovrebbe fare la stessa cosa sfruttando di più il nostro Made in Italy?
Se oggi vogliamo far rifiorire le culture tecnologiche e scientifiche nel nostro Paese dobbiamo necessariamente passare per un recupero della manualità. Gli studenti delle scuole medie e dell’università devono tornare a fare esperimenti, devono tornare a costruire strumenti, devono avere il contatto diretto coi materiali, con quanto succede nei laboratori. Se noi rimettiamo in moto questa cultura del fare, del fare pratico, io sono convinto che ritroveremo anche le grandi vocazioni scientifiche. Se la scienza è solo imparare formule a memoria, è difficile che i nostri giovani abbraccino questa vocazione.

Nel suo libro dice che dobbiamo capire quale importanza attribuire all’intelligenza di tipo “T” (quella misurata dai test), ma anche quanto valorizzare l’intelligenza in versione “A” (l’intelligenza artigiana). Come vede il nostro progetto “Manualità, un gioco da ragazzi”, che si pone l’obiettivo di introdurre alla manualità i bambini sin dalle scuole elementari?
Credo vada fatta una premessa importante: negli ultimi 15 anni abbiamo dato massima prevalenza all’attività di manipolazione di simboli e, di conseguenza, all’attività svolta dagli analisti simbolici che lavoravano di fronte a un computer. Abbiamo dimenticato che una forma di accesso al sapere è proprio il rapporto con la materia attraverso il fare. Oggi siamo chiamati a bilanciare questa stortura, riportando la curiosità dei giovani verso una scoperta del mondo che passa attraverso la manualità. Io penso che operazioni come Manualità Ragazzi siano importantissime, perché ridanno ai giovani la possibilità di riscoprire il mondo in forme diverse.

WWW.FUTUROARTIGIANO.IT

Buon esempio dalle carceri

Il problema delle carceri italiane è di estrema attualità

Il problema delle carceri italiane è di estrema attualità: ne hanno parlato tutti i media per lo sciopero della fame e della sete di Marco Pannella, per il forte richiamo del presidente Giorgio Napolitano nel suo discorso di fine anno, per la multa che l’Europa ci ha appena comminato per le condizioni fatiscenti e di inumano sovraffollamento in cui i detenuti vivono (3 metri quadrati a testa). Ma c’è qualcuno che, in operoso silenzio, fa i fatti e, nel suo piccolo, dà a tutti un importante esempio: questo non risolve il problema, ma dice come si possano fare alcuni significativi passi avanti.

A Mauro Ferrante dedichiamo per la seconda volta il nostro editoriale: lo avevamo già fatto nel novembre 2007 con il titolo “Libertà di far da sé”. Questa volta il lettore di Belluno, assistente capo della polizia penitenziaria, poco prima di andare in pensione, ha raccolto in un DVD tutte le immagini dei lavori realizzati guidando con professionalità un gruppo di detenuti nell’apposito reparto MOF (Manutenzioni Ordinarie Fabbricato): qui, in un seminterrato dove prima c’erano delle vecchie celle, è nato un laboratorio attrezzatissimo a cui fanno capo i detenuti per le innumerevoli costruzioni e riparazioni di apparecchiature e utensili, senza contare che si occupano anche di “riparare scarichi, muratura, imbiancare, sistemare porte e cancelli, restaurare mobili, fare giardinaggio, riparazioni elettriche ecc”.

A pubblicare tutte le realizzazioni che ci ha inviato c’era da fare una rivista monografica: troverete in questo fascicolo sei pagine dedicate alla completa trasformazione di un vecchio e abbandonato locale in una pulita e funzionale barberia, più alcune idee di legno e di ferro (altre realizzazioni le pubblicheremo nei prossimi numeri).

In un altro carcere, quello di Milano-Bollate, Susanna Magistretti ha realizzato un’ampia area verde in cui si coltivano piante erbacee perenni insolite, nella convinzione che la libertà vera “si conquista solo con il lavoro vero”, quello cioè che punta al recupero sociale pur con l’obiettivo di essere competitivi sul mercato. Qui è impegnato un piccolo gruppo di detenuti che, una volta scontata la pena, pensano di lavorare da giardinieri professionisti a Bollate o in altro posto.

“In carcere vivono persone che hanno avuto una vita difficile, ma se vengono seguite con solidarietà e impegno, possono essere recuperate” conclude il nostro lettore: il far da sé racchiude una forte potenzialità educativa, ne siamo convinti da sempre.

Il nostro Paese ha bisogno di gente che “faccia”

Ha suscitato un vespaio di polemiche la frase del viceministro al Lavoro Michel Martone che, in un convegno sull’apprendistato, ha dato degli “sfigati” ai giovani che tardano a laurearsi. L’appellativo, forse troppo colorito, ha fatto sì che in molti gridassero allo scandalo e si sentissero offesi, quando invece più utile sarebbe stato discutere seriamente sul perché molti, troppi giovani vivacchiano anni e anni all’università concludendo poco e nulla, forti della protezione colpevole dei genitori a cui piace sentirsi utili garantendo loro sopravvivenza (e dipendenza).

Martone in una successiva intervista a Lilli Gruber ha affermato, tra le altre cose degne di nota: “Preferisco un ragazzo che a 16 anni fa un istituto professionale o, piuttosto, appunto, ha un contratto di apprendistato, che sceglie magari un lavoro manuale e comincia a fare. Il nostro Paese ha un disperato bisogno di gente che “faccia”. E invece, purtroppo, ci sono due milioni di ragazzi che non studiano, non si formano e non lavorano”.

Tutti siamo consapevoli della crisi che attraversa in questi anni il nostro mondo globalizzato e in particolare l’Europa, sappiamo quanti sono i giovani che non riescono ad entrare nel mondo del lavoro, conosciamo la loro delusione quando scoprono che la tanto decantata flessibilità altro non è che precarietà. Ma in quanti accettano di prendere in mano un martello o un pennello per mettersi ad imparare, nella bottega di un falegname o nell’impresa artigianale di un imbianchino, un mestiere? O in quanti pensano invece che basti inondare di curriculum graficamente perfetti ogni realtà produttiva nell’illusione che i “posti di lavoro” nascano magicamente tutte le mattine?

Gianfranco Ravasi, in un articolo apparso su “L’Espresso”, si chiede perché l’opera dell’idraulico, del calzolaio, della badante, del cameriere, nobile come quella richiesta da impieghi più intellettuali che costa però fatica e sudore, venga “automaticamente esclusa dal proprio orizzonte come indegna”.

I giovani che si laureano a trent’anni sono degli sfigati? Forse no, certo dimostrano scarso spirito di iniziativa ed una testardaggine degna di miglior causa: perché ostinarsi ad inseguire una laurea come se fosse un sicuro lasciapassare verso una professione in camicia e cravatta, invece di “sporcarsi le mani” in un lavoro manuale, in un’attività artigianale o commerciale, in un’idea ingegnosa e creativa?

Queste sono le domande che si fanno i far da sé, da sempre abituati a considerare il loro hobby non solo un sano passatempo per scaricare lo stress del lavoro vero, ma anche un intelligente modo di risparmiare e di ottenere utili risultati per sé, per la propria famiglia e per la comunità in
cui vivono.

Sudore e successo…

 Sudore e successo… in quale ordine?

“Non dimenticate mai che la parola successo viene prima di sudore solo nel vocabolario. Nella vita l’ordine è sempre inverso”: con queste parole Andrea Ceccherini, presidente dell’Osservatorio giovani editori ha catturato l’immediato interesse dei quasi 300 giovani delle scuole superiori lombarde riuniti per un incontro promosso, insieme a Intesa Sanpaolo, sui temi del lavoro.

“In Italia si esce dal liceo e dall’università con modeste capacità lavorative. Qui si è sempre sottovalutato il lavoro manuale e si è sempre preferito il posto dietro una scrivania”, spiega Renato Pagliaro, presidente di Mediobanca. E conclude con alcuni inviti decisamente controcorrente ai ragazzi: fare meno vacanze, fare più lavoro manuale, non considerare nulla per dovuto, essere disponibili a lavorare anche nel fine settimana, non avere paura del futuro e fare figli (perché il Paese è vecchio).

Bisognava davvero toccare il fondo, con il mondo messo in crisi dall’economia virtuale e con il nostro Paese anello debole della catena europea, per risentire qualche frase di comune buon senso?

Dov’erano coloro che oggi “predicano” quando facevano tendenza le tre i (inglese, informatica, impresa) che, pur essendo molto importanti nel mondo contemporaneo, non bastano a garantire una formazione integrale della personalità?

Dov’erano, prima ancora, quando dai programmi scolastici venivano cancellate le applicazioni tecniche per far posto a teoriche lezioni sulla struttura dell’atomo o sulla composizione chimica del latte? Dov’erano quando ci veniva propinata la teoria della crescita illimitata e della fede
(uso volutamente questa parola) su internet da cui tutto ci sarebbe venuto gratuitamente?

Ora riscopriamo che “la vita è battaglia e nulla è dovuto” (ancora Andrea Ceccherini). Verrebbe da dire “alla buon’ora!”, ma, forti dei decenni che abbiamo alle spalle in cui con costanza e coerenza abbiamo detto queste semplicissime verità, che oggi fanno tanto scalpore e sembrano addirittura dirompenti, continueremo a fare il nostro lavoro. Continueremo a divulgare tecnologia e saper fare dalle pagine delle nostre riviste e dei nostri libri, ad insegnare come usare le mani per realizzare oggetti concreti, ad educare nuove ed operose generazioni di far da sé pronti a condividere il proprio know-how con la società in cui vivono, a diffondere questo patrimonio di conoscenze ai più giovani (con il nuovissimo progetto “Manualità un gioco da ragazzi”, che coinvolge più di mille ragazzi!) affinché crescano meno imbranati e più capaci di far fronte a situazioni problematiche e difficoltà di ogni genere con inventiva e creatività.

Le citazioni sono tratte da un bell’articolo di Leonard Berberi su “IL CORRIERE DELLA SERA”