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Edifici collabenti e amore per il nostro Paese

Tratto da “Rifare Casa n.76 – Luglio/Agosto 2021″

Autore: Nicla de Carolis

Sempre piuttosto criptica la nostra burocrazia, sia che si tratti di interpretare le disposizioni, sia che si tratti dell’utilizzo di parole assolutamente al di fuori delle conoscenze dei più: il significato di collabenti, riferito a edifici, fino a poco tempo fa, era appannaggio solo dei professionisti. In realtà anche se si consulta il dizionario Treccani la parola non risulta, si tratta di un termine da dizionario fiscale utilizzato nelle classificazioni catastali per indicare un edificio che non produce reddito e con determinate caratteristiche.
Se la burocrazia volesse essere meno antipatica ai cittadini, ci sarebbero tanti sinonimi per renderne subito chiaro il significato: edificio diroccato, non agibile, cadente, in rovina.

Ma torniamo al punto di cui ci interessa parlare, ovvero il SUPERBONUS 110% che ci consente di ricostruire o riqualificare gli edifici che ricadano in questa categoria con contributi davvero interessanti (ma per questo potete leggere l’articolo da pagina 78): il dato da sottolineare, peraltro riscontrabile andando
in giro per l’Italia, è che, secondo il censimento del Centro studi casa ambiente territorio (Cescat), ci sarebbero oltre 2 milioni di edifici, il 6% del patrimonio immobiliare nazionale, che sta andando in rovina. Ovvero 50mila tra palazzi,
ville e castelli nobiliari in stato di abbandono e la bellezza di 20mila tra edifici ecclesiastici, chiese, abbazie e conventi in disuso. Che fanno compagnia a 130mila strutture industriali, vecchie fabbriche e capannoni, vale a dire qualcosa come 10mila km quadrati occupati da immobili abbandonati (dati ISPRA). Numeri importanti, che logicamente dovrebbero portare a dare priorità al recupero di questi immobili, in buona parte con valenze architettoniche,
o quanto meno al recupero del suolo da essi occupato piuttosto che a nuove costruzioni su altro terreno reso edificabile.
La situazione, però, è la seguente: a una diminuzione delle nascite (nel 2019 sono nati 420mila bambini) corrisponde un aumento della cementificazione, abbiamo consumato 57 milioni di metri quadrati di suolo, al ritmo di 2 metri quadrati al secondo.
È come se ogni bambino che nasce portasse con sé ben 135 metri quadrati di cemento. Nelle città è in pericolo la capacità di resilienza ai cambiamenti climatici, con il peggioramento della qualità della vita e della sicurezza degli abitanti a causa della perdita di permeabilità del territorio, fondamentale per mitigare fenomeni di dissesto. In campagna sono a rischio intere produzioni alimentari.

Alla luce di questi dati è incontestabile che la strada per cambiare direzione è dire stop al consumo del suolo, da troppo la politica ne parla, ma per resistenze
e motivi clientelari il divieto non è ancora legge nazionale, e dare il via al recupero degli edifici collabenti, in buona parte compito dei privati, in questo caso motivati, oltre che dall’amore per il proprio Paese, anche dal vantaggio del cospicuo bonus riconosciuto dallo Stato per queste operazioni.

Come realizzare dei fiori cristallizzati per decorare cornici e scrigni

Realizziamo dei fiori cristallizzati per abbellire cornici, specchi, scrigni, bauletti e oggetti da regalo. Ci serviranno dei fiori finti di carta, di stoffa o di plastica, ravvivati con vernici speciali con effetto indurente e cristallizzante

Realizzare dei fiori cristallizzati per abbellire cornici e quadretti è molto semplice e occorrono davvero pochi attrezzi. La cornice che si intende abbellire, le foglie e i fiori finti con cui creare la decorazione: questo è quanto occorre per eseguire il lavoro. Come attrezzi bastano un pennello, una spatolina e la pistola incollatrice. I prodotti si acquistano nei negozi di belle arti o su internet e vanno dal primer alla vernice cristallizzante, dai colori acrilici ai glitter, dalla foglia oro agli effetti perlacei.

Tempo richiesto: 10 minuti

  1. Stendere sui petali una pittura indurente

    Stendiamo sui petali di carta o di stoffa dei fiori finti una pittura indurente. Il primer è necessario per vetro e superfici lisce e non porose: costituisce il fondo che permette di ottenere un ancoraggio molto forte del colore.

  2. Stendere la vernice cristallizzante

    Coloriamo i bordi dei fiori e stendiamo la vernice cristallizzante su tutta la loro superficie.
    fiori cristallizzati

  3. Posiamo i glitter

    Sulla vernice fresca posiamo con delicatezza i glitter argentati.

  4. Fissare i fiori sulla cornice

    Fissiamo con un punto di colla a caldo i fiori e le foglie nell’angolo della cornice.
    fiori cristallizzati fai da te

Fiori eduli per decorare frullati e torte

Capita sempre più spesso che un piatto servitoci al ristorante sia decorato con fiori: la regola vuole che tutto ciò che c’è nel piatto sia commestibile e che quindi anche quei fiori siano eduli (rose, viole, margherite, denti di leone lo sono, mentre quelli dell’ortensia, per esempio, sono velenosi). Se vogliamo decorare torte, frullati, gelati e altri dessert con piccoli fiori, possiamo scegliere di cristallizzarli con una tecnica davvero semplice, ricordando che i fiori vanno maneggiati con cura, non stropicciati, lavati e asciugati con carta assorbente. Serve albume d’uovo da sbattere finché faccia una leggera schiuma (non va montato a neve!).

Si intinge un pennello nell’albume e si spennellano delicatamente tutti i petali del fiore. In un piattino avremo preparato dello zucchero semolato molto fine su cui appoggiare il fiore cospargendo in ogni parte. Scrolliamo via lo zucchero in eccesso e mettiamo il fiore su una griglia, in luogo aerato, lontano da fonti di calore e dalla luce del sole: dopo due giorni sarà perfettamente cristallizzato.

Progetto di Luisa Giubasso

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Impastatrice fai da te

Un impastatrice fai da te costruita con parecchio materiale di recupero, prepara fino a 6 kg di morbido impasto per panificazione o 2 kg di sodo impasto per paste fresche

Lui lavora in Barilla e in casa sua moglie e sua suocera impastano parecchio, sia pane e pizze sia paste fresche d’ogni genere. Ma naturalmente impastare a mano è faticoso. Così un giorno, il nostro lettore Ennio Sozzi ha sfruttato l’opportunità offertagli dal lavoro e iniziato a studiare attentamente com’è fatta e come funziona una macchina impastatrice.

come costruire un'impastatrice

Avendo da anni la passione di costruire oggetti di meccanica, gli era infatti venuta l’idea di realizzarne una impastatrice fai da te. E così ha poi fatto, utilizzando pezzi di recupero dei più vari più un motore e quattro ruote nuovi, risparmiando, con il suo lavoro, quasi 1000 euro (le impastatrici per uso domestico costano a partire da poco 800 euro).

Soluzioni tecniche per costruire una impastatrice

aspo impastatrice
In evidenza l’aspo dell’impastatrice fai da te

Volendo trasmettere il moto con delle catene, per poterle mettere in tensione occorre che i vari pezzi (motore e sistemi di movimentazione dell’aspo e della vasca) siano ancorati all’intelaiatura con un sistema che permetta spostamenti, qui ottenuto per mezzo di spezzoni a L con fori ad asola, bloccati per mezzo di bulloni e dadi. Affinché l’impasto non formi una palla attaccata all’aspo (così si chiama la spirale o il ferro a C che, ruotando, rigira gli ingredienti), serve un robusto ferro rompi impasto, ottenuto con una spranga verticale fissata all’intelaiatura in posizione scentrata rispetto alla vasca. Inoltre, anche la vasca che contiene l’impasto deve girare, ma molto più lentamente dell’aspo.

Entrambi sono messi in moto dal perno che esce dal rid

uttore, la cui la velocità di rotazione è ulteriormente ridotta, in maniera differenziata per l’uno e l’altra, con corone da ciclomotore e da motocicletta di diverso diametro. Il perno che trasmette il moto richiede, oltre all’ancoraggio all’intelaiatura fornito dal riduttore, anche un altro punto fisso, che è ottenuto con un cuscinetto aggiuntivo calzato in alto sul perno stesso e fissato artigianalmente alla struttura portante.

I sistemi di movimentazione della vasca e dell’aspo sono formati, ciascuno, da un perno con le corone indotte spinate alle estremità, ancorato alla struttura per mezzo di un pezzo di tubo che lo avvolge, lasciandolo libero di ruotare grazie a due cuscinetti interni. L’aspo stesso della impastatrice fai da te è uno spezzone di robusto tondino d’acciaio curvato con sistemi artigianali dopo averlo intaccato in più punti per indebolirlo.

La curva è studiata in modo che raggiunga il contorno interno del fondo della vasca. L’accesso alle parti in movimento è impedito da una griglia di protezione che provvede a inserire e disinserire un micron di sicurezza: alzando la griglia si arresta immediatamente l’impastatrice. Nello spazio libero sopra il motore è alloggiato un cassetto, utile per contenere oggetti per la pulizia della macchina.

Come funziona una colla

In un perfetto gioco di molecole che si attirano o si respingono interviene l’adesivo tessendo una fitta rete di legami. Analisi fisica alla base del funzionamento di una colla

Cercando di descrivere in soldoni e in modo comprensibile a tutti il meccanismo alla base del quale una colla svolge la funzione per cui è nata, bisogna far riferimento alla forza che la lega alle molecole di un determinato materiale: se la scodella rimane scodella, e le molecole che la compongono non se ne vanno a spasso per la cucina, vuol dire che esiste un forte legame di…parentela che le convince a rimanere unite e compatte.

Attrazione verso l’esterno

Quelle che rimangono in prossimità della superficie, affacciandosi sul mondo circostante, sono però portate ad esercitare una parte della loro attrazione verso l’esterno e, in misura diversa a seconda delle sostanze, cercano di attirare molecole appartenenti ad altre famiglie: se l’acqua viene assorbita dalla stoffa vuol dire che l’attrazione molecolare di quest’ultima è superiore alla forza che lega le molecole della prima; quando un oggetto si rompe cadendo, vuol dire che la forza dell’urto è stata superiore a quella che legava le molecole.

Rimettere assieme i cocci e sperare che le molecole si attirino e si leghino di nuovo in maniera spontanea è del tutto illusorio perché, a causa della rottura, alcune di esse si sono rotte o disperse: sui lembi dei vari pezzi, inoltre, si sono depositati il pulviscolo e l’umidità atmosferica, che creano una sorta di barriera. Che fare per colmare i vuoti e ristabilire il legame? Ci servirebbe un…”qualcosa” dalle caratteristiche molto particolari: dapprima dotato di un legame molecolare molto debole, in modo da essere attratto e in qualche modo assorbito dalle superfici, ma capace poi di sviluppare un legame molecolare molto forte, in modo da realizzare una riparazione perfetta.

Questa sostanza è ovviamente la colla, ed il cambiamento di…carattere (da debole a forte o fortissima) avviene grazie al meccanismo di reticolazione o, per dirla in modo più semplice, di indurimento.

Materiali porosi o impermeabili

materiali porosi ed impermeabili

Per scegliere la colla più adatta al nostro scopo dobbiamo, in via preliminare, prendere in considerazione la natura delle superfici su cui ci dobbiamo ancorare, per sfruttarne a nostro vantaggio le caratteristiche: da questo deriva che è sempre più facile unire due pezzi dello stesso materiale (poroso o no), perché possiamo contare su un identico comportamento nei confronti dell’adesivo. In caso di incollaggi eterogenei (ad esempio legno e metallo) si tratterà di trovare il miglior compromesso possibile, tenendo anche conto di altre esigenze come il tempo di presa, la resistenza alla fatica ed agli agenti atmosferici, ecc.

Materiali rigidi o flessibili

materiali rigidi o flessibili

Determinati oggetti, come ad esempio le scarpe, sono soggetti a continue flessioni durante l’uso: se incollassimo la suola con un adesivo molto efficace, ma che una volta indurito crea un film rigido, avremmo trasformato le nostre calzature in un… paio di zoccoli. Il discorso è del tutto diverso, invece, se dobbiamo assemblare le parti di un mobile in legno: potremo avere nel tempo piccolissime variazioni di dimensione dovute alla temperatura ed al grado di umidità dell’ambiente, ma il tutto rimane sostanzialmente un blocco monolitico. Il grado di rigidità del materiale e le sollecitazioni che deriveranno dall’uso sono quindi un ulteriore elemento di cui bisogna necessariamente tenere conto.

Materiali combacianti o sconnessi

materiali combacianti o sconnessi

Dato per scontato che una colla lavora al meglio se viene erogata in bassi spessori, resta il fatto che deve creare un legame indissolubile tra i pezzi da unire: se questi combaciano alla perfezione (nelle applicazioni pratiche succede molto di rado) potremo usare un prodotto molto fluido mentre, se ci sono dei vuoti (per quanto microscopici) da colmare, avremo bisogno di un adesivo più consistente. Quando i pezzi da unire non sono combacianti, però, si ha il vantaggio che la superficie reale su cui la colla può fare presa è molto superiore a quella teorica.

Impossibili da incollare

Se un determinato materiale ha un’attrazione di superficie molto bassa, sarà difficile trovare una sostanza con una forza ancora inferiore, che possa quindi legarsi alla prima: ecco perché alcuni materiali come il polietilene, il polipropilene o il teflon risultano impossibili da incollare con i consueti adesivi (non per nulla il teflon viene usato per rivestimenti antiaderenti, ad esempio sul fondo delle padelle …).

Come dei bottoni

Se paragoniamo le molecole di colla a dei bottoni ed il meccanismo di reticolazione ad un filo che progressivamente attraversa i diversi fori, ci rendiamo conto del fatto che il legame, dapprima debole, diventa sempre più solido man mano che il nostro filo continua a passare tra i fori, fino a che li ha interessati tutti. Morale della favola: per quanto apparentemente robusto, un incollaggio non va mai sollecitato subito, anche se si tratta di un adesivo di tipo “istantaneo”. Nel mondo delle colle esistono poche regole senza eccezioni, salvo questa: il tempo di presa apparente non coincide mai con quello reale, ma è sempre notevolmente più lungo. Anche i collanti cosiddetti “a contatto”, usati ad esempio per incollare il cuoio, hanno bisogno di circa 24 ore per dare il massimo delle prestazioni

La presa iniziale della colla

presa iniziale della colla

La forza sviluppata dall’adesivo al momento dell’incollaggio (o subito dopo) dipende dalla rapidità con cui avviene la prima fase della reticolazione o, per stare al nostro esempio, da quante passate di filo attraversano i bottoni che simboleggiano le molecole. I pezzi stanno insieme, ma…

Tenuta finale della colla

tenuta finale della colla

La giunzione offre il massimo della resistenza solo dopo che il processo di reticolazione è terminato, ed i nostri bottoni formano una solida catena. La scelta di privilegiare la tenuta iniziale o quella finale, in funzione della destinazione d’uso dell’adesivo, influisce sulla formulazione chimica.

resisten za incollaggio
La resistenza dell’incollaggio passa dal valore iniziale minimo (che può anche essere elevato)
a quello massimo entro un determinato arco di tempo.

La bagnabilità di una collabagnabilità colla

Volendo ricreare un legame tra i componenti di una famiglia separati da un evento traumatico (la famosa scodella che cade e si rompe) o stabilire una nuova parentela tra due famiglie simili (legno con legno, ferro con ferro, ecc,) o addirittura diverse (legno e muro, plastica e ceramica, ecc.), la colla non può restare fuori della porta, appoggiandosi soltanto sulla superficie: la capacità di penetrare all’interno del materiale e di creare i presupposti per un’ottima presa viene appunto definita “bagnabilità”.

Stendere la colla con il pennello

colla con pennello

Restando tra il serio ed il faceto, potremmo dire che le setole del pennello fanno il solletico alle molecole e, mettendole di buon umore, le rendono disposte ad accogliere la colla come gradito ospite; in realtà ogni singola setola esercita una pressione forte e progressiva, che fa penetrare l’adesivo.

Stendere la colla con la spatola

colla con spatola

Con tutti quei denti sembra un tantino aggressiva ma, proprio grazie alla… dentatura, ha il vantaggio di creare un film di spessore uniforme, pareggiando le eccedenze e colmando i vuoti: basta scegliere la spatola adatta e manovrarla nel modo corretto per stendere in fretta la giusta quantità di prodotto.

In definitiva è fondamentale utilizzare una colla specifica per un utilizzo specifico: la gamma di colle proposta da Pattex Henkel risponde a questa specifica esigenza.

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  • La superficie incollata rimane trasparente ed elastica.
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5 tips per installare il pavimento grès effetto legno

Il grès effetto legno è un materiale particolarmente apprezzato in edilizia grazie all’elegante estetica che richiama il legno, alla resistenza e alla versatilità di utilizzo in ambienti differenti sia residenziali. È perfetto per essere installato sia in ambienti interni che esterni ed è un prodotto di eccellenza del Made in Italy con aziende come Marazzi che hanno fatto dell’innovazione tecnologica e della ricerca i propri punti di forza che gli hanno permesso di disporre oggi di un’offerta unica di prodotti e servizi che spaziano dalle grandi lastre in grès di ultima generazione ai piccoli formati della tradizione fino alle pareti ventilate e i pavimenti sospesi.

Di seguito troverete 5 consigli per installare al meglio un pavimento in grès effetto legno, grazie alla funzionalità di questo materiale.

Come posare il grès

Il grès porcellanato è una miscela di materie prime dall’aspetto duro e compatto che contiene il caolino, un’argilla bianca, adoperata anche per produrre la porcellana. Le lastre in grès effetto legno sono perfette per il rivestimento di superfici sia orizzontali che verticali in ambienti interni ed esterni. I supporti necessari per estrarle dagli imballaggi sono:

  • Barre con ventose;
  • Carrello rinforzato;
  • Banco di lavoro con profilati in alluminio.

Una volta verificato di avere questa attrezzatura (e che il materiale corrisponda a quello del progetto) si può procedere con il togliere le lastre dagli imballaggi, in uno spazio idoneo per avere la più ampia libertà di manovra possibile, al pianterreno. Attraverso le maniglie con ventose si inseriscono i paraspigoli e il gioco è fatto.

L’alternativa è quella di usare un kit di sollevamento, dotato di più ventose che vanno fatte aderire alla lastra facendo pressione sugli stantuffi; si ha una sorta di telaio con ventose, che permette di appoggiare in tutta sicurezza la lastra al carrello rinforzato, un modo funzionale per spostarla dallo spazio iniziale a quello dove poi avverrà la posa. Importante: in entrambi i casi è necessario pulire la lastra, per permettere la massima aderenza della ventosa. A questo punto la lastra dovrà essere posata sul banco di lavoro in alluminio.

Scegliere il tipo di posa

Fondamentale è stabilire quale tecnica di posa si vuole attuare: regolare, geometrica, a incastro; ma anche il tipo di materiale con cui attaccare la piastrella alla superficie, il collante. Una volta preparato l’adesivo idoneo (seguendo le istruzioni riportate sulla confezione) e controllata la planarità della superficie si potrà procedere posando la colla e facendovi aderire la piastra aiutandosi con la mazzuola di gomma.

Dimensionare correttamente le fughe

Fondamentale la corretta larghezza della fuga e il rispetto dei giunti perimetrali. Per un risultato ottimale è importante la precisione e l’attenzione ai dettagli. Le fughe sono un elemento assolutamente non marginale.

Scegliere la direzione corretta di posa

Altri elementi da considerare sono la corretta direzione di posa (meglio verso la luce) e il formato dei listoni che dovrà essere di spessore adeguato rispetto alla colla. Anche questo nell’ottica di un’installazione ottimale.

Fare una stuccatura adeguata

Il passaggio successivo è la stuccatura, per la quale sarà necessario attendere che la colla sia dura e quindi almeno un giorno. Lo stucco è bene che sia fatto tono su tono e prima di pulire le rifiniture sarà necessario aspettare che si asciughi e quindi bisognerà attendere almeno 36/48 ore per poter pulire adeguatamente le fughe; la pulizia andrà fatta in più fasi con una passata finale con una soluzione acida attraverso un panno umido.

Posando le piastrelle di grès effetto legno con i dovuti accorgimenti si avrà un pavimento facile da pulire e capace di durare a lungo nel tempo. Con tutta l’eleganza del grès.

Morsa angolare fai da te per fissaggi a 90°

Una morsa angolare realizzata tutta di metallo, per un utilizzo orientato alle costruzioni con il ferro, che permette di tenere in posizione due pezzi che debbano essere uniti con angolo di 90°

Fra gli accessori che si possono autocostruire, per arricchire la propria dotazione, sicuramente rientrano morse e strettoi di vario genere, strumenti utilissimi, di cui c’è sempre bisogno e che non sono mai troppi. Costruiamo una morsa angolare per giunzioni a 90°, un tipo di strettoio che si usa sia nelle costruzioni con il ferro, sia con il legno. Quello che di solito differenzia le due tipologie è la robustezza, parametro necessario in tutti i casi, ma determinante nel caso del ferro, dato il peso solitamente maggiore dei pezzi che si devono unire. Per ottenere robustezza e rigidità, la costruzione viene fatta con elementi di ingente spessore; con la conseguenza di avere un oggetto risultante di peso elevato, come del resto confermano i modelli di morsa angolare che si trovano in commercio.

La morsa ha un aspetto che fa subito capire a cosa serva e quale sia la dinamica della sua azione. Pur essendo nel suo insieme un accessorio mobile, è composto da una parte “fissa” che fa da supporto e scontro per gli elementi da mettere in giunzione; questa è indubbiamente una parte che deve assicurare la massima rigidità, quindi è di elevato spessore. Inoltre deve avere due speciali caratteristiche: una è l’ampia apertura sull’angolo, necessaria per poter lavorare di fissaggio in testa ai due pezzi da unire, mediante saldatura, foratura e avvitatura, rivettatura ecc.

La seconda è l’allargamento delle ali a 90° che non risultano semplicemente piegate: le due ali sono realizzate con un corposo profilato angolare d’acciaio saldato esternamente alla piastra portante. Questo perché la semplice piega impedirebbe al pezzo stretto nella morsa di aderire correttamente all’ala esterna, per la curvatura, seppure minima, che resta nell’angolo interno. Con la saldatura esterna si ovvia al problema. La parte “mobile” è il pressore con barra filettata, fatto con robusti pezzi di piatto uniti a 90°; anche questo deve lasciare debito spazio di manovra nell’angolo di giunzione.

Vista da sotto, si nota come le due ali siano costituite da segmenti di angolare d’acciaio saldati alla piastra quadrata. Com’è ovvio, è basilare, nel fissaggio, far rimanere le due ali in squadra fra loro e rispetto alla piastra. Un quarto elemento è un pezzo piatto di rinforzo, saldato a 45°, che deve avere spessore identico alle ali, per offire un appoggio in piano alla morsa.
Dopo la saldatura delle ali, si rimuove con la smerigliatrice angolare anche la porzione in angolo della piastra di base, poi si salda e si fora un pezzo di tubolare sull’angolo opposto.
Terminata la pulizia delle saldature e la levigatura degli spigoli vivi, si può colorare il pezzo.

Cosa occorre per costruire la morsa angolare fai da te

  • 1 pezzo lamiera zincata 100x100x3 mm;
  • 2 pezzi angolari di ferro 30x30x4 mm;
  • 1 pezzo tubolare di ferro 30x20x2 mm lungo 60 mm;
  • 1 pezzo tubolare di ferro 30x20x2 mm lungo 28 mm; 2 pezzi di piattina 60x30x5 mm;
  • 1 pezzo di piattina 100x20x4 mm;
  • 1 pezzo di piattina 50x25x5 mm;
  • 1 pezzo barra filettata Ø 8 mm lungo 210 mm;
  • 2 barilotti di ferro Ø 13 mm lunghi 25 mm;
  • 1 bullone Ø 8 mm lungo 50 mm;
  • 1 bullone Ø 5 mm lungo 7 mm;
  • 3 bulloni Ø 5 mm lunghi 10 mm;
  • 1 tubetto di plastica Ø 10 mm lungo 39 mm (Ø interno 9 mm);
  • 1 copiglia Ø 2 mm lunga 15 mm;
  • 4 dadi Ø 8 mm; 2 rondelle con foro Ø 8 mm;
  • antiruggine;
  • vernici.

Pressore con barra filettata

L’elemento nodale del pressore ha il profilo con ali a 90° per comprimere i pezzi, obbligandoli ad assumere la posizione desiderata. È fatto da due pezzi di piatto spessi 5 mm, saldati sul tubolare lungo 60 mm tagliato lateralmente a 90°.
I due barilotti di ferro servono per il movimento del pressore; a uno si allarga leggermente il foro laterale, rimuovendo il filetto interno, in modo che la barra filettata possa passare liberamente, seppure di misura.
I barilotti vanno forati in testa, su entrambe le estremità, poi il foro va filettato M5 per il fissaggio con viti. Sopra, la vite ha testa piatta.
Nella parte sotto, non essendoci spazio, si realizza un grano tagliando via la testa della vite e facendo un taglio diagonale sull’estremità per poterlo avvitare con un cacciavite.
L’estremità della barra filettata ha: due dadi stretti uno sull’altro, in modo che restino bloccati in quella posizione, rondella, barilotto passante, rondella e copiglia inserita in un foro fatto trasversalmente. L’altezza del barilotto è tale da entrare in piedi nel tubolare del pressore, a cui viene rimosso il lato frontale.
Presentando l’estremità della barra con il barilotto nello scatolato (notare che è stato aperto anche dietro), si mettono la vite con testa piatta (sopra) e il grano (sotto), dove l’angolare deve stare aderente alla piastra d’appoggio.
Nella barra filettata ci sono in tutto quattro dadi (uno cieco). Di fatto sono due coppie di elementi stretti fra loro a scopo di bloccaggio.
La manovella si realizza con un pezzo di piatto forato in due punti Ø 8 mm, un tubetto di plastica e un bullone M8 a testa tonda, a cui si taglia via la parte filettata.
Si calza il tubetto di plastica sullo stelo del bullone, lo si imbocca nel foro liscio del piatto e si danno due punti di saldatura per bloccarlo, senza insistere, per non fondere la plastica. Il secondo foro si filetta per avvitarvi la barra M8, bloccandola poi con un dado normale sul davanti, e uno cieco applicato per ultimo.

Progetto di Mario Giampietro

Cerniere per vetro | Come sceglierle e come installarle

Panoramica sulle tipologie di cerniere per vetro presenti in commercio e sul loro utilizzo

Se gli Egiziani, che sembra l’abbiano inventato, vedessero il vetro moderno, trasparentissimo e privo di bolle, resistente agli urti ed al calore e così robusto da poterlo usare direttamente come anta o come parete, senza chiuderlo in un telaio, rimarrebbero incantati ed orgogliosi del cammino percorso dalla loro invenzione. Ad aiutare la diffusione di questo materiale ha contribuito la creazione di tutta una serie di accessori che ne facilitano la messa in opera, sia in posizione fissa, come parete o pannello divisorio sia permettendone il movimento ad anta o scorrevole. Le nuove cerniere per vetro ed i nuovi supporti uniscono facilità di montaggio (relativa, sempre di vetro si tratta), eleganza e sicurezza tanto per le piccole ante di una vetrinetta quanto per la porta tutto vetro di una cabina doccia.

Cerniere per vetro a braccio speciale

installare cerniera per vetro

 

Cerniere per vetro a profilo tondo

cerniera a profilo tondo

La diffusione delle pareti tutto vetro ha portato alla creazione di speciali supporti, a pavimento o a muro, snodabili per adattarsi ad ogni angolazione e che permettono di collegare solidamente ed elegantemente fino a quattro lastre, con un solo foro per ogni attacco ed una vite incassata a filo. Lavorazione accurata e materiali appositamente studiati sono alla base dei supporti mobili, come le cerniere per le porte delle cabine doccia, soggette a un forte carico statico e dinamico aggravato dall’umidità. Colcom 

 

cerniera per vetro a farfalla
Per chi non ama i profili razionalmente squadrati ma cerca anche un tocco di fantasia sono disponibili pure cerniere a farfalla o a disco.

Cerniere a scatto 90°

cerniera a scatto

Le cerniere per vetro a scatto di 90° richiedono solo due fori e possono essere montate con un profilo di PVC che ne aumenta la tenuta all’acqua. Il forte scatto ne migliora la chiusura.

Cerniere a scatto 180°

cerniera vetro

Dove lo spazio lo consente è possibile ottenere un’apertura a 180° con le cerniere per vetro a scatto, che richiedono solo una tacca nel vetro e sono regolabili per adattarsi anche a pareti fuori piombo o fuori squadra.

Scopri come installare anche le:

Sollevatore fai da te per grossi tronchi

La costruzione con materiale di recupero di un sollevatore fai da te a bandiera, da montare stabilmente sul trattore, per caricare e scaricare i tronchi d’albero più pesanti senza troppa fatica

Chi abita in zone montane o collinari utilizza spesso sistemi di riscaldamento a legna e in molti casi provvede in proprio, nel tempo libero, all’abbattimento degli alberi e alla riduzione dei tronchi in ciocchi di dimensioni compatibili con la camera di combustione della propria centrale termica. Dopo aver sfrondato e ridotto in lunghezza i tronchi sul posto li si potrebbe caricare sul trattore per portarli a casa e completare il lavoro con lo spaccalegna idraulico, ma quando si tratta di movimentare pezzi che pesano svariate decine di chili lo sforzo è notevole, anche se si è in due: per questo costruiamo un sollevatore fai da te con movimento a bandiera e provvista di argano, da fissare stabilmente nella parte anteriore del cassone (appena dietro la cabina di guida), che renderebbe meno faticose le operazioni di carico e scarico dei tronchi.

Tutto il materiale utilizzato per il sollevatore fai da te, principalmente tubolare di ferro e piatto di buon spessore, è di recupero: soltanto l’argano manuale è stato acquistato presso una ferramenta. Il braccio girevole si infila facilmente sul piantone, fissato in modo stabile e sicuro al fondo del cassone e alla sponda, ma all’occorrenza smontabile. Nella parte inferiore, il braccio è provvisto di un fermo che limita l’angolo di lavoro e la rotazione è regolata dal fermo stesso che agisce sulla camma saldata al piantone. Questa soluzione è molto utile quando le operazioni di carico si effettuano con il mezzo in pendenza, perché il braccio rimane fermo senza doverlo trattenere manualmente; inoltre, a carico ultimato, lo si può sollevare quanto basta per posizionarlo a fine corsa, per poi togliere il bullone superiore (bloccato da un dado a farfalla) e ripiegare la bandiera nell’aggancio che la blocca per intraprendere il viaggio di rientro.

La bandiera del sollevatore può essere sganciata dal piantone per poterla abbassare e assicurarla al telaio sovrasponda, in modo che non sporga dalla cabina di guida e permetta di entrare e uscire dal garage. La “pinza” che avvolge il tronco da sollevare è frutto di una precedente autocostruzione.
Il piantone del sollevatore è fissato al fondo del cassone con quattro bulloni che attraversano una robusta piastra, prolungata nella parte posteriore per poter saldare una saetta di rinforzo a essa e al piantone.
Per il fissaggio alla sponda si utilizzano due piastre piane all’interno e due sagomate a omega attorno al rinforzo del rollbar del trattore all’esterno.

Tornitura, sagomatura e saldatura

Tempo richiesto: 2 giorni

  1. Tagliare i tubolari

    Il taglio dei tubolari nelle lunghezze richieste dal progetto si effettua con la segatrice a nastro; qui nello specifico viene effettuato il taglio del canotto al quale va flangiata la bandiera.

  2. Effettuare la foratura passante sul perno di testa del canotto

    Dopo aver tornito il perno di testa del canotto si capovolge il pezzo e si effettua la foratura passante.

  3. Realizzare la boccola

    Un altro pezzo fondamentale da ricavare per tornitura è la boccola da interporre tra il canotto e il piantone per consentire la rotazione della bandiera.
    Sollevatore fai da te

  4. Preparare le piastre di fissaggio e aprire i fori

    Preparate le piastre di fissaggio della gru al cassone e alla sponda anteriore si aprono con il trapano a colonna i fori passanti per i bulloni.

  5. Saldare al telaio un’altra piastra per fissare l’argano

    Per fissare l’argano, si salda al telaio della bandiera un’ulteriore piastra, più sottile, sulla quale occorre aprire tre fori e successivamente filettarli. Uno dei lati corti va inoltre sagomato con una concavità che permetta alla piastra di conformarsi attorno al montante della bandiera.

  6. Procedere con la saldatura

    Si preparano anche gli elementi necessari al collegamento della bandiera al canotto e la flangia per la puleggia in testa, forati allo scopo, e si procede con la saldatura.
    Sollevatore fai da te

  7. Decapare e verniciare

    Bandiera e canotto sono pronti per essere decapati e verniciati. Partendo da sinistra, in testa alla bandiera è stato saldato un terminale di chiusura, mentre a un’ala della flangia per la puleggia, previa opportuna foratura, è stato saldato un dado; questo pezzo va ancora saldato, tramite una piastra, all’elemento di unione dei due tubolari. A destra, alle estremità dei tubolari stessi, sono saldati i giunti quadri utili a collegare con bulloni le estremità del canotto, alle quali sono saldati opportuni collari. Lungo il canotto, poco sotto il collare superiore, sono inseriti e saldati i tubolari che hanno funzione di timone per manovrare la bandiera.

I tre elementi torniti che permettono la rotazione del canotto rispetto al piantone.
Alcuni pezzi che concorrono al fissaggio e all’irrigidimento del piantone.

Progetto di Gian Carlo Franz

Tecnobarocco VS Fardasé

Tratto da “Far da sé n.517 – Luglio-Agosto 2021″

Autore: Nicla de Carolis

Con il termine tecnobarocco Mario Tozzi, divulgatore scientifico, oltre a tanto altro, intende quella parte della tecnologia eccessiva, barocca, appunto, e del tutto inutile, che ha come costante quella di cercare benessere e comodità a discapito dell’ambiente e dei modi di vivere preesistenti (Tecnobarocco, Tecnologie inutili e altri disastri /2015 – Passaggi Einaudi).
Questa ipertecnologia ci ha fatto perdere competenze che prima avevamo: nell’apprendimento, per esempio l’avere a disposizione materiale e informazioni infinite circa un argomento, contenuti che possiamo copiare e archiviare sul nostro computer, ci impedisce di allenare la memoria, prendendo appunti, selezionando e quindi archiviando nel posto giusto, ovvero la memoria di ciascuno di noi, nozioni e ragionamenti che in questo modo entrano a far parte del nostro bagaglio di conoscenze. L’invenzione del GPS, poi, avvenuta nel 1994, ha consentito grandi vantaggi, per esempio per soccorsi più rapidi e precisi, ma d’altra parte ha anche contribuito a una disabitudine nell’arte dell’orientamento. Ho un ricordo preciso di un viaggio memorabile, anche perché pur essendo luglio ha sempre piovuto, fatto in moto almeno 25 anni fa, dalla Toscana a Copenaghen, con due amici motociclisti, attraversando diverse capitali europee, senza prenotazioni di hotel e senza navigatore, solo con una cartina e la conoscenza di un po’ di inglese per chiedere informazioni; ero io la “guida” del piccolo gruppo e me la sono cavata bene, oggi, viziata dalla tecnologia, non so se saprei fare altrettanto.
La cosa più divertente citata da Mario Tozzi come esempio limite è un’osservazione che, pur conoscendo la materia, non avevo mai considerato: riguarda il WC supertecnologico, nato in Giappone, oggi diffuso anche da noi, che ha una tastiera per azionare la musica, la doccetta per lavarsi, l’emissione di fragranza, la connessione per essere comandato da uno smartphone… dimenticavo: c’è anche il tasto per far scaricare l’acqua ed eliminare il “contenuto” del WC. Ebbene, Tozzi ha fatto notare che quest’ultima funzione primaria, in tutti i sensi, come tutte le altre del resto, ma decisamente secondarie, non può essere svolta se manca l’elettricità. Un bel guaio, se si considera che il meccanismo perfetto, creato con una semplice vaschetta d’acqua e una catenella o un pulsante è da tempo stato inventato. Un meccanismo che costa poco e funziona sempre; il massimo degli inconvenienti può essere il galleggiante bloccato, assai facile da risolvere per un fardasé. Queste e tante altre sono le analisi del libro che fanno riflettere e ancora una volta ci confermano, pur affascinati e fruitori di certe meraviglie della tecnologia, quale sia la concreta valenza del saper fare

Pozzo finto fai da te in legno | Guida alla costruzione

Costruzione passo-passo di un pozzo finto per il giardino, sfruttabile in diversi modi

Quello che presentiamo in questo articolo è un pozzo finto fai da te, da utilizzare per compiti ben diversi. Facile da costruire, in mezzo al prato o al cortile fa la sua bella figura.

progetto pozzo di legno

Cosa serve per costruire un pozzo finto:

  • Tavole di pino, abete rosso o larice sezione 40×70 mm: 88 “mattoni” 355 mm, 8 elementi anello di chiusura 360 mm, 4 volpi 360 mm, 2 basi timpani 1030 mm, 4 spioventi 690 mm, 6 traverse tetto 1170 mm
  • Legname impregnato a caldo e sottovuoto: 2 pali 90x90x1820 mm,1 asse mangano Ø 90×800 mm.
  • Tondo ramin Ø 25 mm: 1+1+1 assi mangano e impugnatura 150, 200 e 150 mm
  • Legno duro: 1 corpo manovella 40x50x250 mm
  • Colla per esterni, spine, viti
  • 2 mq di copertura in legno,
  • 2 mq di carta catramata,
  • 2 mq di tegole canadesi.
  • Materiale di finitura: impregnante, eventuale vernice da legno, vernice bituminosa.

Dimensioni del pozzo finto fai da te in legno

Qui lo descriviamo con un’a­pertura di circa 810 mm. Volendo costruire un pozzo finto in legno più grande basta solo tagliare più lunghi i “mattoni” e aumentare in proporzione gli elementi del tetto e l’asse della catena. Le tavole usate per l’esempio hanno sezione 40×70 mm (la seconda misura dipende dall’altezza di taglio della troncatrice usata).

Come costruire un pozzo finto

disegnare ottagono

Le dimensioni della vera dipendono dalla lunghezza degli elementi delle pareti. La misura del lato dell’ottagono si ottiene dividendo per 2,4142 la distanza tra il centro di due facce opposte. L’ottagono si disegna facilmente con squadra e compasso.

costruzione ottagonale

Tagliando a 45° i capi dei listelli e accostando i pezzi a correre, cioè col taglio sbieco di un pezzo contro la faccia interna del successivo, si ottiene un perfetto ottagono di cui, grazie all’abbondante zona di contatto, è facile unire con colla e viti gli elementi.

barre filettate

Otto barre filettate che attraversano i capi dei mattoni, una fila sì e una no, formano l’armatura del pozzo. Fila per fila, gli elementi vengono incollati di punta fra loro e di costa alla sottostante. Viti di sbieco dall’interno assicurano la resistenza.

serraggio bullone

Nei due pezzi, in alto e in basso, che ospitano i capi delle barre filettate, il foro va allargato e approfondito quanto basti per inserirvi dado e rondella più la bocca della relativa chiave. I dadi vanno stretti progressivamente nella sequenza 1°-5°, 3°-7°, 2°-6° e 4°-8°, così da evitare torsioni della struttura.

Tetto a due spioventi

tetto in legno

tetto a due spioventi

Sia per difenderlo da pioggia e neve, sia per rifinirlo a regola d’arte, il pozzo è coperto da un tetto a due falde, di facile realizzazione anche con un’attrezzatura limitata. Per garantire una protezione efficace, il tetto deve sporgere abbondantemente sul pozzo e qui misura, in pianta, 1200×1200 mm. La sua struttura è costituita da due timpani triangolari di tavole sezione 40×70 mm con gli angoli bisellati in modo da ottenere al vertice un angolo di 110° e alla base due di 35° (nulla vieta di farlo più a punta dove cade molta neve, o più appiattito dove non fiocca mai). I timpani vengono collegati, al colmo, alla base e a metà dei lati spioventi, da sei tavole 40x70x1200 mm. Dato che quelle di colmo vanno poi coperte, non occorre che ne vengano piallati di sbieco i bordi concorrenti. Sulle sei tavole si fissa la copertura di base, in perline o in multistrato marino, da rivestire con una guaina impermeabile e coprire come meglio si crede (comunque materiale leggero come stuoie, tegole canadesi, scandole e simili). Il tetto poi si monta sui pilastri con viti 8×90 mm al centro della base dei timpani. L’unione si rinforza con volpi sezione 40×70 mm dai capi bisellati a 45° da fissare con viti di sbieco ai lati dei pilastri e sotto la base dei timpani.

Il mangano

fresa per trapano a colonna

mangano di legno

pozzo fai da te

 

La vera del pozzo finto

Anche se teoricamente potrebbe essere rotonda (le botti e i tini lo sono) è assai più comodo e veloce farla, col sistema proposto, ottagonale. Impostando la troncatrice sull’angolo di 45°, tagliamo di coltello le tavole, invertendo l’angolazione da un capo all’altro così che in pianta risulti un trapezio isoscele con una base di 355 mm e l’altra di 275. Accostando i pezzi a correre, con la parte bisellata di ognuno poggiata contro l’estremità della faccia lunga del successivo, si ottiene un perfetto ottagono con i lati di circa 331 mm. Ogni giro di otto “mattoni” forma un anello alto 70 mm; l’altezza della vera sarà quindi un multiplo di 7 centimetri più i 40 mm dell’anello di chiusura. Gli anelli, i cui singoli elementi vanno incollati fra loro, si sovrappongono invertendone il senso di corsa delle punte: se il primo mostra a sinistra la bisellatura e a destra la faccia lunga, il secondo dovrà avere la bisellatura a destra e la faccia lunga a sinistra. L’unione fra gli anelli è data da barre filettate verticali che attraversano le punte dei mattoni. Affinché i fori siano perfettamente allineati, occorre preparare uno scalo da fissare sulla tavola del trapano: due listelli lunghi una dozzina di centimetri, avvitati su una tavoletta a formare una V con angolo al vertice di 45° (basta usare come guida l’angolo di un mattone). La tavoletta si blocca sulla tavola in posizione tale che la punta del trapano scenda esattamente sulla mezzeria del mattone a 40 mm dal vertice. In ogni elemento si apre un solo foro, alternandone la posizione da un corso al successivo: se nel primo si fa nell’estremità destra degli otto elementi, nel secondo andrà fatto nella punta di sinistra. Nel primo corso, inoltre, l’imbocco del foro va allargato per ospitare dado e rondella, lo stesso all’uscita del foro nell’ultimo corso. Via via che gli anelli vengono completati, la punta di ogni elemento si incolla e avvita, dall’interno dell’anello, alla faccia di quello adiacente (non sarebbe male, anche se non previsto nel campione, collegare ogni elemento a quello sovrastante con spine o tasselli piatti).

L’anello di chiusura

Raggiunta l’altezza voluta, stretti bene tutti i dadi ed eventualmente molate le sporgenze delle barre filettate, si imposta la troncatrice sui 22,5° e con tale angolo si tagliano, di piatto, otto tavolette, che si avvitano sull’ultimo corso della vera facendole sporgere verso l’esterno. In due tavolette diametralmente opposte si apre al centro del lato maggiore uno scarico largo 90 mm e profondo tanto quanto la tavoletta sporge rispetto alla vera (il fondo dello scarico deve risultare a filo della parete del pozzo).

Protezione del legno

pozzo finto da giardino

Un rubinetto alla base del pozzo permette di prelevare l’acqua raccolta nel recipiente interno.

vera pozzo

Un catino di dimensioni adeguate al pozzo viene riempito da un tubo incastrato nel pilastro.

vite autofilettante

La sommità della vera viene bordata con tavole della stessa sezione ma poste di piatto e con gli angoli tagliati a 22,5°.Trattandosi di una costruzione all’aperto è consigliabile usare legno adatto a reggere le intemperie e trattarlo con gli opportuni impregnanti protettivi. L’anello inferiore, da proteggere anche con vernice bituminosa, è meglio che non sia a diretto contatto col terreno ma poggi su qualcosa (pietra o muratura) che eviti la risalita dell’umidità. Un’ulteriore protezione è data dal tetto, che è retto da due pilastri di legno impregnato sotto vuoto, avvitati dall’interno, che si incastrano negli scarichi aperti nell’anello di chiusura. Scanalando la faccia interna di uno dei pilastri si può creare la sede per un tubo invisibile che porti l’acqua dentro al pozzo. Nei pali, all’altezza più comoda, si aprono i fori per l’asse del mangano e, montati provvisoriamente i pilastri, si taglia a misura della distanza fra le loro facce interne il palo orizzontale del mangano.

Come utilizzare un pozzo finto

pozzo barbecue

 

Inserendo dentro la vera, opportunamente isolata con materiale refrattario, un braciere a carbonella, il mangano può servire a reggervi sopra una griglia: così il pozzo si trasforma in barbecue.

 

pozzo portattrezzi

 

Sostituito il mangano con una traversa munita di ganci, il pozzo può anche servire da comoda rastrelliera per gli attrezzi del giardino.

pozzo ripostiglio

Un coperchio di tavole e un catino abbastanza profondo permettono di usare il pozzo come ripostiglio asciutto e protetto per materassini e cuscini da sdraio.

vasi intorno pozzo

Una bordatura esterna di assi portavasi e l’eventuale inserimento di una fioriera all’interno del pozzo permettono agli amanti del verde di creare un variopinto punto di richiamo.