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Antintrusione per finestre Sacar | Come si installa

Pratici aggiuntivi antintrusione per le maniglie delle finestre: una sicurezza in più

Le modalità con cui i ladri penetrano all’interno delle abitazioni diventano sempre più raffinate: un metodo ampiamente diffuso prevede la foratura del serramento per inserirvi un ferro con punta girevole tramite cui fare leva sulla maniglia e aprire la finestra: tutto ciò in circa 25 secondi.

Installando, però, dispositivi antintrusione, come i blocchi di sicurezza a scatto di Sacar due, si limita fortemente la possibilità di effrazione: il loro funzionamento è molto semplice, così come l’installazione, che si effettua in totale autonomia.

Due tonaltà

I blocchi di sicurezza Sacar sono proposti in due tonalità differenti, per adattarsi alle esigenze specifiche: ottone lucido (1) e ottone cromo (2).

Sul retro (3) è ben visibile la sede per il quadrello (sezione 7 mm, ma facilmente adattabile a 9 mm tramite leggera limatura). Per quadrelli con sezione inferiore a 7 mm occorre usare un riduttore.

Facile installazione

Le viti che tengono in posizione la mascherina della maniglia si allentano con un cacciavite, in modo da riuscire ad asportare delicatamente tutto il meccanismo.
La sezione del quadrello della maniglia va preventivamente misurata con un calibro, in modo da verificare se occorra limare leggermente la sede del blocco di sicurezza, oppure inserire un opportuno riduttore.
Si applica il blocco di sicurezza inserendolo nel quadrello della maniglia fino a battuta con la mascherina.
La maniglia, munita di dispositivo di sicurezza, va rimessa in posizione sul serramento.
La maniglia, munita di dispositivo di sicurezza, va rimessa in posizione sul serramento.

Vetro soffiato | Approfondimento tecnico

Sin dai tempi dei Fenici la lavorazione del vetro soffiato ha avuto diffusione e sviluppo dettati dalla sostanziale utilità

Oggi il settore del vetro soffiato è di nicchia e assume in modo prevalente una connotazione artistica. La procedura è elementare, non servono strumenti tecnologicamente avanzati, ma una destrezza manuale fuori dal comune

Il vetro viene prodotto con sabbia silicea a cui si aggiungono ossidi di sodio e di potassio che ne influenzano la fluidità e altri (di calcio, bario, magnesio e zinco ) che ne stabilizzano le proprietà meccaniche e fisiche; altri ossidi lo rendono più fine, più o meno trasparente, colorato nelle diverse tonalità ecc. Complesso e interessante il suo processo di fabbricazione che prevede la miscelazione dei componenti, la fusione in forno, l’affinazione e la lavorazione vera e propria con le più originali tecniche inventate dai maestri vetrai (i primi risalgono al terzo millennio avanti Cristo ed erano Fenici!).

Liquido sottoraffreddato

In scienze dei materiali, il vetro è tecnicamente definito un liquido sottoraffreddato. La tecnica più antica è quella del vetro soffiato, eseguita ancora oggi a mano, da esperti artigiani, che danno vita a oggetti meravigliosi servendosi solamente di pochi semplici oggetti e della propria abilità. Questa tecnica prevede l’utilizzo di una lunga canna, detta “canna da soffio”: l’artigiano, soffiando dentro la canna, gonfia come se fosse un palloncino un grumo di vetro tanto caldo da sciogliersi ed essere fluido come miele. Mentre il vetro si espande, l’abilità sta nel fargli prendere la forma voluta, tenendo conto della finestra di tempo utile per la lavorazione, prima che tenda a solidificare.

Ovviamente è sempre possibile avvicinare alla fiamma il manufatto per far rinvenire la morbidezza, spesso per una modellazione supplementare, spesso per effettuare la giunzione con un altro elemento. Oltre a questa tecnica detta a vetro a soffio libero, ne esiste anche una a soffio in stampo.

Al contrario del primo caso, in cui l’artigiano procede modellando ad arte l’oggetto, utilizzando soltanto l’aria e alcuni semplici strumenti come forbici e pinze, nel secondo caso il vetro incandescente viene fatto espandere e aderire alle pareti di uno stampo.

ampolla di vetro

Vetro soffiato con la tecnica murrina

murrine

Il vetro soffiato con la tecnica decorativa delle murrine è tra le più antiche conosciuta già dai Romani e recuperata a Murano all’inizio dell’ottavo decennio del XIX secolo. Il termine è stato coniato in epoca moderna nel 1878 dall’abate Vincenzo Zanetti, che tanto contribuì alla rinascita della vetraria muranese dopo un lungo periodo di crisi e deriva probabilmente dal termine myrra (profumo) sia perché questi vasi erano destinati a contenere profumi sia perché quelli realizzati dai maestri vetrai alessandrini e portati a Roma da Pompero erano fatti con una varietà di fluorite che emana un particolare profumo.

In cosa consiste la tecnica

La tecnica consiste nell’unione di canne di vetro di vario colore per formare un particolare effetto cromatico, poi riscaldate fino a formare una canna unica. La canna è poi tagliata ottenendo una serie di piccoli dischi che, disposti secondo un disegno prestabilito, sono riscaldati, lavorati e soffiati sino a ottenere la forma definitiva dell’oggetto.

Per formare una semplice murrina a strati concentrici sovrapposti è necessario che nella fornace ci siano dei crogioli con vetro allo stato molle di colori diversi. Un operaio preleva quindi sulla punta di un’asta di ferro una piccola quantità di vetro dal primo crogiolo, passando subito dopo a ricoprirlo con più strati di colori diversi fino a ottenere un cilindro che viene fatto rotolare sopra una spessa piastra di ferro o di bronzo; gli operai “tiracanna” stirano il pastone per portarlo al diametro programmato. In questo caso si otterrà una murrina con disegni a cerchi concentrici, ma il pastone di vetro molle può essere infilato in uno stampo con delle costolature verticali a forma di fiore, di stella, di cuore. Le bacchette così ottenute (o meglio le canne) servono per produrre le perle “mosaico”, piatti e ciotole e infine ciondoli. Ma possono essere usate anche per comporre realizzazioni uniche come questi preziosi vasi di Venini.

  1. Le sezioni di canna di vari colori vengono montate a freddo su uno stampo ceramico a formare un quadrato e poi scaldate.
  2. Su una lunga asta si dà forma alla base del vaso.
  3. Si usa questa base per avvolgere il quadrato fatto con le sezioni di canne; il vetro incandescente della base si incolla a quello del quadrato e lo chiude fino a comporre un cilindro.
  4. Questo viene regolarizzato facendolo rotolare su un piano metallico
  5. …e riportandolo ogni tanto in forno.
  6. I movimenti devono essere rapidi e decisi.
  7. Si dà forma al vaso allungandone il collo con lunghe pinze.
  8. La sezione più stretta del collo si ottiene facendo rotolare il cilindro sul bordo del piano metallico. Il manufatto rientra ogni tanto in forno per tenere il vetro alla giusta temperatura.
  9. Le lunghe pinze aiutano a definire passo dopo passo la forma finale che si intende dare al vaso.
  10. Occorre grandissima abilità nel manovrare ad arte le pinze
  11. Facendo ruotare il vaso attorno a un’asta si mantiene aperta e regolare la sua bocca.
  12. Siamo agli aggiustamenti finali della forma
  13. …con continui passaggi in forno.
  14. Con la pinza usata non per stringere, ma per divaricare, si dà forma alla svasatura della bocca del vaso.
  15. Si usano le forbici per tagliare la parte eccedente e regolarizzare l’orlo superiore del vaso.
  16. Il vaso è finito, bisogna solo staccare il fondo dalla lunga asta che lo ha sorretto in tutte le fasi di lavorazione.

Venini e alcuni suoi designer

venini oggetti in vetro
Per realizzare i vasi “Occhi” la temperatura all’interno dei forni è di 1200 °C

I vasi “Occhi” sono eseguiti con la tecnica delle Murrine, piccoli settori di vetro tagliati da lunghe canne realizzate da Venini. Le canne, in questo caso, sono di due colori, uno interno e un secondo che riveste il primo; i settori sono composti come un mosaico su un piano di metallo che viene riscaldato, cosicché le Murrine diventano un’unica lastra di vetro che viene successivamente lavorata a forma di vaso dal maestro vetraio. Venini Art Glass

forno per vetro soffiato

designer del vetro

  • Matteo Thun: Nel 2011 disegna i “Susanni”, complementi d’arredo di grandi dimensioni che riproducono barattoli da cucina trasparenti, eleganti e ben proporzionati. “Alla
    Morandi” sono invece tre serie ciascuna di 3 bottiglie in 30+5 esemplari, in vetro soffiato e lavorato a mano, poi velato e molato, su base in pietra calcarea.
  • Gae Aulenti: Scomparsa nel 2012, dal 1993 ha disegnato vari oggetti per Venini come il vaso Geacolor (sotto) in vetro multicolore soffiato e lavorato a mano; Torto e Ritorto, edizione limitata in 9 opere in numero arabo + 9 in numero romano di sculture in vetro soffiato Rosso Pulegoso; Ginepro Mirtillo Ribes limitata a 99 opere ciascuna con applicate a caldo oltre 300 piccole sfere nere.
  • Alessandro Mondini: Ha diretto Casabella Modo e Domus, collabora con lo studio Alchimia e con varie industrie, realizza oggetti, mobili, ambienti e installazioni. Gli è stato attribuito il Compasso d’Oro per il design e i suoi lavori si trovano in diversi musei e collezioni. Per Venini, dal 1987, disegna lampade e oggetti (sotto, la Grande Alzata, edizione limitata in 99 opere, tecnica Murrine).

tadao ando

  • Tadao Andō: Giapponese, ha iniziato a dedicarsi all’architettura da autodidatta dopo aver fatto il camionista e il pugile, fino a fondare uno studio di architettura nel 1969. Nel 2011 inizia la collaborazione con Venini, per cui ha ideato la serie Veliero (piantana, pannello e lampada da tavolo) e le serie limitate per numero e colore Ando e Ando Time (90 e 49 opere per colore).

fulvio bianconi

  • Bianconi (1915-1996), dapprima grafico e illustratore per Mondadori, Bompiani e Garzanti, incontra Paolo Venini nel 1946 ed entra a collaborare nella vetreria. Plasmando nei suoi vetri movimento e colore determina un legame di grande modernità con la storia muranese, dando vita a serie come Figure della Commedia, i Tiepolo, il Fazzoletto, le Sirene, i Pezzati e molti altri.

Foto credits: Alessandra Chemollo – Gabriele Basilico

Betoniera facile da spostare | Guida illustrata alla modifica

Modificare la betoniera, in modo da poterla movimentare agevolmente e senza fare alcuna fatica: basta applicare l’attacco per testina tonda da rimorchio

La più comune betoniera, usata in cantiere praticamente da tutti i muratori nei lavori di posa, è una macchina relativamente piccola, ma proprio leggera non è. Il posizionamento può non essere un problema per una persona robusta, ma il terreno deve essere piano e abbastanza uniforme; in caso di pendenza e fondo irregolare, mettere la betoniera nel posto giusto è tutt’altro che agevole.

In questo articolo vedremo come fare una modifica all’impastatrice da cemento per dotarla di un attacco appropriato alla testina a sfera, anche se, mancando l’omologazione, non la si può portare sulle strade aperte al traffico. Questa modifica rende comunque estremamente comodo spostare la betoniera in cantiere, per collocarla dove può essere più utile al lavoro e fare meno strada con le carriole cariche.

betoniere

Nel punto dove inevitabilmente deve ricadere l’attacco per il gancio c’è il pedale di sgancio della campana con il suo tirante, più una paratia di lamiera che protegge e ripara il tutto. Per poter applicare in quello stesso punto l’attacco per il gancio traino si è resa necessaria una modifica con rimozione provvisoria della protezione in lamiera, per eseguire il foro passante nel piede della betoniera, dove innestare un tubo di raccordo su cui fissare l’attacco.

Le modifiche nel loro insieme

L’attacco per il gancio traino a testina si acquista su internet: se ne trovano di omologati e nuovi a poco più di 20 euro.
Il timone con l’attacco si innesta e fissa con bullone e dado a un tubo saldato al piede della betoniera.
Per meglio assecondare le buche e le irregolarità del terreno, un intervento a margine dell’implementazione del traino della betoniera è la sostituzione delle piccole ruote in dotazione con quelle di un’utilitaria demolita. Questo ha richiesto l’applicazione anche dei ceppi delle ruote dell’auto.
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  • Distanza tra i fori: 9 cm
  • Larghezza: circa 50 mm

La modifica primaria

Come prima cosa, è necessario rimuovere la cuffia di lamiera che protegge il pedale. La si dissalda con la smerigliatrice angolare.
Sempre con la smerigliatrice, si apre una finestra, prima frontalmente, poi nel retro, nel grosso tubo che costituisce il piede d’appoggio anteriore della betoniera.
Due spezzoni di tubo di misura adeguata si uniscono innestando l’uno all’interno dell’altro per un breve tratto. La giunzione, stabile e definitiva, si effettua con saldatura a elettrodi.
I pezzi uniti si innestano nel foro eseguito nel piede della betoniera, inserendo il segmento piccolo sino a che il grande va in battuta. Si salda il tutto, davanti e dietro, e si applica una mano di antiruggine.
Si rimette al suo posto la protezione di lamiera, risaldandola, e si stende su tutto un’altra mano di antiruggine.
Un bullone di adeguate dimensioni si fora trasversalmente in punta per poter applicare una spina a molla di ritenzione.
Il tubo che fa da timone si predispone al fissaggio dell’attacco saldando robuste piastre di ferro.
Le piastre permettono al timone di inserirsi correttamente nella sede dell’attacco.

Dove può circolare

La betoniera in oggetto, non avendo un certificato di conformità, non può essere abbinata come carrello appendice a un veicolo per poter circolare sulle strade aperte al traffico.

La modifica per l’aggancio a un mezzo di locomozione può essere utile per lo spostamento della betoniera nei cantieri e nelle manovre di rimessaggio in area privata.

Stucco veneziano | Pittura impermeabilizzante

La realizzazione di finiture di pregio come lo stucco veneziano non è più appannaggio di esperti decoratori…

Il colore usato con creatività è come un capo d’abbigliamento: dice qualcosa della persona che lo indossa. Non solo ha un’influenza determinante sull’aspetto delle cose, ma esprime e trasmette sensazioni.
Oggi più che mai questo concetto è estendibile anche alla tinteggiatura delle pareti: la semplice scelta del colore rappresenta già tendenza e personalità, ma uscendo dalle tecniche applicative tradizionali una finitura murale diventa un vero e proprio biglietto da visita, unico, personale.

stucco veneziano impermeabile
Con la ceratura della parete si ottiene un’efficacissima impermeabilizzazione, fondamentale in locali come bagno e cucina.

Se si vuole ottenere una finitura ricercata, come lo stucco veneziano, occorre preparare la parete con prodotti piuttosto pastosi a base di farina di quarzo o calce spenta da applicare a spatola. L’operazione richiede una certa familiarità con gli attrezzi necessari, l’uniformità della stesura, che lascia comunque visibile il sovrapporsi dei movimenti, è fondamentale per la buona riuscita del lavoro.

La finitura a stucco veneziano si realizza stendendo sulle pareti più mani di prodotto colorato; grazie all’operazione di lucidatura finale, si viene a creare un inimitabile effetto di chiari scuro e sfumature di colore che dona matericità e allo stesso tempo lucentezza all’ambiente.

Cartella Colore Spatula Stuhhi
  • Tabella colori spatola Stuhhi
  • Tipo di prodotto: COLTELLO PER STUCCO PALETTE
  • Marchio: Giorgio Graesan

Per la particolare composizione dello stucco, che costituisce il supporto, le pareti così rifinite non risultano lavabili, al contrario, hanno un’ottima traspirabilità. Volendo però applicare questa tecnica in locali dove si produce umidità (come bagno e cucina), è possibile impermeabilizzare la superficie dello stucco veneziano trattandolo con una speciale [amazon_textlink asin=’B010HV4WNW’ text=’cera’ template=’ProductLink’ store=’bricoportale-21′ marketplace=’IT’ link_id=’8e95a39e-5724-11e7-a3c0-294b2844c42a’].

stucco veneziano

  1. La tinta scelta va miscelata con lo stucco e lasciata riposare 24 ore. Se poi il prodotto si presenta ancora liquido è bene aggiungere un addensante; la stesura della miscela si fa con la manara liscia applicando lo stucco con movimenti ad arco.
  2. Ripetiamo l’operazione una seconda volta lasciando asciugare lo stucco veneziano e dando una leggera carteggiata fra una mano e l’altra.
  3. La terza mano di stucco veneziano si applica su porzioni di muro di circa un metro quadrato per volta. Il prodotto penetra in ogni piccola fessura con una leggera pressione e la superficie risulta uniforme. Dopo circa 30 secondi la porzione di muro si liscia con la manara pulita; passando alla porzione successiva, si sovrappone un poco il prodotto a quella precedente, eliminando ogni giunzione.
  4. La superficie della parete rimane perfettamente liscia e traspirante ma, se vogliamo impermeabilizzarla, dobbiamo trattarla con cera. Si stende con un panno morbido a movimenti regolari e si attende mezz’ora. Si lucida con un panno asciutto; se si utilizza un lucidatore elettrico occorre impostare una bassa velocità.
    Spatula Stuhhi

Leggio da tavolo fai da te | Ecco come costruirlo in legno

Un leggio da tavolo in legno per spartiti, personalizzato da profili e decorazione

Questo leggio da tavolo per studiare musica ha una cornice dai profili sagomati, decorata da un vero pentagramma, con tanto di chiave di violino, ottenuta da un disegno recuperato su internet.

Il leggio fai da te è formato da due cornici incernierate. Quella inferiore porta due cremagliere laterali in cui il supporto incernierato alla cornice superiore può essere incastrato a varie altezze.

leggio

Ha dimensioni 260×330 mm, larghezza dei profili 25 mm, con un listello centrale di rinforzo largo 30 mm. La cornice superiore ha listelli sagomati di larghezza 30 e 45 mm. Incollati i pezzi delle due cornici, si esegue la scanalatura per le cerniere e si uniscono le due parti.

Naturalmente ognuno può personalizzare il leggio come preferisce, in base ai propri gusti e alle proprie inclinazioni artistiche.

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  • Dimensioni della piastra di supporto: 28,7 cm x 18,5 cm (lunghezza x larghezza)

Realizzazione

Le parti di sostegno hanno spessore 20 mm, quelle decorative si assottigliano a 12. Con seghetto alternativo o sega a nastro si realizzano i motivi, mentre fresando a profondità 6 mm si ricavano, nei laterali, le sedi per incastrare le  strisce sottili da 3 mm, “righe” del pentagramma.  Nella chiave di violino, invece, le fresature si eseguono sul pannello prima del taglio definitivo.

Il supporto si incastra nelle due cremagliere laterali per regolare l’altezza del leggìo.

Riportato a matita il profilo della chiave di violino, si iniziano ad asportare le parti interne.
Prima del taglio si eseguono con la fresatrice da banco le fresature profonde 6 mm in cui inserire le strisce.
leggio in legno
In questo modo una volta sagomata la chiave si incastrano le strisce con la stessa planarità della cornice.

Estasiati dall’eleganza della Ca’ Granda e colpiti da “HELP” E “MULTIPLY”

Tratto da “Far da sé n.494 – Maggio 2019″

Autore: Nicla de Carolis

In concomitanza con l’appena concluso Salone del Mobile, una delle fiere italiane più importanti che attira centinaia di migliaia di visitatori da tutto il mondo, la città di Milano si anima di un fuorisalone ricchissimo di progetti, non tutti dedicati al mobile, che danno la possibilità a chi arriva nella metropoli in questo periodo di vedere edifici storici bellissimi che per l’occasione ospitano installazioni e opere di vario genere. Da segnalare quanto esposto nella cornice impareggiabile dell’Università statale che ha la sede centrale alla Ca’ Granda, complesso rinascimentale nato come grande ospedale per tutta la città. L’imponente struttura, nel centro di Milano, lascia senza fiato per l’eleganza architettonica e decorativa con la sua pianta rettangolare e gli edifici su due piani in mattoni che con i loro sontuosi portici si affacciano sugli otto cortili con deliziosi archi. Due, in particolare, le opere che maggiormente hanno fatto riflettere: nel cortilone d’onore della Ca’ Granda domina l’installazione realizzata da Maria Cristina Finucci (l’artista che ha fondato il Garbage Patch State, di cui avevamo già parlato, lo stato nazione composto da isole di rifiuti in plastica disseminate negli oceani,  nato per sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema dell’inquinamento della plastica che finisce nei mari), una grande scritta “HELP” composta da milioni di tappi di plastica ingabbiati in reti di metallo che si illumina di rosso la sera e simboleggia il grido della Terra inquinata. Poi, sullo sfondo del cortilone, c’è “MULTIPLY”, una curiosa installazione di legno che si pone l’obiettivo di destare l’attenzione su due delle più grandi sfide delle città del futuro: il bisogno di alloggi e l’urgenza di combattere il cambiamento climatico. La struttura tridimensionale composta da 16 moduli di tulipier (albero proveniente dalla zona centro orientale degli Stati Uniti) lamellare a strati incrociati, con incredibili giunti a incastro simili a denti di un pettine, realizzati ovviamente con macchine a controllo numerico, che rendono le tavole accoppiate di una resistenza incredibile. Migliaia di persone hanno salito le scale che univano i moduli per arrivare fino in cima. Inoltre i progettisti di MULTIPLY evidenziano che i 40 metri cubi di tulipier americano utilizzati per la sua costruzione immagazzinano l’equivalente di 28 tonnellate di anidride carbonica. Gli edifici realizzati su questo modello, quindi, diventerebbero “contenitori per lo stoccaggio di carbonio”, invertendo così quanto si verifica con costruzioni in calcestruzzo, cemento, acciaio e mattoni che invece ne rilasciano in grandi quantità. “Siamo a un punto di svolta sia in termini di abitazioni che di emissioni di CO2 e riteniamo che l’edilizia con un materiale versatile e sostenibile come il tulipier americano sia un passo importante per affrontare questi problemi”, afferma Andrew Waugh, progettista di MULTIPLY. Senza dubbio, in particolare per chi è far da sé e considera il legno materiale principe per le sue qualità di lavorabilita, bellezza, reperibilità, varietà e chi più ne ha più ne metta, il messaggio che aggiunge al legno altre valenze, addirittura vitali per il futuro dell’umanità, non può lasciare indifferenti: è innegabile che dove è indispensabile costruire nuovi edifici bisogna pensare a strutture in legno. D’altro canto, dal confronto tra la maestosa eleganza della Ca’ Granda e il MULTIPLY, nasce spontanea una domanda un po’ amara: tutto ciò è progresso?

Morsa da banco | Caratteristiche, scelta e fissaggio

Scegliere una buona morsa da banco per il proprio laboratorio è decisamente importante, ma occorre conoscere bene le caratteristiche

La morsa da banco in acciaio è formata da due corpi, uno fisso e uno mobile (la ganascia) che scorre in rotaie aperte nel corpo fisso. La sezione delle rotaie è generalmente a V, concava nel corpo fisso e convessa in quello mobile, ma ci sono anche morse con le rotaie a coda di rondine o in cui la coda della ganascia è un grosso quadro che scorre in una finestratura.

La morsa si può anche costruire, a tal proposito consigliamo la lettura della nostra guida su come costruire una morsa

Come funziona la morsa da banco

Il movimento della ganascia è dato da una vite tanto più robusta quanto più grossa è la morsa. La ganascia mobile può aprirsi verso l’operatore o dalla parte opposta. Tra le ganasce chiuse non dev’esserci la minima fessura, anche alla massima apertura la ganascia mobile non deve ballare dentro il corpo fisso.

morsa da banco disegno

Come scegliere una morsa da banco

Nella scelta della morsa scegliamo un modello che disponga di piastra girevole, soluzione comoda per eseguire tagli sbiechi senza doverci porre di traverso rispetto ai pezzi. Una morsa da banco professionale deve prevedere questa possibilità

Come si utilizza

Nel bloccare i pezzi fra le ganasce sistemiamoli in modo che la zona in cui dobbiamo operare resti più vicino possibile alle ganasce, così da concentrare meglio lo sforzo su di esse.

Il montaggio della morsa da tavolo va studiato con cura per avere ai lati dell’attrezzo spazio sufficiente a lavorare anche su pezzi lunghi da reggere con rulliere o altri mezzi simili.

Le buone morse da banco sono come una “terza mano”, ci permette di lavorare con entrambe le nostre su pezzi immobilizzati tra le ganasce anche facendo forza, purché il piano su cui è fissata sia altrettanto robusto.

Quando dobbiamo serrare in morsa pezzi con superfici delicate, possiamo tenere a portata di mano due strisce di un materiale più morbido di quello del pezzo in lavorazione, sagomate a L, da porre sulle ganasce prima del serraggio. Le migliori morse hanno il corpo di ghisa, mentre le ganasce di buona qualità sono d’acciaio, meglio se “cementato”.

Morsa da morsa da banco falegname

La morsa da falegname è costituita da un’unica ganascia mobile, di solito molto larga, che va a chiudersi con il bordo del banco, a filo piano con lo stesso. L’ampia superficie di appoggio permette il serraggio di tavole e travetti; inoltre sul piano del banco e nella parte superiore della ganascia sono presenti fori calibrati e distanziati nei quali si inseriscono i “cani”, robusti risalti che si utilizzano come scontro per serrare pannelli di grandi dimensioni in piano e stabilizzare incollaggi.

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Tavolo da lavoro fai da te su ruote | Realizzazione illustrata

Una vecchia barra di tubo idrico diventa un telaio portante per un tavolo da lavoro fai da te provvisto di ruote pivotanti, piano d’appoggio e ripiano in massello

Durante i lavori di ristrutturazione o ammodernamento della propria abitazione, capita inevitabilmente di dover smontare parti di impianti che devono essere modificati o semplicemente sostituiti a causa della loro vetustà e gli elementi di risulta in materiale ferroso vanno poi destinati a discarica. Ecco un’idea originale per recuperare tubi idrici (Ø 27,3 mm) e realizzare un tavolo da lavoro fai da te.

Si tratta di un banchetto da lavoro su ruote con due ripiani in legno massello (autocostruiti): il primo per piazzare e utilizzare gli attrezzi da lavoro alla giusta altezza e il secondo intermedio per poggiare le materie prime o gli spezzoni d’avanzo in maniera visibile e a portata di mano.

Come prima operazione, in previsione di realizzare tutte le giunzioni con raccordi idrici, si realizza un disegno su carta ben dettagliato che riporta la lista dei tubi e le posizioni di ogni singolo raccordo in ghisa, dimensionando la struttura sulla grandezza del piano di lavoro, ma soprattutto sulla lunghezza del tubo disponibile.

La scrostatura della pittura presente sul tubo e la smerigliatura per riportare a nudo la vecchia zincatura, oltre che eseguire le filettature sulle estremità di tutti gli elementi, sono i lavori più gravosi per realizzare il telaio.

L’assemblaggio finale invece diventa poi semplice in quanto gli elementi vengono avvitati tra loro con gli appositi raccordi e non servono né viti né saldature, ma solo un paio di chiavi a pappagallo. Il telaio del tavolo da lavoro fai da te si compone di quattro montanti che comprendono ciascuno i pezzi di base per le ruote, due tee per le traverse dei lati corti e un tee per i longheroni sui lati lunghi.

Tubi, raccordi, manicotti

Il disegno riporta l’esploso del carrello con il piano di lavoro e tutte le misure dei singoli pezzi di tubo adottati per il banchetto (non vincolanti nel caso si voglia realizzare qualcosa di simile per altri utilizzi), oltre a una lista dei raccordi in ghisa malleabile necessari quali tee, nippli, tappi femmina, ruote pivotanti e kit manicotti destro/sinistro con relativi nippli specifici per giuntare elementi contrapposti in sostituzione degli ingombranti bocchettoni o flange.

Filettare i tubi e unirli con i tee

In base al disegno, si tagliano tutti i pezzi di tubo.

La precisione di taglio viene aumentata fissando la troncatrice per ferro su un piano di lavoro attrezzato con battuta di fermo.

Si realizzano le filettature su ogni estremità dei pezzi.

Le filettature si realizzano con l’apposita filiera a cricco munita di bussola Ø 3/4”.

Si assemblano i quattro montanti con i tee per i traversi rivolti tra loro e i tee dei due longheroni perpendicolari ai primi; è consigliabile usare pasta sigillante per tenere i pezzi ben serrati in posizione ad evitare possibili gioghi dei raccordi.

Sui tee di due montanti si avvitano dapprima i tubi lunghi, mentre per gli altri due contrapposti occorre girare i pezzi interi già assemblati (operazione che richiede pratica).

Si procede con lo stesso metodo per avvitare dapprima i tubi dei traversi sui rispettivi tee da un lato del telaio e i nippli sui tee opposti, quindi si uniscono i pezzi con i manicotti dx/sx. Infine si avvitano i tappi portaruote sulle basi del tavolo da lavoro fai da te.

Unione con raccordi dx/sx

Il raccordo dx/sx consente di assemblare pezzi di tubo contrapposti senza l’uso di bocchettoni o flange; il serraggio si esegue mediante speciale manicotto che congiunge in contemporanea sia il filetto dx del tubo sia quello sx del nipplo; l’operazione risulta facilitata se si avvita dapprima per mezzo giro il manicotto da un solo lato.

Per il montaggio delle ruote, occorre forare centralmente i tappi femmina con punta di diametro uguale al perno delle ruote e inserire dal lato interno i dadi di bloccaggio

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I ripiani uniti con pastiglie a lamello

Per la costruzione dei ripiani in legno massello lamellare, si possono recuperare le assi necessarie da un vecchio bancale da cui, una volta disassemblati, vanno asportati chiodi e graffette per poterli piallare a filo e spessore e ottenere almeno una faccia di spessore regolare di circa 35 mm (l’altro lato non è vincolante).

I listelli così ottenuti vengono cosparsi di colla a gruppi di tre elementi in controvena dal lato di pari spessore.

I listelli vengono messi in morsa con molteplici strettoi fino a completa essiccazione della colla.

Sulle tavole così realizzate, si praticano quattro fresature equidistanti sempre sul lato da 35 mm per il successivo assemblaggio con pastiglie a lamello.

Si esegue un assemblaggio in bianco prima di cospargere di colla le pastiglie e i bordi delle tavole da unire per comporre il piano di lavoro e il ripiano intermedio.

Si assemblano così tutte le tavole che formano i ripiani, mettendole in pressa tra loro con lunghi strettoi, bloccando ulteriormente le estremità delle tavole tra due listelli di scarto con morsetti ben serrati per evitare possibili incurvature.

A colla asciutta si tracciano le linee di rifilatura delle teste dei listelli con sega circolare che, in mancanza di un lato regolare, va guidata su una tavola di battuta, bloccata  sul pannello alla larghezza tra la suola e la lama.

Considerato l’utilizzo finale dei ripiani, i pannelli ultimati vengono semplicemente spianati e rifiniti con qualche passata di levigatrice a nastro senza usare ulteriori finiture a vernice.

Fissaggio dei ripiani con bulloni

Sul ripiano inferiore, di dimensioni uguali al telaio misurato esternamente, vanno tracciati i due lati dei quadratini da scantonare (circa 30×30 mm) sui suoi angoli.

Sul piano superiore di maggiore dimensione, viene dapprima poggiato in posizione capovolta il telaio ben centrato, per tracciare i fori ciechi di innesto in corrispondenza dei tee, che vanno poi realizzati con una punta Forstner Ø 40 mm azionata da trapano su supporto a colonna mobile.

La profondità dei fori (circa 15 mm) è calcolata in modo che il pannello in legno poggi sui tubi orizzontali e non sui raccordi; gli eventuali punti di contatto sugli spessori dei raccordi vanno scolpiti a misura.

Per il fissaggio dei ripiani si praticano due fori per ogni lato corto sui tubi orizzontali equidistanti dai montanti.

Il bloccaggio delle tavole si realizza con bulloni a testa tonda con quadro sotto testa, stretti con rondelle e dadi autobloccanti. Il banchetto finito risulta snello e robusto per affrontare anche compiti gravosi.

tavolo da lavoro fai da te
Il tavolo da lavoro fai da te ultimato

Asse da stiro fai da te | Come realizzarla

Questo asse da stiro ha gambe inclinate verso l’esterno che lo rendono stabile e permettono di stirare anche stando seduti; stiramaniche e stiragonne completano la dotazione

Tra i vari modelli di asse da stiro in commercio, non ne esiste uno concepito per operare stando seduti: per dare stabilità in apertura sotto l’asse c’è sempre qualche elemento di disturbo che lo impedisce (traversi, ripiani, ecc). D’altra parte, per poterlo fare senza alzarsi continuamente, occorre avere un appoggio abbastanza capiente per i capi da stirare da un lato e per quelli già stirati dall’altro. Se non si dispone di uno spazio dedicato in pianta stabile alla stiratura è un po’ complicato, per non parlare di quando si devono stirare le lenzuola.

La struttura dell’asse da stiro realizzato è in travetti di abete, mentre il piano di stiratura vero e proprio è in multistrato marino, più resistente alle deformazioni possibili per effetto del vapore e del calore, poi imbottito e ricoperto con un telo riflettente nei confronti del calore.

Le gambe sono divaricate e contengono un sistema telescopico regolabile che permette di scegliere se stirare stando in piedi o seduti.

Si stira in piedi e da seduti

Alla massima estensione dei bracci telescopici il piano si trova a un metro da terra ed è ideale per la stiratura stando in piedi.

asse da stiro in legno
Riducendo l’estensione dei bracci il piano si abbassa fino alla posizione più consona per stirare stando seduti.

Costruzione del corpo principale

Il telaio che supporta l’asse si assembla con colla e tasselli  a incastro autocostruiti; robusti strettoi tengono tutto in posizione.

Sotto, nei listelli lunghi, si realizzano le sedi profonde metà spessore per l’incastro del telaio del piano aggiuntivo posteriore tramite due distanziali, incorporati nello stesso, a cui sono uniti a 45° con tasselli di legno e colla.

La struttura a sostegno dell’asse da stiro.

Nell’asse bisogna realizzare una serie di fori passanti che favoriscano la dissipazione del calore; affinché risultino allineati e a interassi regolari ci si avvale di un pezzo di masonite utilizzato come maschera.

Prima dell’assemblaggio, con la fresatrice si stondano tutti i profili interni ed esterni.

asse da stiro pieghevole
Tra l’asse e il copriasse (in cotone, con trattamento metallizzato che mantiene il calore riducendo i tempi di stiratura) viene disteso un materassino di poliestere spesso 20 mm che rende più confortevole la stiratura.

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Le gambe e gli accessori aggiunti

Le gambe sono composte da due “U” che racchiudono il tubo quadro e un listello di legno duro che stabilizza l’unione.

Le gambe si ripiegano all’interno tramite due coppie di cerniere.

Sotto il telaio dell’asse si aprono le sedi cilindriche per l’elemento fisso, nel traverso di unione della gamba all’asse quelle per la parte mobile e, sulla faccia opposta, lo scasso per fissare l’estensione. Manca ancora, tra le due cerniere, il tacco sagomato che batte sotto l’asse e limita l’apertura, da fare alla fine.

Per bloccare e sbloccare le estensioni si fissano sulle gambe due piastre con manopole a vite. Occorre perciò forare le gambe e inserire al loro interno le boccole filettate in cui si impegnano le viti.

assi da stiro
Un braccio a L fissato nella parte posteriore supporta lo stiramaniche a bordo.

Il braccio può traslare grazie a un perno di rotazione realizzato con piastre, boccole, due spesse rondelle (una tra i due elementi) e un bullone.

Tra il telaio e il supporto per lo stiramaniche viene bloccato un ulteriore ripiano per l’appoggio della caldaia, a un’altezza più consona rispetto al ripiano previsto inizialmente che rimane comunque parte della struttura.

Stiramaniche e stiragonne portatili

Il piano di stiratura  è realizzato con lo stesso criterio dell’asse e dell’altro stiramaniche, rispetto al quale è più corto; il piede d’appoggio è ricavato da una tavola di faggio, sagomata e fresata. I due pezzi sono collegati da un tondino Ø 40 mm, anch’esso di faggio.

Le gonne si possono stirare anche sull’asse, ma un accessorio dedicato su cui calzarle e farle ruotare è molto meglio per evitare pieghe indesiderate; essendo più largo rispetto allo stiramaniche, il piano di stiratura dev’essere supportato da due tondini.

Caricabatterie per auto T-charge 12 evo di Telwin | Recensione completa

Il caricabatterie per auto T-charge 12 evo è dotato di ricarica a 8 fasi, specifica per tanti tipi di batterie di moto e auto; inoltre permette di fare test sull’efficienza della batteria e dell’alternatore

Il caricabatterie per auto e moto cavalca l’onda dell’elettronica e subisce un continuo processo di miglioramento complessivo. Non è un caso che il Telwin T-charge 12 evo, di cui parliamo in queste pagine, porti  questo appellativo a rimarcare l’evoluzione nella gestione elettronica della corrente. Si tratta di un carica-batterie, mantenitore di carica e tester elettronico multifunzione con tecnologia Pulse Tronic e dispone di un ampio display LCD.

La corrente erogata può essere impostata per moto o auto; in realtà si intende per batterie che richiedono una bassa erogazione (1A), per esempio moto, ciclomotori, generatori, rasaerba e turbine per la neve con avviamento elettrico, oppure un’erogazione più elevata (4A), per esempio auto, camper, furgoni, imbarcazioni, trattori ecc.

Per ogni veicolo (moto/auto), si può impostare la modalità di carica per vari tipi di batterie (GEL, AGM, AGM+, EFB) comprese quelle al litio (Li), oltre alla possibilità di selezionare un programma di carica e mantenimento delle batterie in condizioni di basse temperature. Ogni tecnologia di batterie ha un programma dedicato di carica e mantenimento in Pulse Tronic.

caricatori batterie auto

Il T-charge evo mette a disposizione, oltre alla carica, le funzioni Test, Recovery e Supply: il Test contempla l’indicazione del voltaggio della batteria (check iniziale), ma si può fare anche il controllo dell’efficienza dell’alternatore e della capacità di avviamento della batteria.

Recovery è un programma di recupero di una batteria solfatata, mentre la funzione Supply trasforma T-charge 12 evo in una fonte di alimentazione continua del veicolo, ideale durante i cambi batteria.

Funzionale e completo per auto e moto

caricabatterie auto
Oltre a quello di alimentazione, dal caricabatterie esce il cavo di carica, sufficientemente lungo, terminato con uno spinotto volante. Questo offre la possibilità di applicare al cavo i terminali a pinza, per collegare una qualsiasi batteria, oppure i terminali a occhiello.

I terminali a occhiello sono utili per una moto o uno scooter; si collegano in modo stabile agli attacchi della batteria e si fa rimanere la presa volante in posizione comoda. Così la messa in carica è operazione di un attimo: tolto il coperchietto, si innesta lo spinotto.

caricabatterie auto
La giunzione volante maschio/ femmina è dotata di due sistemi di sicurezza: uno è un o-ring che impedisce all’umidità di raggiungere i contatti (può capitare di dover fare la ricarica anche all’aperto), l’altro è per la salvaguardia della polarità, che non può essere invertita a questo livello.

carica batteria auto
Il caricabatterie ha un display chiaro ed esauriente; a lato, un unico pulsante permette di scegliere la tensione della batteria, il tipo, la funzione cui si vuole accedere e, nell’ambito di questa, i vari parametri successivi.

A prescindere dalle scelte, il caricabatterie rileva l’eventuale inversione delle polarità ed entra in protezione.

Telwin T-charge 12 evo costa euro 69,00.